14. ott, 2016
Un matrimonio di 35 anni fa
Era il 1980 o 1981, circa 35 anni fa, in uno dei miei primi viaggi in Cina. Era un Paese molto diverso da ora e ve ne parlerò in maniera specifica in futuro. Oggi però l’argomento è diverso e vi basti sapere che in corrispondenza di quella che chiameremmo la cinta daziaria di Pechino, al ponte Marco Polo, c’era una specie di confine invalicabile per i Cinesi ed a maggior ragione per gli stranieri senza un apposito lasciapassare.
Io ero fra i pochi “fortunati” che per ragioni di lavoro potevo passare e, adeguatamente accompagnato, trasferirmi in una città a circa tre ore di macchina, traffico (essenzialmente di carretti trainati da tre cavalli) permettendo. Arrivato lì prendevo possesso della mia stanza e da lì praticamente non potevo muovermi se non accompagnato. Non potevo avere contatti se non durante riunioni ufficiali o con i mie interpreti.
In quel periodo ebbi la fortuna di entrare in contatto con una realtà per noi totalmente inimmaginabile. La tragedia della rivoluzione culturale era finita da poco e la gente stentava a riprendersi da quel regime di terrore; Deng XiaoPing suscitava tante speranze ma la gente, salvo pochi audaci nelle grandi metropoli, aveva paura a parlarne e certamente non con gli stranieri; le tradizioni della vecchia Cina, che la rivoluzione culturale aveva cercato di distruggere, stentavano a ritornare come prima.
Tanti aspetti però erano già ricomparsi al di fuori delle grani metropoli, specialmente Shanghai, ma anche Pechino e Canton. Per esempio le ragazze avevano lunghi capelli neri e lisci che acconciavano con una lunga treccia oppure due “chignon”, da noi li chiamavamo “cipolle”. Farsi vedere in pubblico con i capelli sciolti prima del matrimonio era inconcepibile. Il giorno dopo le nozze invece la sposina sorridente usciva da casa con i capelli nerissimi, luccicanti e ricadenti sulle spalle.
La tradizione dei matrimoni combinati dalle famiglie andava lentamente scomparendo ed i giovani cominciavano a “scegliersi fra loro”. Teniamo presente però che le occasioni di incontrarsi “in privato” erano inesistenti ed in pubblico non potevano neanche tenersi per mano. Di tutto ciò parleremo in seguito ma vi anticipo fin da ora che la Cina di oggi è un altro mondo e quando mi capita di parlare con trentenni di oggi della Cina di quel periodo sono curiosissimi di stare a sentirmi anche perché i loro genitori sono estremamente restii a parlare di quegli anni.
Una cosa però mi incuriosiva e la fortuna mi aiutò a poterne parlare. Fra i vari interpreti che avevano assegnato alla nostra delegazione c’era una ragazza, apparentemente giovanissima, minuta, che parlava un buon inglese. Avevo sentito dire che le giovani coppie, per sposarsi, dovevano chiedere un nuovo permesso, non solo quello tradizionale ai genitori ma “alle autorità”. Chiedere spiegazioni in maniera ufficiale sarebbe stato del tutto inutile perché, alla Cinese, avrei avuto una risposta non-risposta priva di reale significato. Sapevo però che questa ragazza stava per sposarsi; se ne avessi avuto l’occasione, ne avrei parlato con lei. Un giorno stavano per arrivare in Cina un gruppo di colleghi e dovevo andare all’aeroporto di Pechino a prenderli con un pullmino della società che ci ospitava; quella ragazza mi fu assegnata come interprete. Fortuna volle che il volo dall’Europa aveva quattro ore di ritardo e non ci restava che aspettare. Era la volta buona!
A poco a poco, con delicatezza, cominciai a farle gli auguri, a chiedere notizie del promesso sposo ed altre chiacchiere di circostanza. La ragazza dal suo conto cominciò a sciogliersi: era felicissima di sposarsi e voleva esprimere questa sua felicità. Del resto il desiderio impellente del matrimonio è caratteristico anche delle giovani donne di oggi: se alla soglia dei trent’anni non hanno un marito si sentono fallite anche se sono “donne in carriera” e vivono in un ambiente più libero che da noi dal punto di vista dei contati e del sesso con i coetanei. I genitori poi spingono in maniera incredibile perché si sposino presto (anche se poi, come da noi, una grande quantità di matrimoni finiscono in divorzio). Di recente, e chiudo la mia digressione, una giovane collega cinese mi ha detto “i mie genitori mi hanno detto di non presentarmi a casa per lo Spring Festival (il Capodanno cinese) senza un fidanzato”.
Torniamo a noi. Quando il momento mi sembrò opportuno lanciai la mia domanda: mi hanno detto che prima di sposarti devi chiedere il permesso al tuo capo; tu lo hai già chiesto? Cosa ti ha detto?
Liu Ling, la ragazza, subito diffidente, mi rispose “ma chi ti ha detto queste stupidaggini? Sono le solite dicerie che mettete in giro voi occidentali”. Ed io “Ti ho fatto la domanda proprio per questo. Il vostro mondo ci è del tutto sconosciuto ed io cerco di capirne qualcosa” e subito cambiai argomento. Dopo un po’, quando si fu rasserenata di nuovo le chiesi “ora andrai in vacanza per qualche giorno?” francamente non mi ricordo (non mi interessava) cosa rispose ma ricordo che ebbi la possibilità di chiederle “Hai detto al tuo capo che ti stai per sposare?” e lei “certo, mi pare normale”. A questo punto il dialogo diventò serrato e cercherò di riportarlo per come me lo ricordo.
Io: Cosa ti ha detto il tuo capo?
Liu Ling Mi ha chiesto chi era il mio fidanzato che lavora in un altro ufficio, da quanto lo conosco, etc.
Io E tu cosa hai detto?
L.L. Gli ho raccontato la nostra storia. Lui mi ha dato dei consigli per la nostra vita futura e mi ha detto che questo matrimonio era una buona cosa
Io E se non avesse approvato la vostra storia? Tu avresti potuto sposarti lo stesso?
LL Sarebbe stato scorretto. Gli avrei detto che non ero d’accordo e lui mi avrebbe fatto parlare con il suo capo, una persona molto saggia per discuterne con lui (mi sembrava sincera e convinta di quanto diceva)
Io Immagino che questo signore si sarebbe fatto raccontare tutta la storia di nuovo ed alla fine avrebbe potuto darti la sua approvazione, o, al contrario, dirti anche lui che non gli sembrava un matrimonio opportuno
LL Esatto, vedo che hai capito
Io E se anche lui ti avesse dato un parere negativo e tu non fossi stata d’accordo cosa sarebbe successo?
LL Mi avrebbe fissato un appuntamento col grande capo, una persona anziana, esperta della vita e dei suoi problemi.
Io E se anche lui non fosse stato d’accordo?
LL Mi avrebbe aiutato a cambiare idea.
La nostra chiacchierata era chiaramente finita e restai pensieroso. Cosa voleva realmente dire Liu Ling? Stavamo sorseggiando come al solito il nostro tea verde, era rilassata, mi descriveva uno scenario per me inconcepibile come la cosa più normale del mondo. Chiaramente non lo viveva come una costrizione.
I miei colleghi arrivarono, tornammo alla nostra guest house e me ne andai in camera. A quei tempi non c’era il telefono, la televisione era solo in Cinese, il “China Daily”, l’unico giornale in Inglese, era introvabile fuori dal centro di Pechino. Mi misi a sfogliare un libro come ogni sera alla luce fioca del lumetto da notte ma non potevo fare a meno di ripensare al mio colloquio del pomeriggio. Cosa voleva dire realmente? Era possibile che la struttura, il partito o chi per lui arrivassero ad intromettersi così tanto nella formazione delle famiglie, e per quale motivo? La segregazione razziale aveva parecchi esempi storici ma non era certamente questo il caso, ed allora? Si parlava già in quel periodo della politica “del figlio unico” di cui vi parlerò in un’altra occasione, ma era un problema del tutto diverso. In quel caso l’obiettivo era il contenimento delle nascite che agita ancora oggi i nostri popoli e le nostre coscienze, ma in questo caso cosa poteva importare alle autorità se Liu Ling avesse sposato il Sig. A o il Sig. B, due numeri, due formiche nell’immensità del popolo Cinese?
Non credo di avere una soluzione, ma vi dico quello che pensai quella notte e che ancora credo sia la risposta quando ci ripenso a distanza di più di trenta anni.
Secondo me potevano esserci due motivi e forse la verità stava nell’insieme dei due: uno pragmatico che poteva spiegare l’interesse inespresso dalle autorità e l’altro, filosofico-culturale che lo rendeva accettabile ai giovani.
Partiamo dal primo che in realtà si divideva in due. Era normale in quel periodo che le persone venissero trasferite per necessità di lavoro (e senza possibilità reali di proteste) da una parte all’altra della Cina. Se erano fortunate (ma non capitava sempre) potevano tornare in famiglia per qualche giorno solo in occasione dello Spring Festival. Questo valeva anche per le coppie sposate che molto spesso finivano uno da una parte e l’altra a migliaia di chilometri di distanza. E’ intuibile che, se esisteva una possibilità concreta che i due fidanzati dovessero essere separati, scoraggiare il matrimonio avrebbe facilitato le cose. L’altra è che in una politica di contenimento delle nascite spostare il matrimonio in avanti nel tempo era assolutamente vantaggioso.
Ma non si ribellavano? Questo era il vero problema a cui le gerarchie erano sensibili e lo sono tuttora. Come ho detto nel mio ultimo post in tutt’altro contesto, la disgregazione è una delle grandi paure del governo Cinese. E qui entra in gioco l’aspetto filosofico-culturale.
La millenaria cultura cinese, basata su capisaldi storici totalmente diversi dai nostri ed impregnata di confucianesimo anche dopo la caduta dell’impero e la nascita della repubblica popolare, aveva insito il principio della gerarchia. La rivoluzione culturale aveva tentato di distruggerlo, ma con un successo temporaneo e superficiale.
Non è quindi strano ipotizzare che, specie in un momento in cui le famiglie ancora erano oppresse dai traumi creati al loro stesso interno dalla rivoluzione in cui i figli denunciavano i padri, la gerarchia del lavoro avesse assunto un ruolo di paternalismo in cui il rispetto tipicamente orientale per l’autorità esorbitasse dal puro aspetto lavorativo per invadere anche gli aspetti familiari. Del resto l’anziano, “esperto e conoscitore della vita” ha sempre avuto ed ha tuttora un ruolo importantissimo nell’organizzazione della società cinese.
Io stesso ne sono, nel mio piccolo, un esempio. Dopo una vita passata immerso nella realtà cinese anche se con moltissimi limiti, anziano, con i capelli bianchi che sono pressoché unici nel mondo cinese, vengo visto e trattato dai trentenni con un rispetto impensabile in Italia. Vengo talvolta chiamato apertamente “la mia guida” e molto spesso interpellato per suggerimenti non solo negli aspetti professionali ma anche in quelli assolutamente privati delle nuove generazioni.
Come ho detto infatti in una nota precedente, la tendenza occidentale ad un dialogo genitori-figli sempre meno profondo sta influenzando anche questa parte del mondo. A differenza che da noi però ho l’impressione che qui i giovani sentano ancora la necessità di una guida “con i capelli bianchi” anche se qui i capelli se li tingono tutti.
Se volete avere un’idea della vita nei villaggi cinesi, incluso i matrimoni combinati, l’influenza delle autorità, la corruzione dilagante etc. vi suggerisco un bellissimo libro. Si intitola “le canzoni dell’aglio” ed è ambientato nel 1987 nella provincia dello Shandong. L’autore è Mo Yan, Premio Nobel per la Letteratura nel 2012
Vi faccio vedere infine due foto di un matrimonio recente ma celebrato in linea con la migliore tradizione,
Ultimi commenti
23.11 | 15:42
Grazie, leggo sempre con piacere i tuoi articoli.
19.09 | 17:02
O.K. !!!
31.05 | 14:33
Grazie a te. So bene che i miei articoli sono abbastanza "pesanti" e quindi talvolta noiosi
31.05 | 13:16
Notevole questo articolo del 30 maggio. Attendo con impazienza il seguito tra un mesetto! Grazie Nino per il tempo che dedichi a provare a colmare la nostra immensa ignoranza. A presto.