6 maggio 2022
La potenza dei media e la pubblica opinione
Da molte decine d’anni ho cercato di capire il modo di pensare degli altri popoli, specie di quelli che possono vantare una storia ed una cultura antica e documentata. Ciò è discriminatorio perché, a ben indagare, ogni popolo ha una sua propria storia, sue tradizioni consolidate e quindi una sua cultura. E’ però molto difficile lo studio di tutti i popoli, e lo lascio agli specialisti, limitandomi ad esaminare quelli che ho potuto avvicinare di persona durante la mia vita lavorativa di giramondo. Mi riferisco quindi alla Cina e al sud-Est Asiatico che conosco bene a tutti i livelli, un pochino all’India, un po’ al Medio Oriente, certamente all’Africa mediterranea, un po’ a chiazze tutta l’Africa sub-sahariana che meriterebbe certamente una maggiore attenzione. Nel continente americano conosco bene e a tutti i livelli Cuba e il Venezuela. Ovviamente conosco bene il mondo USA, e so abbastanza degli altri Paesi. Per quanto riguarda l’Europa considero casa mia tutta l’Europa, inclusa la Russia con cui ho dialogato a fondo direttamente e in presenza a medio e alto livello mentre non conosco la sconfinata campagna e i suoi abitanti, se non per interposta persona. Di tutti questi Paesi sono abbastanza in grado di parlare con conoscenza di causa, di conoscere la loro storia, la loro cultura, di rispettarla sempre.
Paradossalmente, il Paese che oggi capisco peggio è il mio Paese, l’Italia. Certamente ne conosco storia, cultura, tradizioni, ma non la capisco, o meglio, non la capisco più. Quando ero ragazzo, al liceo, facevo parte del comitato studentesco, fui Presidente del Circolo di cultura e, per la prima volta organizzai un dibattito politico all’interno della mia scuola subito dopo l’assassinio di Kennedy proiettando il famosissimo filmato di Zapruder che lo ritraeva in diretta. Fui insomma partecipe della vita del mio tempo. Era un periodo in cui si dibatteva su tutto: ricordo il Tirolo, il processo e la condanna a morte in Spagna del leader comunista Grimau, ovviamente la crisi di Cuba, la guerra del Vietnam, la politica italiana. Certamente avevamo opinioni diverse e i dibattiti erano sempre accesi. Notavo però che tutti, o quasi, parlavano con una certa conoscenza di causa. In comitato c’erano due fratelli, figli di un senatore comunista con cui avevo stretto amicizia, c’era il figlio di un sindaco democristiano e a sua folta futuro senatore DC. C’era anche il fratello di Nuccio Fava, allora presidente della giunta UNURI (Università) e poi giornalista e direttore del TG1; c’erano alcuni nostalgici del fascismo come ideologia sociale. Tutti dialogavamo consapevoli di ciò che dicevamo e attenti a ciò che dicevano gli altri.
Oggi…. Oggi non capisco più il mio Paese, raramente si riesce ad andare d’accordo sui principi, sui concetti fondamentali che dovrebbero essere alla base di ogni discussione. Ogni tesi viene portata avanti in maniera fideistica, senza alcuna riflessione critica e commentando le opinioni degli altri con un tono di rancore, rinfacciandosi l’un l’altro “colpe” che non servono a trovare soluzioni. Forse allora era diverso. Forse, freschi di studi, argomentavamo sulla base della storia, della filosofia, sulla base. Intendo dire, di una cultura meditata e comune che ci univa tutti. E perché oggi non è più così? Perché oggi si affronta ogni argomento come se fossimo “Romanisti contro Laziali” oppure “Milanisti contro Interisti” etc. In quelle discussioni la fede di parte domina su tutto; si contesta ogni azione dell’arbitro, ci si insulta nella maniera più ignobile. Ecco, se tutto ciò è deprecabile nel mondo del calcio, esso non è per me assolutamente concepibile quando si parla della nostra società, del nostro mondo, di noi i Italiani ed Europei. E invece non è così. Al massimo, quando intavolo una discussione, mi sento dire dopo qualche minuto “Basta, abbiamo opinioni diverse; è inutile discutere”. Ma scusate, quando si deve discutere? Quando si ha la stessa opinione e si parla solo per esaltarsi a vicenda e criticare le persone che, assenti, non hanno modo di dire la loro? E allora dov’è il dibattito? Dov’è la democrazia. E poi mi chiedo: siamo proprio sicuri di sapere cos’è la democrazia, quali sono le responsabilità che noi accettiamo di condividere in questo sistema, e di cui non possiamo non considerarci responsabili, oppure ne ripetiamo i concetti come se fossero una tabellina aritmetica che ci hanno insegnato e che in pratica non dipende da noi? Questa è la mia impressione, molto desolante, del Paese in cui tutti noi viviamo. Ma cosa è cambiato di così rilevante da creare tutto ciò? Ci ho riflettuto a lungo, ne ho parlato con qualcuno e mi sono fatto un’idea. Due cose sono cambiate: la prima, il mondo si è rimpicciolito, tutti noi, chi più chi meno, abbiamo viaggiato all’estero e pensiamo di conoscerlo bene per averne varcato la frontiera. L’altra, probabilmente più determinante, si chiama internet!Quando io ero ragazzo, ma anche un giovane ingegnere e avevo bisogno di informazioni che esulavano dalla mia biblioteca familiare o da giornali e riviste che compravo, l’unica possibilità era quella di recarsi in una biblioteca (a Roma ne avevamo di fornitissime) ed impegnarsi in approfondite “ricerche bibliografiche”. In questo modo venivamo in possesso di tutto ciò che poteva rispondere alle nostre domande e tutto ciò che leggevamo proveniva sicuramente da fonti qualificate che conoscevano l’argomento. Non si trattava certamente del Vangelo, ma confrontando vari testi ci si poteva fare un’opinione consapevole. Ciò valeva per ogni aspetto della conoscenza. . Internet ha portato il mondo a casa di tutti noi. Anche l’abitante del più sperduto paese d’Italia poteva entrare in tutte le biblioteche del mondo; eravamo entrati nell’era dell’informazione diffusa! Il salto fu incredibile, ma ogni medaglia ha il suo rovescio. Infatti, mentre prima la difficoltà stessa della ricerca costringeva a una lettura approfondita di ciò che si trovava, con internet in pochi secondi avevamo a disposizione una quantità pressocché infinita di informazioni, alcune di indubbio valore, altre molto più discutibili e la scelta stessa diventava difficile. Questa fase iniziale fu breve perché, ben presto arrivarono i “social”. Mediante essi ognuno di noi si mette in contatto istantaneo con centinaia, migliaia e talvolta milioni, di persone e abbiamo cominciato a trasferirci informazioni di ogni tipo, spesso senza averne alcuna conoscenza ma semplicemente trasferendo ad altri ciò che riceviamo in un’interminabile catena di Sant’Antonio. Fra l’altro la messe enorme di informazioni che dobbiamo gestire ogni giorno ci porta alla necessità di sintetizzare fino al livello di semplici “slogan” ciò che leggiamo e ciò che scriviamo, con ciò rendendo impossibile una qualsiasi argomentazione che viene ridotta ad una semplice affermazione. Tipico è “Twitter” del quale si servono anche i politici per spiegare le loro posizioni in 140 caratteri! Francamente un assurdo quanto la frasetta che ho scritto in corsivo. La conseguenza inevitabile è che tutti noi ci troviamo a ricevere e spesso diffondere notizie spesso strampalate di cui non abbiamo avuto alcun modo di controllare la fondatezza. In sostanza la possibilità di troppa conoscenza ci ha fatto regredire alla propalazione di credenze immotivate o spesso di assolute fandonie, come succedeva nel Medioevo con le streghe o i millenaristi.
Voglio farvi alcuni esempi; essi si riferiscono tutti a fatti veri da me ascoltati ma mai ad uno specifico interlocutore. Ho infatti preferito raccontarvi degli episodi che mescolano idee ricevute da varie persone diverse. Cito inoltre alcune dicerie lette su internet che trovano spesso centinaia di migliaia di “followers” come si usa dire. Parlo dei “terrapiattisti” dei quali esiste sia un’apposita società italiana che li riunisce e più ancora una società mondiale. E poi la teoria che non c’è mai stato alcuno sbarco sulla Luna e identifica addirittura lo studio cinematografico in cui esso è stato filmato; e via di seguito. Probabilmente la totalità o quasi di chi mi legge riderà di tutto ciò, ma esistono tante persone per le quali si tratta di teorie molto serie.
Andando avanti, le persone che hanno riso fino ad ora rideranno però molto meno. Molte persone in Italia sostengono che il numero ufficiale di morti per Covid non è corretto. Probabilmente è così. Io stesso ho letto molto su questo argomento ed ho visto che esistono stime molto attendibili basate sul concetto “di eccesso di mortalità” cioè sul numero di morti registrati ufficialmente giorno per giorno e comune per comune nei registri anagrafici, e li confrontano con la media, nelle stesso giorno e comune, dei cinque anni precedenti. Questi dati possono ritenersi certi. Sulla base di essi, elaborati in varia maniera per quanto riguarda le varie cause di morte anch’esse documentate dai relativi certificati, si può valutare che il numero di morti per Covid in Italia sia mediamente leggermente maggiore del valore ufficiale e tale divergenza diventa eclatante in nord Italia nella prima metà del 2020. Analoghe valutazioni sono state fatte da istituti autorevoli (certamente anch’essi non il Vangelo) per tutti i Paesi del mondo, arrivando a un certo numero di conclusioni: un’epidemia di Covid è esistita, essa è stata molto violenta, il vaccino è stato efficace e il numero di morti è superiore a quanto certificato.
Penso che tutti voi che mi leggete abbiate incontrato persone le quali negano in radice l’esistenza dell’epidemia di Covid, che viene considerato una comune influenza; può darsi che anche qualcuno fra chi mi legge ne sia convinto. Io rispetto tutti e certamente esistono alcuni specialisti che ne hanno trovato motivazioni, ma penso che si possa dire che questi ultimi sono molto minoritari. Ciò detto non capisco perché ci si debba accapigliare tanto: il governo democraticamente al potere, supportato dalla gran maggioranza degli esperti e dei cittadini ha stabilito delle regole, approvate dal Parlamento ed esse devono essere rispettate. Ripeto, ognuno è libero di avere le sue opinioni ma il discorso finisce lì. E’ il principio della democrazia in cui tutti ci riconosciamo (spero). Oddio, anche su questo si può spigolare dicendo che si è liberi di violare qualsiasi legge. Certamente, ma se ne devono accettare le conseguenze. Anche questa è la democrazia. Talvolta (secondo caso) si è d’accordo che l’epidemia esiste, ma si sostiene che i morti reali di covid siano molti di meno di quelli ufficiali perché “chiunque muore con il Covid è automaticamente morto di Covid”. Qui non si tratta però di studi scientifici divergenti, infatti il medico che constata la morte deve compilare la “scheda di morte” che è un formulario estremamente dettagliato e con vari esempi illustrativi, addirittura specifici per il caso Covid, in modo che le dichiarazioni siano assolutamente congruenti fra di loro. Tale formulario è concordato con l’ISTAT in Italia che opera in accordo con gli altri Paesi. Bene, si legge o si sente spesso dire “Guarda è così, chi è morto con il Covid è automaticamente morto di Covid, me lo ha detto un medico che lo sa”. Tutto è possibile, ma non mi risulta che nessuno abbia detto “Il medico Tizio Caio ha dichiarato di agire personalmente in questo modo.” Si tratta a mio avviso della classica informazione senza alcuna base che non dovrebbe essere assolutamente diffusa; una diceria non provata diventa informazione. Ognuno dice che altri medici, innominati, si comportano in questo modo.
Sempre sul tema Covid, è il terzo caso. Si legge spesso che i numeri dichiarati dai cinesi sui morti per questa patologia sono assolutamente falsi perché troppo bassi Alla mia richiesta, fatta direttamente a molte persone, di chiarire su quali dati si basino queste affermazioni così gravi mi viene risposto “E’ naturale, lo sanno tutti che in Cina mentono. E’ la tipica disinformazione del regime cinese”. QUESTA è per me la classica disinformazione e non una manifestazione di libertà di opinioni. Questa asserzione è stata fatta più volte in questi anni e ripetuta di nuovo qualche giorno fa dal Corriere, riferendosi all’anno 2000. “E’ impossibile -si dice- che in Cina ci sia stato solamente 1 morto per milione di abitanti “. Esiste però una spiegazione fondamentale che posso dare io stesso sulla base dei dati forniti giorno per giorno dall’OMS, analoghi nei risultati a quelli, non ufficiali, proposti dalla Johns Hopkins university, una fonte americana quindi per definizione di molti “più attendibile”. Chiunque di voi può verificarla. Durante quel periodo io riportai in tabelle giorno per giorno i dati dei contagiati e dei morti di vari Paesi del mondo. In particolare per la Cina erano disponibili i dati provincia per provincia e raccolsi separatamente i dati dell’Hubei (la provincia di Wuhan) e quelli dell’intero Paese. Il motivo era assolutamente ovvio e dovrebbe essere chiaro a tutti: è privo di senso considerare tutti insieme i dati dell’intera Cina. Essa è infatti un Paese immenso con una popolazione enorme e con situazioni abitative assolutamente diverse nelle varie provincie. Noi non ci sogneremmo mai di considerare i morti di Covid in Europa tutti insieme, anzi abbiamo addirittura disaggregato i dati delle varie regioni d’Italia (pari spesso ognuna a un quartiere di una singola megalopoli cinese) e evidenziato valori notevolmente diversi fra di essi. Su quella base si definivano il “colore” e quindi le limitazioni di ogni regione. In uno dei vari articoli che scrissi all’epoca feci notare addirittura che quello che veniva considerato un successo assurdo Cinese, a cui era impossibile credere, era in realtà una debacle assoluta. Infatti la Cina, con un lock down ferreo (che solo in quel Paese si poteva effettuare) nella provincia di Hubei, aveva ottenuto risultati appena simili a quelli della Germania dove non erano state effettuate limitazioni così draconiane. Questi sono i dati di alcuni Paesi al 31 maggio 2020 dei morti per milione di abitanti: Tailandia 0.82, Singapore 3.9, Malesia 4.0, Australia 4.0, Sud Korea 4.77, Giappone 7.2, Hubei (Wuhan) 75.57, Cina (escl. Hubei) 0,13 come il Vietnam. E poi in Europa: Germania 102, Francia 420, Italia 551, U.K. 568, Spagna 621. Da che cosa si può ritenere che i dati siano stati truccati quando essi dimostrano che in Hubei i morti sono fra 10 e 20 volte quelli degli altri Paesi asiatici e paragonabili a quelli tedeschi? Sarebbe più credibile (ancorché altrettanto assurdo) tacciare di mendacio tutti gli altri stati asiatici che hanno indicato un numero di morti circa cento volte più bassi dei nostri o la stessa Germania con un numero di morti pari a circa un quinto dei nostri. Forse è il caso che facciamo tutti un buon esame delle nostre coscienze prima di accusare altri. Si tratta chiaramente di un’informazione falsa e largamente condivisa
Ho fatto tre esempi, tutti riguardanti il Covid proprio per evidenziale con una certa gradualità come si possa arrivare da una differenza di opinioni, più o meno motivate (primo caso), ad una superficialità nel giusto scetticismo quando si esaminano le fonti, fino ad un’accusa sbagliata nel terzo caso. Essa viene usata per trovare una spiegazione ad una vera e propria disinformazione E in questo caso mi riferisco ai grandi mezzi di informazione che, come in questo caso, distribuiscono talvolta ANALISI sbagliate in maniera colpevole perché dovrebbero avere l’obbligo di effettuare un controllo di ciò che dicono e che contribuisce a formare l’opinione pubblica.
Attenzione, non sto parlando in questo caso di falsa informazione deliberata ma di una grande superficialità e mancanza di approfondimento. Se è però deplorevole ciò che viene detto nella grande quantità di chiacchiere spesso stupide e talvolta odiose dei nostri leoni da tastiera, molto più grave è, a mio avviso, il comportamento dei nostri giornalisti sulla carta stampata e nei talk show. Da essi si avrebbe il diritto di pretendere un’informazione libera e documentata. Essi dovrebbero agire da calmiere rispetto ai “si dice” da cui siamo sommersi e invece purtroppo non è così. Io noto due aspetti assolutamente fondamentali se si vuole un’informazione libera e documentata. Anzitutto ogni persona partecipe al dibattito dovrebbe avere (oltre le competenze) il tempo di argomentare a sufficienza le sue opinioni senza essere interrotta dagli altri interlocutori e dal conduttore stesso. Invece, dopo uno o due minuti il conduttore tira le sue conclusioni di quanto detto e passa a un altro. “Tempi tecnici” si dice, ma questo, scusatemi è assolutamente assurdo. Non si può argomentare un problema scientifico, politico o economico in un paio di minuti al massimo. Si possono fare solamente affermazioni prive di alcuna motivazione. Si cerca in sostanza di scopiazzare i social alla ricerca di un’audience che faccia aumentare gli ascolti e quindi gli introiti pubblicitari. Ciò è francamente indegno di una televisione che voglia fare informazione e cultura. Invece, lasciatemelo dire, si preferisce spesso fare spettacolo e assistere a risse da circo fra i vari interlocutori. Ma non siamo allo stadio. L’altro caso, più grave e a mio avviso inqualificabile, è la mancanza di libertà di opinione, almeno quando non sia finalizzata allo spettacolo. Certamente il più ignorante dei no-vax veniva messo a confronto con scienziati di chiara fama in omaggio alla libertà di opinione (e soprattutto di spettacolo), ma non è accettabile che su una rete pubblica un professore universitario di livello internazionale, e sentito come esperto anche dal nostro Senato venga censurato dal direttore della Rete 3 che aveva addirittura chiesto di estrometterlo per il futuro. E’ stato un grande merito della dott. Berlinguer di essersi opposta decisamente ed aver continuato ad invitarlo. Si può non essere d’accordo con le sue opinioni ma esse devono essere sempre rispettate. Un altro, ultimo esempio è dato dall’intervista di Rete 4 al numero due del governo russo, il ministro degli esteri Labrov. Indubbiamente è stato un grande scoop giornalistico, e una grandissima parte di ciò che ha detto non era condivisibile. Non sono però a mio avviso accettabili le reazioni della quasi totalità delle forze politiche e di alcuni giornalisti i quali sostanzialmente hanno dichiarato che Rete 4 si è prestata a fare da amplificatore alle farneticazioni russe sulla situazione ucraina. Anche questa volta rinneghiamo in pratica ciò che proclamiamo in teoria “Nel nostro mondo chiunque ha libertà di parola” E’ proprio vero?
A mio avviso bisogna distinguere. Se invitiamo un giornalista russo , anche dipendente da una TV pubblica (come è la RAI), è presumibile che lui/lei rifletta le opinioni del suo Paese vista la legislazione esistente, ed è giusto incalzarlo su queste opinioni contrapponendone altre. Non è invece corretto chiudere ogni suo dire con una domanda assolutamente retorica: “Lei potrebbe dire il contrario della versione ufficiale?” o, peggio, affermare “lei dipende da un ministero quindi può solo ripetere ciò che le dicono”. Se siamo convinti di ciò, perché li invitiamo? solo per insultarli ed umiliarli? Si tratta di una finta libertà di parola, anzi nel secondo caso qualcosa di peggio perché insultiamo indirettamente tutti i giornalisti RAI, dipendenti di una rete pubblica. Molto diverso, e decisamente più grave, è tutto il coro di commenti, arrivati fino al COPASIR (servizi segreti), dopo l’intervista al ministro Labrov. Quando si chiede un incontro al responsabile della politica estera di un grande Paese in guerra, l’unico obiettivo è capire quali siano il pensiero e le intenzioni sue e del suo Paese. Ove ci sia qualcosa di non chiaro si chiede un chiarimento. Non ha alcun senso contestarlo. L’incontro ha, e deve avere, il solo scopo di sentire direttamente alla fonte il pensiero di uno degli attori. Nient’altro Di fronte alle sue affermazioni o alla sua analisi di cause e prospettive, per quanto farneticanti esse siano, che cosa ci aspettiamo? Che si converta “sulla via di Damasco”? Scopo di un giornalista deve essere in questo caso quello di capire, non di negoziare che è mestiere deputato ad altri e certamente non pubblico. Non vogliamo sentirlo? Non invitiamolo a parlare. Ma allora come facciamo a sapere cosa il “diavolo” pensi? Ci affidiamo a ciò che la parte politica avversa, chiamiamola “angelo” gli mette in bocca? E siamo sicuri che non sia meglio sentire il diretto interessato piuttosto che l’interpretazione data da altri? Ricordiamoci l’aforisma attribuito erroneamente a Voltaire ma pur sempre valido. “Non sono d’accordo con ciò che dici ma darei la vita affinché tu possa dirlo”
Chiudo con un esempio di segno contrario, questa volta riferito al Santo Padre Francesco. Il direttore del Corriere, Fontana, con uno scoop di livello mondiale, ha intervistato il Papa, e le sue parole hanno in alcuni parti hanno destato scalpore in tutto il mondo ”Forse l’abbaiare della NATO alle porte della Russia <ha indotto il capo del Cremlino a reagire male e a scatenare il conflitto> Un’ira che non so dire se sia stata provocata, ma facilitata forse si”. Una posizione che io, nel mio piccolissimo, condivido appieno, ma che è avversata da molti media . Bene, il direttore Fontana non si è assolutamente sognato di contestare al Papa le sue parole, non lo ha “incalzato” come dicono i “giornalisti bravi”, ne ha preso atto ed ha pubblicato tutto senza commenti. Successivamente, quando gli è stato chiesto cosa ne pensasse, ha detto che c’erano alcune cose che non condivideva ma che ha riportato tutto doverosamente. Se volgiamo conoscere il parere del capo della Cristianità, nonché uno dei più riaspettati leader mondiali, dobbiamo ascoltare le sue parole, non chiederle al suo segretario o magari a un cardinale americano. Questo è giornalismo.
A questo proposito ho visto il 28/4 un vero esempio di dibattito serio ed argomentato fra Paolo Mieli e Michelle Santoro condotto benissimo da Corrado Formigli. L’argomento era ovviamente la guerra in Ucraina, i “duellanti” avevano opinioni sostanzialmente diverse ma molto ben argomentate e con la possibilità di esporle in maniera esauriente. Anche noi siamo quindi capaci di fare buona informazione, perché essa deve essere un’eccezione?
11 GENNAIO 2022
2022 Che anno ci aspetta – Parte seconda
Partiamo di nuovo dalle parole di Angela Merkel che, ripeto, cito a memoria “ Nelle discussioni internazionali dobbiamo sempre guardare il mondo con gli occhi degli altri” e applichiamole al summit organizzato dal presidente Biden recentemente.
Il summit della democrazia
Come tutti voi sapete, Biden ha organizzato un dibattito fra tutti i Paesi da lui considerati democratici. E’ questo un chiarissimo esempio, a mio avviso, di come esso costituisca il contrario degli sforzi per un mondo pacifico e inclusivo che il segretario generale dell’ONU Gutierrez ha chiesto a tutti nell’ultima assemblea generale per evitare una catastrofe mondiale. Questo summit ha creato reazioni in tutto il mondo ed è utile analizzare meglio quanto è successo per capire ciò che ci aspetta. Partiamo dall’elenco degli invitati. Esso è stato analizzato da varie organizzazioni occidentali indipendenti e mi riferisco principalmente al “Carnegie Endowment for international peace” Gli invitati sono 101 Paesi su 193 aderenti all’ONU e ciò di fatto divide il mondo in “buoni e cattivi”. Ma con che criterio sono stati scelti? Ci saremmo aspettati un gruppo ridotto di “democrazie compiute” ma non è così. Combinando i punteggi dell’indice di Freedom House con i risultati del progetto “Varieties of Democracy” otto di essi, Angola, Repubblica democratica del Congo, Iraq, Kenya, Malesia, Pakistan, Serbia e Zambia, avrebbero ber poco titolo per “essere ammessi al club”. Altri quattro sollevano parecchi dubbi: Brasile, India Filippine e Polonia. E’ presente Taiwan che è oggi indubbiamente un Paese libero (secondo la Freedom House ha uno score più alto di Francia, Italia, Spagna ed anche USA, ed è uguale a quello della Germania), ma non è un Paese dell’ONU e non è riconosciuto neanche dagli USA. Da un’analisi più dettagliata si deduce che siano stati invitati anche altri Paesi non propriamente democratici ma comunque utili agli interessi geopolitici degli Stati Uniti. Non è bello ma non c’è da stupirci perché il summit è stato creato non con scopi accademici ma per ovvi obiettivi politici. Chandran Nair, CEO del Global Institute for Tomorrow, e membro del comitato esecutivo del Club di Roma, scrive che la Carta delle Nazioni Unite firmata nel 1945 stabilisce che è diritto sovrano di ogni nazione perseguire il proprio sistema politico. E la scelta di ogni nazione è legittimata unicamente dal suo popolo. Questo summit invece considera sostanzialmente “stati paria” quasi la metà del mondo. Ma il mondo possiede una diversità di sistemi politici che dobbiamo tutti imparare ad accettare e con cui lavorare per rendere più efficace la cooperazione multilaterale. Dividere il mondo in due campi è limitante, regressivo, e riflette una mentalità da guerra fredda che è controproducente. E’ chiaro che l’obiettivo americano è quello di isolare la Cina ma Biden dovrebbe chiedersi perché tanti Paesi non stiano dalla sua parte. Secondo C.N. molti Paesi erano colonie più o meno ufficiali dell’Occidente. Essi ritengono che Biden sia mosso dal desiderio di mantenere la propria superiorità, derivante da secoli di dominio “imperiale” dell’Occidente che oggi cerca ancora di mantenere anche con altri mezzi. In secondo luogo questi Paesi hanno sofferto il fatto che la diffusione della democrazia sia servita a impedire la loro sovranità effettiva. Essi inoltre ritengono che l’Occidente usi l’argomento dei diritti umani selettivamente per bloccare azioni legittime di altri Paesi e invece chiude gli occhi sul rispetto dei diritti umani nei Paesi alleati. Al contrario, molti fra questi Paesi “esclusi” ignorano o trascurano ciò che l’Occidente dice della Cina e guardano ai “fatti”. Vedono come in settant’anni quel governo ha cambiato le condizioni di vita del suo popolo, vogliono ottenere gli stessi risultati e non sono interessati alla “retorica fuorviante dell’occidente circa i vantaggi della democrazia”. Mi pare che questa analisi sia un esempio classico di devianza dal “metodo Merkel”, utilizzare solo il proprio punto di vista in maniera assiomatica senza analizzare il punto di vista dell’altra parte, anzi delegittimarla.
Il nuovo gigante cinese e la modifica degli equilibri mondiali
A proposito di “guerra fredda” Foreign Affairs, pubblicazione molto autorevole della destra americana, scrive del “Nuovo Ordine mondiale di Xi Jinping” e comincia dalla dichiarazione di Xi che “ora, quando i nostri giovani vanno all’estero possono sentirsi orgogliosi, a differenza di noi quando eravamo giovani”. L’ambizione di X. circa l’importanza globale della Cina è indiscutibile, ma il mondo si chiede dove voglia arrivare. La formidabile rete di alleanze statunitensi che ha sostenuto il sistema internazionale per più di 70 anni si sta dissolvendo a favore di un quadro cinese che propone dialogo, negoziazione e cooperazione. Allo stesso modo in cui le aziende americane, europee e giapponesi hanno guidato lo sviluppo delle infrastrutture mondiali del ventesimo secolo, le aziende cinesi competono per guidare nel ventunesimo. Questo cambiamento nello scenario geostrategico riflette e rinforza una trasformazione profonda. Il mondo dopo la II guerra mondiale è stato sostanzialmente plasmato da democrazie liberali impegnate a sostenere diritti universali come i diritti umani, la forza della legge, il libero mercato e interventi limitati del governo nella vita politica e sociale dei cittadini. Le istituzioni multilaterali e internazionali erano modellate per promuovere tali principi e la tecnologia era adoperata per rinforzarle. Xi cerca di cambiare questi valori promuovendo la primazia dello stato. In questo modo istituzioni, leggi e tecnologia rafforzano il controllo dello stato, limitano le libertà individuali e pongono limiti al libero mercato. Credo che questa analisi sia assolutamente lucida e fotografi la realtà. Inoltre Xi mira a ricostruire la realtà storica della Cina quando dice “Il dovere storico di completare la riunificazione della madre-patria deve essere adempiuto e sarà adempiuto.” Xi ritiene quindi prioritario il ricongiungimento con Hong Kong e Taiwan < For.Aff. non menziona Macao, forse perché non interessa a nessuno, ma per la Cina Macao è assolutamente analogo a Hong Kong>. Ed anche questo è vero. Xi ha avuto un particolare successo nel cementare la posizione economica cinese in Asia, ed oggi i membri dell’ASEAN costituiscono insieme il primo partner economico della Cina. La BRI è la chiara rappresentazione del ruolo centrale a cui aspira la Cina. Con i suoi tre corridoi via terra e i tre via mare esso tende a connettere Asia, Europa, Medio-Oriente e Africa evocando la memoria della storica “Via della seta” del periodo di massimo fulgore del Celeste Impero. Alcuni stati grazie a questo stanno cambiando profondamente, con i vari progetti in corso nel campo dell’energia, delle infrastrutture stradali, del gigantesco porto di Gwadar e delle sue infrastrutture digitali. In Grecia, gli investimenti cinesi hanno reso il porto del Pireo primo in Europa e fra le prime 50 infrastrutture portuali del mondo. E poi F.A. continua con la lista di come la Cina sia diventata uno dei due grandi players economici globali. Tutto assolutamente vero. Le conclusioni tratte da F.A. sono quelle condivise da tutto il mondo occidentale, vale a dire “Da tutto ciò consegue che la Cina ambisce a dominare il mondo… Noi dobbiamo adoperare ogni mezzo per salvaguardare i nostri principi di libertà e democrazia”. La consequenzialità fra l’ipotesi e la tesi di questa affermazione è assolutamente arbitraria e basata sulla storia di tutto il mondo occidentale fatta solo di conquiste, colonialismo e imposizione dei nostri principi religiosi, sociali e culturali. Si era data una apertura alla Cina sperando, ma anche questo in maniera arbitraria, che col tempo essa avrebbe accettato i principi che l’Occidente non era riuscito a imporre nel secolo di colonialismo armato. Il punto essenziale è che noi abbiamo il dovere di salvaguardare i nostri principi, ma non abbiamo il diritto di imporli ad altri Se invece si facesse uno sforzo per studiare la storia della Cina, cosa dicevano di essa i primi Occidentali che si avventurarono in quel mondo chiuso e pacifico, se in sostanza si adottasse il “metodo Merkel” si eviterebbe di attribuire il nostro pensiero e questi obiettivi a chi è così diverso da noi e potremmo evitare questo percorso di reale guerra fredda che sta già provocando gravi conseguenze economiche e un rischio serio di una prossima guerra. Un esempio, riportato da un quotidiano di Hong Kong, fornisce una visione chiara di questo conflitto che supera ogni logica.
Tutti noi conosciamo la vicenda di Julian Assange, il giornalista che pubblicò una serie di fatti riguardanti le atrocità e le gravi violazioni dei diritti umani commesse dagli USA nel mondo. Nessuno ha mai contestato la veridicità di quanto pubblicato. Da ormai più di dieci anni questo giornalista è oggetto di una reale persecuzione dalle istituzioni americane per riuscire a portarlo in America dove sarebbe condannato al carcere a vita con l’accusa di spionaggio e gravi danni alla sicurezza nazionale. Queste azioni non si sono fermate alle normali richieste diplomatiche ma a pesanti pressioni nei confronti dei governi svedese, Equadoregno, e ora britannico. Peggio, i servizi segreti americani hanno anche tentato di assassinarlo all’interno dell’ambasciata dell’Equador a Londra. Ma non è questo il tema sollevato dall’articolo. In esso, infatti, si sostiene “Se Assange avesse fatto ciò in Cina sarebbe certamente stato processato e condannato. Ma cosa avrebbero detto tutti i media Occidentali e gli stessi governi? Essi avrebbero certamente acclamato Assange come un eroe che ha svelato le atrocità compiute dal regime cinese, e che come tale deve essere immediatamente liberato. Infatti il giornalismo di inchiesta, quando rivela fatti veri e documentati di grande valore sociale è garantito dagli ordinamenti di tutti gli stati occidentali Sarebbero inoltre state immediatamente applicate ulteriori sanzioni contro la Cina e contro le stesse persone responsabili della condanna”. Mi pare un’analisi assolutamente sincera e corretta perché ammette ciò che sarebbe stato fatto in Cina ma inchioda tutto il nostro mondo al concetto innegabile di “due pesi e due misure” applicato verso chi è “diverso da noi”.
Il confronto con la Russia
La pericolosità dell’attuale crisi geopolitica non è legata però solamente ai rapporti USA-Cina ma molto più larga e generale. Esiste infatti un terzo attore nel mondo, ed è la Russia che oggi ha svariati, importanti punti di scontro con gli Stati Uniti. Il più importante di essi risale alla fine della seconda guerra mondiale. Come vi ho già detto il mondo fu allora rigidamente diviso in zone di influenza che ben presto ebbero due soli attori e iniziò il periodo della guerra fredda. Questo fu interpretato dalle due parti in maniera assolutamente rigida sia all’interno che all’esterno del proprio blocco. Gli USA il 5 giugno 1947 avviarono il Piano Marshall che da un lato favoriva la ricostruzione dei Paesi europei e dall’altro rafforzava i vari governi nei confronti dei partiti comunisti particolarmente forti in Italia. Nel 1949 inoltre fu firmato e approvato dai vari parlamenti il trattato della NATO che permetteva (e permette ancora) l’intervento militare americano e lo stanziamento di basi americane in Europa a protezione di essi in caso di attacco sovietico. L’URSS dal canto suo fra il ’47 e il ’48 favorì la formazione di governi comunisti all’interno dell’Europa orientale, e nel 1955 stilò il patto di Varsavia, sostanzialmente speculare alla NATO. Ci furono vari tentativi di violazione da entrambe le parti e numerose operazioni “coperte” dei servizi segreti, ma lo scontro più importante fu la crisi di Cuba nel 1962. Il presidente Kennedy, informato dai servizi segreti della presenza di missili sovietici nell’isola, dispose un rigido blocco navale e impose all’URSS di ritirare le armi atomiche. Si arrivò sull’orlo della guerra ma i sovietici cedettero. Nel 1979 i Paesi aderenti alla NATO decisero l’istallazione di missili dotati di testate nucleari in Europa da contrapporre alle analoghe armi istallate dietro la cortina di ferro e puntate contro le principali città dell’Europa Occidentale. Gorbaciov, arrivato al potere, iniziò una modifica profonda del sistema sovietico, orientata a una graduale liberalizzazione della politica e dell’economia attenuando la conflittualità fra i due blocchi. In seguito a quanto concordato da Reagan e Gorbaciov a Washington il 10 dicembre 1987 e a Mosca il 2 giugno 1988 si arrivò alla proibizione degli armamenti missilistici nucleari a corto e medio raggio e al conseguente smantellamento di circa 2700 missili esistenti in Europa. Era un grande passo verso la pace. Nell’autunno 2018 però Donald Trump si ritirò dal trattato accusando la Russia di non rispettare l’accordo e la Cina di non aver mai aderito ad esso. Dopo 20 anni il pericolo nucleare in Europa era tornato. Arrivo all’Ucraina, e non voglio occuparmi della questione ingarbugliatissima e delle ragioni e torti fra le due parti che sono fuori dal discorso di oggi. Voglio solo andare al fondo della questione. Putin ha dimostrato di non essere mosso da alcun interesse ideologico, il marxismo –Leninismo dell’URSS è ben lontano dai suoi pensieri. Ciò vale un po’ di più per il mondo occidentale ma non penso che Trump, anche lui guidato da motivi più “pratici” abbia denunziato l’accordo INF per questioni ideologiche. E allora? Era abbastanza evidente ma recentemente lo stesso Putin ha spiegato che oggi l’Ucraina sarebbe più un fardello difficile da sopportare, che un qualsiasi vantaggio. Il vero motivo della dislocazione delle sue truppe ai confini dell’Ucraina è molto più concreto ed è oggi costituito dal vecchio problema delle zone di influenza e del mondo diviso a blocchi, sempre sostanzialmente due: gli USA da un lato, e dall’altro la Russia e la Cina, costretti ad allearsi per fronteggiare un nemico comune. Nessuno, infatti, vuole missili nucleari alle proprie frontiere. Oggi, con il combinato disposto dell’inesistenza del trattato denunziato da Trump, e della partecipazione, ove accettata, dell’Ucraina alla NATO, la Russia avrebbe i missili americani alle proprie frontiere come fu in maniera speculare per gli USA durante la crisi di Cuba. L’Ucraina all’interno della NATO sarebbe una minaccia gravissima alla sicurezza stessa della Russia e ciò spiega sia la rapida “escalation” della situazione, che la necessità della Russia di avere garanzie solidissime che l’Ucraina non verrà mai ammessa nell’organizzazione militare occidentale. Per questo motivo Putin è a mio avviso pronto a un conflitto militare. Del resto, per chi si ostina a non capirlo, la stessa situazione spiega l’esistenza della Corea del Nord, senza la quale i missili americani arriverebbero direttamente alla frontiera cinese.
Conclusioni
Kissinger, quando in piena guerra fredda realizzò il riavvicinamento fra gli USA di Nixon e la Cina di Mao dichiarò “Mi auguro che i Presidenti americani dei prossimi decenni saranno così saggi da ondeggiare in politica estera fra la Russia e la Cina, alternando la loro vicinanza a una o all’altra badando bene però a non affrontarle mai insieme con il risultato di farle avvicinare fra loro.” La politica americana avrebbe dovuto seguire questo saggio consiglio e invece ha agito in maniera contraria. Xi Jinping, appena arrivato al potere, fece tesoro a suo favore di questa verità storica e si precipitò a Mosca a offrire un’alleanza mettendo da parte la rivalità culturale storica che li aveva portati sull’orlo della guerra qualche decennio prima. Sostanzialmente offriva le enormi risorse economiche cinesi in cambio di una sicurezza di approvvigionamenti petroliferi via terra. Gli altri aspetti dell’alleanza erano collaterali. Putin poteva sopravvivere alle rappresaglie economiche americane, e la Cina poteva allontanare lo spettro del blocco ai suoi approvvigionamenti energetici vitali.
L’idea che la Cina, una volta arricchitasi, si sarebbe fatalmente convertita ad un capitalismo liberale e democratico di tipo Occidentale si è rilevata altrettanto erronea e quindi l’idea di una “pax americana” in cui gli USA, secondo i loro principi avrebbero assicurato l’ordine mondiale è ormai archiviata. La Cina ha raggiunto una capacità economica analoga a quella americana, ha relazioni economiche e politiche con un numero di Paesi uguale a quello degli USA ed è vista con favore da un numero crescente di governi e popolazioni del terzo e quarto mondo che hanno per lo più avuto esperienza del colonialismo Occidentale. Essi considerano il nostro sistema politico estraneo alla loro cultura e, al contrario, osservano con stupore e ammirazione la capacità del sistema cinese di uscire in pochissimo tempo dalla povertà assoluta per arrivare se non alla ricchezza, almeno a un certo benessere diffuso.
Dopo il turbine creato da Trump che in quattro anni ha sovvertito mezzo secolo di politica estera americana, Biden è costretto a muoversi in un sentiero molto stretto avendo da un lato i Trumpiani ancora molto forti e la gran parte dell’opinione pubblica di entrambi i partiti ormai contraria a qualsiasi accordo con la Cina, e dall’altro l’Europa disposta a un certo allineamento con l’alleato ma certamente non a scapito dei propri interessi. A parte questo non può scontentare altri Paesi come le grandi potenze emergenti (India e Indonesia), alleati storici dell’area (Australia e Giappone), i Paesi del Sud Est asiatico, molto esitanti a scontentare il grande vicino etc. Biden quindi presenta le relazioni con la Cina come una lotta tra democrazia e autocrazia in cui ci sarà un solo vincitore destinato a sconfiggere e soggiogare l’altro. Esattamente l’opposto rispetto alla ricerca di una forma di coesistenza. Egli fa in questo modo un gigantesco errore storico e culturale anzitutto immaginando la Cina come una potenza che si sta armando per confrontarsi con la potenza USA e cita ad esempio la presenza militare del PLA negli stretti e il potenziamento dei suoi armamenti. Niente di più sbagliato. Gli USA hanno circa 800 basi militari sparse per il mondo che, fra l’altro, accerchiano le coste cinesi in due anelli pronti a strangolarla. Le loro flotte navali possono intervenire in poche ore in ogni angolo del mondo e oggi sono costantemente presenti in prossimità delle stesse coste della Cina. A fronte di tutto ciò la Cina possiede due piccole portaerei e due basi militari capaci di proteggere i loro rifornimenti petroliferi durante il transito nell’Oceano Indiano. Se quindi hanno creato e stanno potenziando un esercito difensivo e capace di reagire a eventuali guerre locali, non possono certamente preoccupare il grande avversario. Hanno certamente una capacità missilistica a livello intercontinentale (anche se minore di quella americana) ma oggi una guerra a nucleare a lungo raggio che distruggerebbe il mondo intero in qualche ora è assolutamente inconcepibile. La strategia cinese è piuttosto quella, (dimostrata da tutta la sua storia) di creare di nuovo una grande nazione dedita ai commerci su una scala più larga possibile, resa possibile innanzi tutto dalla loro capacità straordinaria di espandere le loro reti, creare infrastrutture capillari e efficienti, accettare qualunque realtà statale senza curarsi dei principi locali, purché esistano rapporti pacifici, gli unici che possono favorire i loro legami economici. Due visioni del mondo del tutto antitetiche quindi. Da un lato gli USA che considerano il mondo intero come un’area immensa da convertire ai loro principi considerati in maniera fideistica come una religione da imporre con le armi se necessario. La nostra storia è piena di queste crociate. E dall’altra un Paese, la Cina, che è ritornata ai suoi principi ancestrali (adattate ai tempi) governata da un “imperatore” e da una schiera di saggi che cercano il bene, la salute, la sicurezza e la prosperità del popolo. Un padre di famiglia, autoritario se vuoi, ma capace di conoscere e indicare la via. A differenza dell’occidente però i Cinesi non vogliono né convincere, né convertire ma arricchirsi. Ovviamente in entrambi i casi si tratta di principi e la realtà è molto più variegata. Di ciò che dico però ci sono indizi nella vita di tutti i giorni. Le comunità cinesi nel mondo sono ormai diffuse capillarmente, a Roma esistono negozi, bar, piccole realtà industriali, ma al di fuori di essi diventano invisibili. Avete mai visto un cinese partecipare a una manifestazione a Roma? Probabilmente mai, mentre esistono manifestazioni di tutti gli altri migranti. Quando arrivò in Italia il “virus cinese” essi furono i primi ad adeguarsi alle regole rigide di chiusure e lock down, in maniera anche più rigorosa di quanto prescritto. Lo stesso avviene in tutte le grandi città dell’Occidente. Intendiamoci, non sono santi, ma manca loro del tutto il concetto delle crociate per dei principi che tutti noi consideriamo “universali”. Essi di tutta evidenza sono per noi giusti e inderogabili ma certamente non sono universali visto che la maggior parte del mondo non se ne cura, e ovunque noi cerchiamo di imporli creiamo solo sconquassi: Africa subsahariana, Libia, Algeria, Egitto, Iraq, Iran, Vietnam, Corea, Afghanistan etc.
Ma allora perché si armano? Perché sono così aggressivi verso Taiwan? Torniamo indietro nel tempo. Da 500 anni, dall’epoca degli Spagnoli e Portoghesi, con il supporto dei preti gli Occidentali cercarono di invadere e convertire il loro territorio. Ci riuscirono a partire dal 1842. Invasero e si spartirono la Cina cercando di distruggere la loro civiltà già al collasso per motivi interni. Da allora non abbiamo mai smesso di cercare quest’opera di conversione, non abbiamo mai lasciato loro libertà di completare la loro riunificazione. Gli Spagnoli sono liberi di bloccare, con le armi e la violenza, un tentativo della Catalogna di votare in maniera pacifica la propria indipendenza, e di condannare a pene durissime i capi di quell’organizzazione, ma se lo fanno i Cinesi a Hong Kong, con meno violenza e pene detentive ben più ridotte, sono per noi autocrati violenti e disumani. E tutto questo perché? Perché noi abbiamo fede nei nostri principi e dobbiamo obbligare il resto del mondo anche con la violenza a convertirsi ad essi. Anche se ciò dovesse costare 900 mila morti per lo più civili come in Iraq e Afghanistan, senza per altro ottenere alcun risultato.
Questo è il motivo per cui io temo una guerra. Perché non esiste niente di più distruttivo e catastrofico per l’umanità di quanto non siano le ideologie che, a partire dalla fine dell’illuminismo permearono buona parte della filosofia occidentale successiva. Esse acquisirono ben presto però un significato molto vicino a quello di dogmatismo e di faziosità fautrici di violenze. Taiwan aveva raggiunto con la Cina continentale un modus vivendi (di tipo assolutamente orientale) in base al quale i due Paesi vivevano in maniera relativamente tranquilla. Trump liberò il drago dalla bottiglia in cui era sigillato e oggi un piccolo incidente fra due navi o un’azione improvvida del governo taiwanese può scatenare un bombardamento da una delle due parti nello spazio di qualche MINUTO. E ogni azione genererebbe una reazione peggiore in una spirale sempre più violenta. A questo vogliamo arrivare? E perché? L’Europa vuole rinunziare a una pace finalmente ottenuta dopo mille anni di guerre continue, per impantanarsi in una guerra ben più disastrosa delle precedenti? Gli Americani non hanno mai sofferto le ferite di una guerra nelle loro carni, non hanno mai visto le loro città dilaniate dalle bombe quindi non ne capiscono la drammaticità. Sta a noi europei, alla nostra generazione far capire il valore della coesistenza. La Francia e la Germania dopo essersi combattute per secoli hanno capito che la convivenza all’interno di un’Europa che sta stretta a entrambi è molto migliore di una guerra. Cerchiamo di capire che dobbiamo tenerci cari i nostri principi e non accettare che altri cerchino di cambiarli, ma dobbiamo accettare anche il reciproco. Lasciamo correre il resto. La Russia è figlia della nostra storia e della nostra cultura. Essa è impregnata della cultura francese e della filosofia tedesca quindi in un certo senso ragiona come noi, ma la Cina no. Impegniamoci a conoscerla e a conviverci. Non esistono alternative.
Un evento di grande rilevanza, almeno in Europa ma credo anche nel resto del mondo, è stato l’uscita di scena di Angela Merkel dopo 16 anni di ininterrotta gestione del governo tedesco, ciò lascerà senz’altro un vuoto sensibile nei rapporti internazionali. Angela Merkel è stata secondo me la persona di governo più capace e influente nei rapporti internazionali dopo la caduta del muro di Berlino. Ciò è dovuto non solo all’importanza della Germania che, primo Paese in Europa, è terzo o quarto sulla scena internazionale, ma alla propria capacità insuperabile di negoziare con pazienza con tutti fino a trovare una soluzione accettabile, abbinata ad un’autorevolezza non comune. Sono certo che nel 2022 ne sentiremo la mancanza. Non mancano altri personaggi altrettanto autorevoli: certamente Papa Francesco, la cui superiorità morale è riconosciuta universalmente. Non possiamo neanche ignorare Mario Draghi che ha guidato con autorevolezza e competenza la BCE ma oggi non ha dietro di se uno Stato che goda di altrettanta autorevolezza e credibilità. Nessuno degli altri è per me allo stesso livello. Non lo è Biden, rivelatosi abbastanza mediocre e incapace (anche per la sua debolezza in Parlamento) di distaccarsi significativamente dalla linea politica di Trump. E certo non lo è Xi Jinping per la difficoltà insormontabile di noi Occidentali di decifrare i misteri e gli stessi sistemi della politica cinese. Inizierò quindi la mia analisi con alcune parole pronunziate, cito a memoria, proprio dalla signora Merkel “Nelle discussioni internazionali dobbiamo sempre guardare il mondo con gli occhi degli altri”. Riflettiamoci: per analizzare il mondo cercando di raggiungere un accordo piuttosto che uno scontro frontale è indispensabile capire quali possano essere i suoi interessi, i suoi punti di vista, i suoi problemi interni, la storia pregressa del Paese che rappresenta e, perché no, anche le emozioni sue e dei suoi concittadini. Sembra facile, ma in realtà è un esercizio difficilissimo perché nel far ciò deve lasciare il suo modo di vedere quelle problematiche ed invece mettersi nei panni della controparte, dimenticare per un attimo se stesso e osservare la situazione come la vedrebbe l’altro. E’ un’operazione che solo un negoziatore di razza sa fare, oppure un grande attore che dimentica se stesso per interpretare il suo personaggio. Solo in questo modo si può sperare di arrivare a un accordo pacifico, altrimenti si arriva sempre, senza eccezioni ad una prova di forza piò o meno esplicita, oppure ad un “appeasement”, una resa, come quella di Chamberlain di fronte a Hitler. Purtroppo credo che il nostro mondo non sia capace neanche di immaginare il primo scenario e abbia imboccato decisamente l’altra, pericolosissima, strada.
Oggi gli argomenti sul tavolo sono tantissimi e mi limiterò ad accennarli, riservandomi in seguito di approfondirli uno ad uno. Essi sono: il Clima, l’epidemia di Covid, il multilateralismo e la mancanza di ogni possibile “stanza di compensazione”. Non lo sono infatti, o non lo sono più, l’ONU, il WTO, l’OMS, l’Unicef, la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale etc. fino ad altri meno conosciuti ma altrettanto importanti come ad esempio il SWIFT, senza il quale sarebbero impossibili i movimenti di denaro internazionali. Andando oltre, esistono altri terreni di scontro più “ideologici”: fino a che punto può un singolo Paese interferire in ciò che succede in un altro Paese sovrano? Su che basi si possono analizzare in maniera universale e neutrale le violazioni dei diritti umani? Come gestire le rivoluzioni o i colpi di stato che periodicamente avvengono nel mondo? Su che basi un Paese può imporre sanzioni a un altro Paese e soprattutto anche a Paesi terzi di osservarle? Ed infine: esiste una definizione condivisa di che cosa sia la democrazia, e si ha il diritto di imporla ad altri?
Prima che la Seconda guerra mondiale finisse, i leaders di tre Paesi si incontrarono più volte per spartirsi il mondo alla fine degli eventi bellici: erano USA, URSS e Regno Unito. Quelle decisioni hanno determinato, nel bene e nel male le sorti del mondo fino ad oggi. La Gran Bretagna uscì in breve tempo dal proscenio, distrutta dallo sforzo fatto per sostenere sostanzialmente da sola la guerra contro Hitler, mentre fra USA e URSS la convivenza durò abbastanza poco. Essi avevano diviso il mondo in zone di influenza; le Americhe dovevano essere sotto il controllo degli Stati Uniti e da qui derivarono i successivi colpi di stato più o meno etero-diretti che le hanno periodicamente afflitte e la crisi ancora irrisolta di Cuba. Sempre gli USA controllavano in maniera altrettanto decisa il Giappone e tutto il Sud Est asiatico. La Russia invece controllava l’Europa orientale e l’Asia (escluso il continente indiano). Il limite invalicabile fra i due blocchi divideva l’Europa tagliando in due la Germania e arrivando fino ai confini orientali dell’Italia. In Asia i confini erano più chiari salvo il problema della penisola coreana, l’unica area del mondo dove la Seconda guerra mondiale non è ancora finita e vige soltanto un armistizio. Il Medio Oriente era rimasto in una situazione grigia, anche perché alcune linee di confine erano state tracciate con semplici linee sulla carta geografica senza considerare che esistessero dei popoli che le abitavano. La pace durò poco, iniziò la “guerra fredda”. Italia e Germania, poste sul confine fra i blocchi, furono un punto caldo per decenni; la Germania restò ufficialmente un territorio occupato e l’Italia un Paese a sovranità più che limitata con importantissime influenze (o ingerenze?) straniere evidenti fino a pochi anni fa e forse ancora oggi non del tutto scomparse. Ogni volta che una parte cercava di interferire nei “territori” dell’altra si arrivava vicinissimi allo scontro armato. La guerra di Corea e la crisi di Cuba furono fermate a un attimo da una guerra nucleare. Se l’Europa Occidentale ha evitato fino ad oggi ogni conflitto, ciò non si può dire per il resto del mondo. Non c’è mai stato, infatti, un solo anno in cui si sia visto un mondo senza guerre. USA e URSS si combattevano su “territori terzi” senza mai confrontarsi direttamente, fino a quando l’URSS non fu più economicamente in grado di sostenere il peso della continua conflittualità. Gorbaciov e Reagan posero le basi del nuovo ordine globale. Gli USA divennero gli “imperatori del mondo”, l’unica potenza globale in grado di stabilire le regole della convivenza forti della propria forza economica e soprattutto militare. Le loro basi militari erano in tutto il mondo e le loro sei flotte navali erano in grado di intervenire immediatamente in ogni scenario. Essi ovviamente cercarono di organizzare il mondo a loro immagine e somiglianza, assolutamente convinti che tutti si sarebbero convertiti più o meno rapidamente alle loro idee e al loro ordine. Erano (e sono) infatti convinti di avere una “missione” da compiere, un mandato divino: indicare, o imporre se necessario, i loro principi. Non si resero conto che dall’altro lato del mondo cresceva un Paese con una cultura certamente più antica della loro e principi filosofici e sociali totalmente diversi e inconciliabili. A scuola non ne avevano mai sentito parlare (come noi del resto) e se ne erano occupati solamente quando alla fine dell’800 pensarono bene, assieme a Inghilterra, Francia, Germania, Giappone e Italia di portare i loro eserciti, i loro cannoni, i loro sacerdoti e i loro predatori sul territorio del celeste impero nel momento di massima crisi della loro storia. Fu allora che i Cinesi conobbero l’imperialismo e non l’hanno mai dimenticato. E siamo arrivati ad oggi dove stanno venendo al pettine tutti i nodi di un secolo di storia. Ma come è successo? Così all’improvviso! Certamente no, nella storia niente avviene all’improvviso, ma c’è sempre una causa scatenante ed in questo caso per me è stata la presidenza Trump. Quest’uomo, come ho detto più volte, era convinto che ogni negoziato dovesse essere risolto con la forza, non necessariamente armata, ma costringendo l’avversario a piegarsi alle sue decisioni. Ne aveva scritto un libro “l’arte della negoziazione” in cui teorizzava proprio ciò. Il suo bersaglio non era solo la Cina, definita “un avversario” ma anche la Germania, che chiamava “nemico (foe)” e infatti con la Merkel non raggiunse mai un’intesa. Trump scientificamente distrusse tutti gli organismi internazionali, molti dei quali già traballavano. Faccio solo due esempi. Il WTO serviva a comporre le liti relative al commercio, e gli USA lo utilizzarono ampiamente, come quando fecero condannare AIRBUS per aiuti di stato e imposero sanzioni a tutta Europa, fra cui anche l’Italia che non faceva parte del Consorzio Airbus. A un certo punto però Trump sostenne che tale organizzazione era “manovrata dalla Cina” e decise di paralizzarne il funzionamento non nominando il suo rappresentante nell’organo sanzionante. In questo modo ottenne un vantaggio accessorio, evitando che fosse pronunziata una condanna alla BOEING americana, sempre per aiuti di stato. Stessa cosa avvenne con l’OMS, quando improvvisamente sempre Trump dichiarò di avere le prove che il Coronavirus fosse uscito dal laboratorio di Wuhan e sollecitò l’OMS ad agire. L’organizzazione rispose che sarebbe stata ben felice di esaminare le prove che gli USA avevano in mano, ma non le avevano mai ricevute. Anche in questo caso il presidente USA accusò l’organizzazione di essere al soldo della Cina e ne sospese i finanziamenti. In questa maniera portò fuori gli USA da quasi tutte le organizzazioni internazionali, sempre con l’accusa che i loro organi dirigenti erano al soldo della Cina. Visto che in tutti i casi si tratta di organi elettivi pare quanto meno strano che gli USA siano sempre in minoranza; e se è proprio così (cosa che non credo) queste sono proprio le regole della democrazia che gli USA sostengono a spada tratta. Proprio in base al disconoscimento di questi principi, lo stesso ONU non funziona. L’assemblea generale, infatti, unico organo rappresentativo del mondo intero, ha solamente il diritto di fare raccomandazioni che sono regolarmente ignorate dalle potenze con diritto di veto al consiglio di sicurezza. Su questo ho scritto di recente un articolo. Con la lotta ai mutamenti climatici Trump non poteva per vari motivi adottare la stessa strategia, quindi ha deciso di uscire dal trattato perché a suo dire Obama non era stato capace di tutelare gli interessi americani. Giuridicamente poteva farlo ma i trattati internazionali sono fatti fra Stati, e firmati dai loro rappresentanti pro-tempore. Quando tale rappresentante viene sostituito in maniera routinaria, il nuovo arrivato dovrebbe semplicemente prendere atto degli impegni del suo Paese, non cancellarli ad-libitum. La conseguenza è stata che, quando è cambiato di nuovo il presidente USA, Biden, appena entrato in carica, si è limitato a dire “America is back” come se niente fosse, senza dare una spiegazione, una giustificazione, dell’accaduto e dichiarando di porsi “alla guida delle azioni da fare”. E cosa succederà fra tre anni, quando sarà eletto il nuovo Presidente? Confermerà o cancellerà di nuovo il trattato? Credo che sia lecito chiederselo come è lecito chiedersi se è accettabile che il resto del mondo sia in balia delle decisioni di un Paese che può cambiare idea ogni quattro anni. La stessa cosa ha fatto, uscendo dal trattato INF che aveva eliminato i missili a medio e corto raggio, e di questo parleremo in seguito. Infine meno conosciuta è la storia dell’accordo JCPOA sul nucleare iraniano firmato il 14 luglio 2015, dopo due anni di negoziati, fra l’Iran da un lato, e dall’altro Cina, Francia, Russia UK, USA e Germania (più l’Unione Europea) per vietare all’Iran l’arricchimento dell’uranio ed altre attività connesse, con lo scopo di bloccare la proliferazione del nucleare. L’AIEA, agenzia internazionale per l’energia atomica, aveva accesso anche a sorpresa a tutti i siti nucleari iraniani per verificare il rispetto dell’accordo. In cambio l’Iran avrebbe ottenuto la cessazione delle sanzioni economiche. L’8 maggio 2018 gli USA su richiesta di Israele annunciano l’uscita unilaterale dell’accordo e rilanciano le sanzioni economiche contro l’Iran per indurre “il brutale regime iraniano a cessare la propria attività destabilizzante”, niente a che fare quindi con l’accordo sul nucleare. Gli altri Paesi firmatari non si allineano alla decisione americana. Il 5 novembre 2018 gli USA ripristinano le sanzioni contro l’Iran e impongono agli altri Paesi del mondo di attivare le stesse sanzioni se non vogliono a loro volta essere sanzionati dagli USA. Ricordo che l’AIEA ha sempre sostenuto che l’Iran ha assolutamente rispettato l’accordo firmato. Il 15 agosto 2020 gli USA propongono al consiglio di sicurezza dell’ONU un ulteriore aumento dell’embargo, ma questa risoluzione viene bocciata con solo due voti contrari, 11 astenuti ed il voto favorevole di USA e Repubblica Dominicana. Il 20 settembre e l’8 ottobre gli USA impongono ulteriormente altre sanzioni incluso i prodotti alimentari ed i medicinali. Nel frattempo Russia e UE sostengono che gli USA dopo la risoluzione unilaterale non hanno il diritto di applicare sanzioni. Inutile dire che ciò resta lettera morta. A questo punto l’Iran riattiva i suoi programmi di arricchimento nucleare. Biden cerca di porre riparo ma vorrebbe “salvare la faccia” e non essere screditato anche all’interno del suo Paese. Propone quindi che, se l’Iran riprenderà a osservare l’accordo, gli USA lo riattiveranno. Teheran sostiene che si sta attenendo strettamente alle clausole dell’accordo in casi del genere e dichiara che bloccherà le sue attività solo quando gli USA avranno cancellato le sanzioni e saranno rientrati nell’accordo. L’Iran inoltre rifiuta trattative dirette con gli USA. il 6 aprile 2021 tali trattative indirette ripartono, ma, cinque giorni dopo, un impianto nucleare iraniano è attaccato da Israele per ridurre il potere contrattuale avversario nei negoziati. L’Iran chiede inoltre di avere “garanzie credibili” che il successore di Biden non esca di nuovo unilateralmente dall’accordo come ha fatto Trump. I negoziati indiretti sono ancora in corso. Come vedete quindi ogni azione più o meno inconsulta, ma inequivocabilmente imperialista mette sempre di più in pericolo una soluzione pacifica dei problemi. Questa è oggi la situazione del mondo ed è lampante che siano a rischio le basi della convivenza mondiale. Non si può negoziare quando si è intimamente convinti che qualunque accordo potrebbe in ogni momento, e senza reale motivo, diventare carta straccia. E le conseguenze si vedono. Solo i media europei non parlano apertamente di una possibile guerra fra i due blocchi. Sia in America che in Asia pubblicazioni prestigiose ne paventano il rischio.
4 giugno 2021
La grande epidemia – Anno secondo – Parte terza e conclusioni
In un articolo del 15 maggio u.s. l’Economist fa un atto d’accusa senza precedenti. Ha messo a punto infatti un modello che valuta il numero reale di morti per Covid sulla base di 121 variabili. Ne risulta che i morti causati dalla pandemia sono ad oggi circa 10 milioni (un intervallo fra 7.1 e 12.7). I “morti in eccesso” sono quindi il triplo di quello ufficiali. Questo conto (come vi avevo anticipato) era già stato fatto per l’Italia ed altri Paesi occidentali ma è la prima volta (a mia conoscenza) che viene fatta una valutazione mondiale. Ovviamente la maggioranza dei 6.7 milioni di morti in eccesso è nei Paesi a reddito medio e nei Paesi poveri. In Romania e Iran ad esempio le morti in eccesso sono più del doppio del numero ufficiale. In Egitto è 13 volte maggiore, mentre in Nord America la differenza è solo il 7%. Parliamo quindi di un numero enorme di morti. E non è ancora finita!
Abbiamo imparato la lezione?
In fondo, a questo punto la cosa più importante è proprio questa. Il Primo Ministro inglese Boris Johnson il 30 marzo 2021 ha promosso e firmato assieme al direttore generale dell’OMS ed altri 23 capi di stato e di governo di tutto il mondo un documento molto nobile il cui titolo è “Nessun governo può affrontare da solo la minaccia della pandemia. Dobbiamo procedere insieme”. Vi anticipo, perché è molto importante a mio avviso, che esso non è stato firmato sia dagli USA che dalla Cina. Con mia sorpresa manca anche la firma italiana a differenza di quella (oltre a UK) di Francia, Germania, Spagna, Olanda, Grecia, Norvegia e Comunità europea. Ve ne trascrivo una parte
“ La pandemia di Covid 19 rappresenta la maggiore sfida alla comunità internazionale a partire dagli anni ‘40. A quell’epoca, dopo le devastazioni delle due guerre mondiali, i leaders del mondo collaborarono per creare un sistema multilaterale. L’obiettivo era chiaro: riunire i Paesi del mondo per bloccare le tentazioni di isolazionismo e nazionalismo e per affrontare le sfide che si sarebbero potute superare solamente assieme in uno spirito di solidarietà e collaborazione. Oggi abbiamo la stessa speranza che, come combattiamo insieme per superare la pandemia di Covid 19, possiamo creare un più solido sistema di gestione della salute mondiale per proteggere le generazioni future. Ci saranno altre pandemie ed altre emergenze sanitarie. Nessun governo o associazione multilaterale può affrontarle da solo. La questione non è “se”, ma “quando”. Dobbiamo essere insieme meglio preparati per predire, prevenire, scoprire, valutare, e rispondere efficacemente alle pandemie in una maniera altamente coordinata. Il Covid ci ricorda che nessun è in salvo fino a che ciascuno è salvo… A questo fine, noi pensiamo che le nazioni dovrebbero lavorare assieme per un nuovo trattato internazionale per la preparazione e la risposta ad una pandemia…. Tale impegno dovrebbe essere inserito negli atti costituitivi dell’OMS…. <Esso include> la collaborazione per migliorare ad esempio il sistema di allarme, lo scambio di informazioni, la ricerca, e la produzione su scala regionale e globale di tutto ciò che è necessario, come vaccini, medicine, attrezzature diagnostiche e protettive. Dovrà inoltre includere il riconoscimento dell’esistenza di “una salute” che unisce tutti gli esseri umani, gli animali e l’intero pianeta…. Nel momento in cui il Covid 19 ha evidenziato la nostra debolezza e le nostre divisioni, dobbiamo cogliere questa opportunità e procedere insieme come una comunità globale per una collaborazione pacifica che vada al di là di questa crisi…. La nostra solidarietà nel fare in modo che il mondo sia meglio preparato sarà la nostra eredità per la protezione dei nostri figli e dei nostri nipoti, e ridurrà l’impatto delle pandemie future sulle nostre economie e le nostre società.”
Il giorno dopo, 1 aprile 2021 Claire Wenham, professore associato di politica sanitaria globale alla London School of economics, ha scritto sul Guardian un commento molto amaro alla lettera di Johnson che purtroppo riflette la realtà attuale. Infatti se è vero che BJ propone un trattato internazionale per gestire la pandemia, perché nel frattempo non si sono applicati i trattati esistenti? Il Regolamento Sanitario Internazionale (IHR) fornisce già ora l’architettura legale che delinea ciò che i governi devono fare per prevenire, rilevare e rispondere ai focolai di malattie infettive: ciò include la condivisione di informazioni sui patogeni emergenti con l’OMS; attuare interventi di sanità pubblica per prevenire la trasmissione di malattie e nel lungo termine sviluppare all’interno dei sistemi sanitari la capacità di identificare e rispondere alle minacce emergenti. Parallelamente esistono altri approcci multilaterali come l’Agenzia globale per la sicurezza sanitaria, il G7, a livello regionale la rete di sorveglianza delle malattie del bacino del Mekong etc. Invece, nel caso del Covid 19 molti Paesi si sono deliberatamente allontanati dalle linee guida proposte dall’OMS, hanno eluso le norme dell’IHR e tutte le prescrizioni di solidarietà globale con il loro impegno per il nazionalismo dei vaccini rispetto agli sforzi per una distribuzione equa di essi. La lezione appresa purtroppo è che è la politica e non la scienza a guidare la risposta alle epidemie. Il punto è che l’IHR è uno strumento tecnico che delinea le responsabilità dei governi ma non esiste alcun incentivo o meccanismo di applicazione vincolante. Si ipotizza che istituzioni internazionali più “ricche” e più potenti potrebbero gestire tutto ciò mantenendo l’OMS come gestore tecnico, ma realisticamente che poteri hanno il FMI, il I WTO o lo stesso consiglio di sicurezza dell’ONU? E’ del tutto evidente che questa pandemia è stata gestita dallo scontro USA – Cina e che nel Consiglio di sicurezza entrambi hanno, e utilizzano spesso, il potere di veto, residuo della seconda guerra mondiale. E’ difficile immaginare che i governi accettino una riduzione della loro sovranità e del pieno controllo del proprio Paese in tempi di crisi. In un saggio molto più ampio, pubblicato da CW assieme ad altri si propone, all’interno dell’OMS, di affiancare agli epidemiologi anche esponenti della diplomazia internazionale. Questi ultimi sarebbero forse più capaci di analizzare e comprendere le vere motivazioni alla base dei comportamenti dei governi e quindi esercitare una “mediazione” fra i differenti interessi
Intendiamoci, prima di proseguire voglio chiarire che non ho la più pallida idea se il virus sia sfuggito dal laboratorio di Wuhan o, come dichiarato più volte da Trump, sia stato addirittura fabbricato in laboratorio. Mi limito ad affermare, e cercherò di darne evidenza qui, che la guerra USA-Cina, a tutto campo anche se per adesso senza bombe e missili, si è impadronita di questa vicenda. Su questa base è assolutamente impossibile scoprire alcunché di utile per prevenire le prossime epidemie, anzi probabilmente si verificherà l’opposto, se in qualche modo ne saranno coinvolti USA e Cina. Se le cose stanno così diventa quindi inutile qualunque tentativo o qualunque sforzo per soluzioni che implichino una qualsiasi forma di collaborazione. La lettera firmata da Johnson e dagli altri leaders mondiali deve essere quindi considerata una pura anche se nobile utopia.
Il comportamento dell’OMS all’inizio dell’epidemia. Il suo ruolo base era (come in tutte le epidemie di questi ultimi decenni) raccogliere le informazioni arrivate dai vari Paesi, informarne il mondo e fornire le linee guida man mano che esse venivano messe a punto. Nella fase iniziale l’OMS ha perfettamente adempiuto al suo ruolo. Ricapitolo gli eventi principali.
Il primo gennaio 2020 annunzio di un focolaio da virus ignoto a Wuhan, 10 gennaio pubblicazione del genoma. Inoltre a partire dal 1 gennaio pubblicazione giornaliera di tutti i dati disponibili. 13 gennaio primo caso in Tailandia, Il 14 gennaio l’OMS dichiara che “è certamente possibile un contagio uomo-uomo <anche se> fino ad oggi non se ne ha evidenza” 15 gennaio primo caso in Giappone. 19 gennaio conferma di una trasmissione inter-umana. 20-21 gennaio prima missione a Wuhan. Il 22-23 gennaio OMS organizza una riunione del comitato di emergenza per definire se sia il caso di proclamare lo stato di PHEIC (public health emergency of international concern). Oggi l’OMS è accusato di non avere dichiarato l’emergenza, ma si trascura il fatto che questa dichiarazione fu bloccata con un voto a maggioranza fra cui quello di parecchi Paesi Europei. 24 gennaio tre casi in Francia. 25 gennaio, la sezione europea dell’OMS suggerisce a tutti gli stati di prepararsi per l’arrivo dell’epidemia. 27-28 gennaio, una seconda delegazione ad alto livello dell’OMS si reca in Cina. 30 gennaio un nuovo meeting del comitato di emergenza vota finalmente a maggioranza il PHEIC. Fino a questa data al di fuori della Cina ci sono solo 98 casi e nessun morto in 18 Paesi. I casi di contagio uomo-uomo sono solamente 8 in 4 Paesi (Germania, Giappone, USA e Vietnam). Non si può quindi ragionevolmente affermare che l’OMS si sia mossa in ritardo. Purtroppo ciò fa aumentare le responsabilità dei vari Paesi per la loro inerzia e quindi si spiega perché tutti accusano un’organizzazione esterna.
La Cina. Come vedremo in seguito c’è concordanza di opinioni nel mondo scientifico che potrebbero esserci stati dei casi di Covid in Cina prima di quello, noto, del primo dicembre. Essi erano però sporadici e per lo più asintomatici. E’ credibile che, come negli altri Paesi nello stesso periodo, i primi casi sintomatici siano passati inosservati e scambiati per normali polmoniti. In Occidente, come prova delle azioni deliberate per soffocare l’informazione, si cita la storia di Li WenLiang l’oculista “arrestato” per aver scoperto per primo il Covid e poi morto di Covid. La storia in realtà, a quanto mi risulta, andò un po’ diversamente. LWL fu informato da conversazioni fra medici che stava succedendo qualcosa di preoccupante, aveva anche lui gli stessi dubbi e li diffuse su una chat. Probabilmente, come succede spessissimo in Cina, essa fu bloccata, il medico chiamato in questura, ammonito che stava violando le procedure e rimandato a casa dove riprese il suo normale lavoro. Detto ciò, in Cina le notizie sensibili, e questa lo era, devono essere comunicate secondo procedure ben codificate. Ciò non toglie che ci furono indubbi ritardi e responsabilità delle autorità della provincia, ed esse furono rimosse già il 13 febbraio. Il 20 gennaio però la Cina, primo Paese al mondo, proclamò il “lockdown” per un numero di persone uguale alla popolazione italiana e ben più duro di quello attuato da noi e in tutto l’Occidente. Costruì in tempi ridottissimi interi ospedali e riorganizzò totalmente la struttura sanitaria. In questo modo, dopo poco più di due mesi l’epidemia era superata. Si mossero tardi? Probabilmente si, ma come ci siamo comportati noi in Italia che conoscevamo l’esistenza del virus dall’inizio di gennaio? Vi ricordate la Lombardia all’inizio? A beneficio di tutti riporto alcune dichiarazioni dei vari leaders politici quando Giuseppe Conte ebbe il coraggio e la lungimiranza di proclamare il lockdown in Italia.
Zaia: Sono misure esagerate, al momento per noi non hanno una ratio….La misura di isolamento estremo non ha avuto nessun conforto né scientifico, né di lealtà istituzionale con i tecnici della Regione Veneto che da mesi seguono l’evolversi della situazione…. L’ultimo contatto con Conte è stato prima di mezzanotte”
Fontana: La bozza del provvedimento del governo che ho ricevuto solo in serata sembra andare nella direzione del contenimento della diffusione del virus…..Ciò detto non posso non evidenziare che la bozza del DPCM, è, a dir poco, pasticciata”
Bonaccini: Noi stessi, come governatori, avevamo parlato della necessità di misure più restrittive, visti i dati di crescita dei contagi…… Ci siamo trovati a dover dare un parere in pochissimo tempo, mentre la bozza era già di dominio pubblico e si diffondeva la notizia di zone rosse allargate, impossibilità di spostamenti, blocchi produttivi. Per questo abbiamo chiesto tempo. L’obiettivo non è in discussione, ma vogliamo arrivarci dando informazioni chiare e precise
Fontana di nuovo: I cittadini, i lavoratori potranno muoversi con assoluta libertà senza subire vincoli e condizionamenti: Questa cosa si deve chiarire subito “perché domani l’attività della Lombardia deve essere normale ed efficace”.
Sala: Milano deve vivere! E l’epidemia già dilagava.
E tutto ciò quando negli stessi giorni gli “eroi degli ospedali” parlavano in maniera ben diversa. Ne cito uno solo di una lunga lista che pubblicai l’anno scorso
“La situazione ora è a dir poco drammatica. Non mi vengono altre parole in mente. La guerra è letteralmente esplosa e le battaglie sono ininterrotte giorno e notte. Uno dopo l’altro i poveri malcapitati si presentano in pronto soccorso. Hanno tutt’altro che le complicazioni di un’influenza. Piantiamola di dire che è una brutta influenza.
Certamente, come ho detto, la Cina ha avuto i suoi ritardi e non ha senso fare la graduatoria fra chi ha operato meglio e chi ha operato peggio. Cerchiamo però di essere obiettivi
Gli USA
Il 3 gennaio arrivano a Trump i primi rapporti dell’intelligence americana che parlano dell’epidemia. In un articolo del 19 maggio 2020 il New York Times fa un’analisi di come Trump si sia giocato nel tempo la “carta Cina”. Leggiamo che fra gennaio e febbraio 2020 Trump in ben 15 occasioni ha lodato l’approccio di Xi JinPing nel controllo del Covid: “A nome del popolo americano desidero ringraziare il Presidente Xi…. Stanno facendo un lavoro veramente professionale” C’era un motivo: all’inizio di gennaio le delegazioni cinese e americana stavano negoziando attivamente la prima fase di un accordo che ponesse fine alla durissima guerra commerciale, ed entrambi, anche se per motivi diversi, avevano interesse a firmare questa tregua come infatti è avvenuto il 15 gennaio. Motivi assolutamente politici quindi! Fin dall’inizio dell’epidemia, come documentato dal Washington Post e dal Guardian, Trump è stato continuamente e dettagliatamente informato dei pericoli del Covid (The Guardian 14 aprile 2020) ma ha minimizzato o addirittura fornito false informazioni (Washington Post 9 aprile 2021) per evitare riflessi sull’economia americana nell’anno delle elezioni che si preparava a vincere trionfalmente. Di nuovo la politica! Ciò è confermato per altro direttamente dal Presidente in un’intervista al giornalista Bob Woodward (la persona per intenderci che, giovanissimo, scoprì e pubblicò lo scandalo del Watergate che provocò le dimissioni del presidente Nixon). Massimo Gaggi ci racconta sul Corriere dei vari incontri che BW ebbe con Trump nella preparazione del suo libro sulla presidenza, oggi pubblicato anche in Italia.
In particolare su questo argomento Trump disse di aver parlato con Xi aggiungendo “questo virus è roba grave, mortale: si trasmette nell’aria, respirando, ed è molto più pericoloso degli altri virus influenzali……<il Covid> ha un tasso di mortalità del 5% rispetto all’1%, o anche meno, delle altre influenze”. Poi il Presidente ammise di aver minimizzato la gravità dell’epidemia “e continuerò a farlo perché non voglio creare panico”. Sempre BW nel suo libro riferisce anche che già il Consigliere per la Sicurezza Nazionale aveva avvertito il Presidente che “il coronavirus rappresenta la maggior minaccia per la sicurezza nazionale di tutta la sua presidenza”. A quel tempo anche la reazione di Biden fu durissima. In un comizio in Michigan disse “Il Presidente sapeva che una malattia mortale si stava diffondendo nel Paese e non ha fatto il suo lavoro per proteggere i cittadini: ha tradito il popolo americano su una questione di vita o di morte. E’ inosservanza dei suoi doveri, siamo oltre lo spregevole”. E Trump: “Sono un cheerleader dell’America e non voglio spaventarla con cose orrende, bisogna dimostrare leadership per evitare che si diffondano paura e sfiducia.” Trump dichiarò di aver deliberatamente mentito sulla gravità dell’epidemia per non turbare gli americani. Sempre la politica, al di sopra di tutto anche nel Paese ritenuto il simbolo della democrazia.
Di nuovo la Cina. I cinesi, in maniera avventata dichiarano, anche loro senza alcuna prova, che il virus è stato portato in Cina da atleti americani che avevano partecipato ad un evento internazionale poco prima dello scoppio dell’epidemia. In un’opinione pubblica ormai tutta schierata in supporto della tesi USA, questa affermazione (altrettanto infondata di quella sul laboratorio di Wuhan ed entrambe teoricamente possibili) viene considerata come un’ulteriore conferma del fatto che la Cina stia cercando di intorbidare le acque per nascondere le proprie responsabilità.
Inizia qui la seconda fase. Trump non riesce più a negare l’epidemia in crescita in tutto l’occidente mentre in Cina sta già scomparendo e decide di chiamare questa epidemia “il virus Cinese”. Esiste una fotografia del Washington Post (che vedete in testa a questa nota) in cui si può notare che il Presidente, di suo pugno, corregge il testo del discorso che sta facendo ed introduce la parola “Cina”. E’ l’inizio della battaglia politica perché da quel momento in poi tutto il mondo occidentale cominciò in maniera unanime ad attribuire responsabilità gravissime alla Cina. Trump disse subito di aver le prove che questo virus fosse uscito (forse volontariamente) da un laboratorio e che avrebbe chiesto i danni alla Cina o avrebbe imposto sanzioni gravissime addirittura la cancellazione dell’immunità sovrana. Ovviamente né lui né i suoi successori hanno pubblicato queste prove, che l’OMS chiese immediatamente fossero rese pubbliche, anzi Biden ha chiesto ora all’intelligence americana di cercarle rapidamente. Purtroppo gli americani sono adusi a questo tipo di “prove” come gli “incidenti del Tonchino” o “le armi di distruzione di massa” che si rivelarono entrambi dei falsi clamorosi purtroppo dopo aver provocato centinaia di migliaia di morti in Vietnam e in Iraq.
L’OMS venne accusato aspramente dal presidente Trump di aver “fatto da spalla” alla Cina nel nascondere i ritardi e soprattutto le vere origini della pandemia in modo che non venissero a galla le responsabilità del governo cinese per i milioni di morti causati nel mondo. Trump arrivò al punto da uscire dall’organizzazione, bloccandone i finanziamenti in un momento assai critico. Le sue accuse vennero al momento smentite da quasi tutti gli scienziati del mondo ed anche dalla prestigiosa rivista medica americana “Lancet” che dichiarò prive di fondamento alcune dichiarazioni del Presidente (Lancet 14 aprile 2020)
“L’accusa del Presidente Trump <all’OMS> è quindi senza fondamento… Con le sue accuse infondate all’OMS e il blocco degli aiuti finanziari durante una crisi globale della sicurezza sanitaria, il Presidente Trump ha danneggiato l’integrità del suo ufficio e del suo governo… La decisione del Presidente Trump di danneggiare un’agenzia il cui solo scopo è quello di proteggere la salute e il benessere dei popoli del mondo è un crimine contro l’umanità…”
L’agenzia France Press in una nota da Pechino dell’8 Maggio (rilanciata da Al Arabiya) riporta “China said Friday that it supports the establishment of a panel led by the World Health Organization to review the global response to the coronavirus pandemic…. The review should be conducted in an open, transparent and inclusive manner at an appropriate time after the pandemic is over”.
Il New York Times scrive il 19 maggio 2020 “ I membri dell’OMS nella loro riunione annuale a Ginevra hanno supportato l’OMS ignorando largamente le richieste di Trump e chiedendo supporto di fronte a una gravissima pandemia. La risoluzione ha isolato gli USA dal momento che i rappresentanti di Cina, Russia e UE hanno criticato il comportamento di T. pur riconoscendo la necessità di una verifica del comportamento dell’OMS, dell’esperienza acquisita e di ciò che il mondo ha appreso dalla risposta internazionale al Covid. L’assemblea dell’OMS ha dato mandato all’agenzia di lavorare con le altre organizzazioni internazionali ed i vari Paesi per identificare la “sorgente zootica del virus” e la maniera in cui esso è entrato nella popolazione umana. Inoltre richiede al Direttore generale di iniziare una valutazione imparziale, indipendente e completa della risposta al Covid nella prima occasione appropriata e in consultazione con gli Stati Membri, per rivedere l’esperienza acquisita e la lezione appresa e fornire raccomandazioni per migliorare la capacità di prevenzione, preparazione e risposta alla pandemia.
I patti erano quindi ben chiari: Il governo cinese accettò la commissione indipendente purché essa avesse carattere esclusivamente scientifico e l’indagine fosse fatta non solamente in Cina, anche perché erano venuti fuori dati non acquisiti prima, circa altri casi verificatesi in parecchi Paesi del mondo in date non compatibili con l’epidemia di Wuhan. Infatti venne fuori da analisi retrospettive che fin da novembre2019 si erano verificati casi di Covid in Italia, Francia e Stati Uniti. Era quindi necessaria un’indagine che, a partire da Wuhan dove era esploso il primo focolaio,; devono essere molte di più risalisse la genealogia delle varie mutazioni dei genomi in maniera da capire non solo dove fosse stato il reale paziente zero ma anche (e direi soprattutto) in che tempi ed in che maniera il virus si fosse spostato fulmineamente in tutto il mondo. Era questo in sintesi l’obiettivo per programmare la maniera più appropriata per affrontare le epidemie future. Le polemiche scoppiarono prima ancora che la missione partisse e si protrassero per tutta la sua durata. Alla fine, sia nella conferenza stampa immediatamente dopo le riunioni che nel rapporto finale (circa 500 pagine fra testo e allegati) si elencarono tutte le cause possibili con una loro analisi e l’ipotesi che il virus fosse venuto fuori dal laboratori di ricerche di Wuhan fu dichiarata estremamente improbabile. Ovviamente le fonti americane dichiararono che la missione “era stata una farsa” al punto che il direttore generale dell’OMS ritenne necessario chiarire che le ricerche sarebbero comunque continuate in tutte le direzioni, inclusa la “fuga dal laboratorio di Wuhan”. Anzi le richieste di una “forensic investigation”, un’investigazione cioè di tipo inquisitorio-giudiziario fu avanza ancora di più. Ciò era assolutamente al di fuori di quanto concordato e soprattutto era assolutamente inaccettabile per i Cinesi in quanto una sostanziale riduzione della loro sovranità per scopi politici.
Gli scienziati Durante questi due anni le ricerche non si sono mai interrotte. I primi casi in Cina sono stati retrospettivamente identificati come avvenuti il primo dicembre 2019 e secondo alcuni studiosi di Shanghai il virus potrebbe essere saltato sull’uomo vari mesi prima del rilevamento, forse già nell’estate o nell’autunno precedente. Come sostiene uno di essi sotto l’impegno dell’anonimato: oggi nessun Cinese o di altre nazioni del Sud-Est asiatico si azzarderebbe a pubblicare dati più precisi circa l’origine del virus vista l’importanza che questo argomento ha assunto nella lotta Cina – America. Nessun Paese in Asia Sud-Orientale vuole oggi essere collegato all’origine del virus – ha detto – Io ho alcuni colleghi dello Yunnan che stanno studiando assieme ad altri scienziati dei Paesi vicini i virus dei pipistrelli, ma c’è troppa politica coinvolta. Le persone percepiscono l’ostilità e la discriminazione oggi nei confronti della Cina e dei Cinesi.”
Uno studio dell’università di San Diego è giunto ad ipotesi abbastanza simili. Secondo loro “E’ altamente probabile che Sars-Cov-2 circolasse nella provincia di Hubei a bassi livelli all’inizio di novembre 2019, o forse già nell’ottobre 2019, ma non prima…. Quando il Covid-19 fu identificato per la prima volta, esso si era saldamente affermato a Wuhan. Il ritardo evidenzia la difficoltà nella sorveglianza di nuovi patogeni zoonotici con elevata trasmissibilità e moderato tasso di mortalità”. Lo studio ha anche esplorato diversi scenari, inclusa la possibilità che ceppi più deboli ma precedenti potessero essersi estinti prima che un ceppo più mortale iniziasse a diffondersi fra i residenti dell’Hubei. Lo studio suggerisce anche che il coronavirus potrebbe essere passato dagli animali all’uomo molte volte, anche se molti ceppi si sarebbero estinti e non si poteva escludere la possibilità che il caso indice fosse stato infettato al di fuori dell’Hubei.” L’alto tasso di estinzione che abbiamo dedotto – è la conclusione – suggerisce che la diffusione del virus simile al Sars-Cov-2 può essere frequente, anche se le pandemie sono rare”.
Questi studi dimostrano a mio avviso che se le indagini fossero state lasciate esclusivamente in mano agli scienziati si sarebbe probabilmente arrivati a risultati condivisi, estremamente utili per prevedere e affrontare le prossime epidemie fin dal loro nascere. In particolare lo studio americano fornisce una spiegazione del fatto che l’ispezione dell’OMS a Wuhan ha individuato due ceppi paralleli e simultanei al momento dello scoppio dell’epidemia. Il primo sembrerebbe esploso all’interno del famoso mercato, mentre l’altro non avrebbe niente a che fare con quel focolaio.
Oggi, in un nuovo revival delle responsabilità del laboratorio, gli organi di stampa occidentali hanno indicato una nuova “prova”. Tre dipendenti del laboratorio si sono ammalati in dicembre con sintomi simili al Covid. Ecco trovata la pistola fumante. Ma, scusate, se tutti concordano che il virus era presente in mezzo mondo già a novembre, bisognerebbe trovare delle eventuali prove in settembre, o al massimo nei primi di ottobre 2019! Che senso hanno questi veri e propri sproloqui?
Purtroppo il mondo, a causa di questa stupida battaglia ideologica che l’Occidente sta conducendo contro un mondo che non è in grado di capire ma vuole solamente soggiogare, ha perso un’altra occasione di trarre una lezione da ciò che è successo. Il “sentiment” che è rimasto in Occidente è “La Cina, col suo ritardo nell’informare il mondo ha creato milioni di morti che potevano essere evitati. Cosa possiamo aspettarci quindi da loro? Perché dovrebbero collaborare ed accettare di essere messi sul banco degli imputati?
Questo atteggiamento continua: qualche giorno fa il sito Dagospia e il quotidiano il giornale scrivono: “La Cina sul Covid ci ha ingannato due volte. La prima nascondendoci la sua origine e la sua diffusione, la seconda di raccontandoci di averlo sconfitto e di aver messo a punto dei vaccini efficaci. Già smentita sulla prima bugia, la Cina ora fa i conti con la seconda menzogna….. la pandemia sta infatti riesplodendo nel cuore di Guangzhou, la vecchia Canton, capitale della provincia del Guandong …… Come sempre le autorità cinesi cercano di ridimensionare e contenere l’allarme, ma la versione degli eventi, per quanto edulcorata non basta a celare la gravità della situazione… sono state chiuse linee della metropolita, degli autobus, le scuole, i ristoranti non all’aperto, e gli abitanti di quattro distretti cittadini vengono segregati in casa E tutto questo per la scoperta di appena cinque casi manifesti e 15 asintomatici.”
Tutto vero, ma il messaggio lanciato è che, per così pochi casi, è impossibile che il governo cinese prenda misure così drastiche; devono necessariamente essere molte di più! Come al solito la parte della notizia che non conviene alla tesi che si vuole proporre viene dichiarata falsa.
Torno quindi all’inizio della mia nota: ABBIAMO IMPARATO LA LEZIONE? ASSOLUTAMENTE NO, E LA STORIA CE NE CHIEDERA’ CONTO QUANDO UNA NUOVE PANDEMIA PROVOCHERA’ LE STESSE MORTI.
11 maggio 2021
La grande epidemia – anno secondo. Seconda parte
1.0 La disparità di contagio nel mondo
Alla luce di quanto abbiamo visto nella mia ultima nota salta subito agli occhi la notevole disparità nel numero di contagi e nel numero di morti nei vari Paesi del mondo. Le autorità di ogni stato si sono arrampicate sugli specchi per trovare cause che riducessero le responsabilità di ognuno e, purtroppo, la geopolitica ha esasperato questi veri e propri conflitti. Ne ho parlato a lungo l’anno scorso e rimando ai miei articoli dell’epoca chi fosse interessato. Questa volta mi limito a fornirvi qualche sommario e approfondimento. Alcuni aspetti sono del tutto evidenti ed un esempio è la notevole differenza fra Svezia da un lato e Danimarca, Norvegia e Finlandia dall’altro. Questi Paesi hanno molto in comune, a partire da un “distanziamento” intrinseco della popolazione e un’ottima struttura sanitaria. La Svezia però ha adottato una strategia di contrasto al virus molto meno rigorosa degli altri tre Paesi ed i risultati si vedono: 1333 morti/milione di abitanti, contro 420 della Danimarca e 150 della Finlandia. Il governo svedese confidava nell’autoregolamentazione dei cittadini e sperava in questo modo di scongiurare la prevedibile crisi economica. La contrazione del PIL è stata per la Svezia 2,8%, 2,9% la Finlandia, 2,5% la Norvegia e 3,3% la Danimarca. Sembra che oggi la velocità di recupero della Svezia sia un po’ più alta ma comunque, a mio avviso, i minimi vantaggi economici non giustificano il sacrificio di tante vite umane che poteva essere evitato. Dell’Europa continentale vi ho parlato a lungo l’anno scorso. L’Italia sta purtroppo in coda alla triste graduatoria dei morti. Ogni Paese trova qualche spiegazione per giustificare le sue performances: l’Italia per esempio una maggior presenza di anziani, ma, come hanno dimostrato tante statistiche, questo fatto può spiegare solo una piccola parte della differenza. Certamente la Germania che è largamente in testa sia nella prima che nella seconda fase ha dimostrato di avere una maggiore organizzazione e soprattutto una più alta capacità di posti letto e personale sanitario specializzato, sia nei reparti normali che nelle rianimazioni, come pure di attrezzature. Credo che nessuno di noi potrà mai dimenticare le foto dei reparti di pronto soccorso in Spagna con i malati sdraiati su materassini direttamente sul pavimento, o in Italia in cui le ambulanze erano diventate posti letto ausiliari. E non dimenticherò mai i malati che venivano lasciati a casa fino a quando non erano in condizioni disperate. Infine le dichiarazioni dei medici nelle regioni più colpite che, esausti per la fatica, dicevano di essere costretti a stabilire le priorità per chi accettare in rianimazione. Erano come gli ospedali da campo durante una guerra e molta gente fuori non voleva accettarlo. Ma perché l’Europa, la ricca Europa, come pure gli Stati Uniti si sono fatti trovare così impreparati? Questa domanda richiede varie risposte: la prima è l’analisi di ciò che è successo, ma immediatamente dopo dobbiamo cercare di capire cosa sta facendo il mondo per prepararsi al futuro. Tutti gli esperti al mondo sono concordi almeno su questo punto. Come era già stata prevista negli anni scorsi una pandemia nel prossimo futuro, oggi sappiamo già che nei prossimi anni ce ne sarà un’altra, e poi un’altra ancora… Perché questa certezza? Guardiamo la storia. Le grandi pestilenze che hanno funestato tutta la storia dell’umanità impiegavano vari secoli per diffondersi da una parte all’altra del mondo. Si viaggiava a piedi o in carrozza o per mare in piccoli gusci affidati ai capricci del vento. Un’epidemia, per diffondersi, aveva bisogno di secoli e di condizioni particolarissime perché un contagiato moriva prima di arrivare lontano dal punto di partenza. E’ vero, contagiava altri, ma il fronte di avanzamento era lento. Le grandi epidemie di cui ci hanno parlato Boccaccio e Manzoni (per non andare troppo lontano nel tempo) impiegarono dei secoli. Oggi invece un ipotetico contagiato asintomatico in Asia prende un aereo e sbarca in Europa ancora asintomatico dopo dodici ore. Una volta arrivato si mescola, insospettabile, con la popolazione locale e il gioco è fatto. In previsione di una pandemia, tutti i Paesi del mondo, su indicazione dell’OMS avevano preparato appositi piani di emergenza che avrebbero dovuto essere aggiornati di tanto in tanto. Pochi si sono curati di farlo. Come sapete tutti, la magistratura italiana ha aperto un’inchiesta perché, una volta iniziata l’epidemia, pare che fosse stato scritto un rapporto negativo sulla situazione, poi fatto scomparire per non fare emergere le responsabilità di alcuni. E’ bene che la magistratura vada avanti e scopra eventuali responsabilità e possibili reati. Chiediamoci però una cosa, secondo me fondamentale. E’ stata questa la causa della nostra impreparazione? Sarebbe cambiato qualcosa se i piani di emergenza fossero stati aggiornati a tempo debito? Penso proprio di no, la causa vera è ben diversa. Il fatto è che tutto l’occidente non ha creduto assolutamente che un’epidemia, scoppiata nella lontana Cina, potesse arrivare all’improvviso e così presto da noi. Del resto l’Ebola non è mai arrivata e così pure la SARS ed infine l’aviaria. Anzi per quest’ultima il governo era stato fortemente biasimato per aver comprato vaccini poi rimasti inutilizzati. In un articolo dell’11 maggio 2020 ho allegato una serie di documenti che secondo me costituiscono un atto d’accusa per tutto l’Occidente. Vi riassumo solo alcune date.
Il 31 dicembre 2019 l’ufficio dell’OMS in Cina informa che un focolaio di polmonite di eziologia sconosciuta si è sviluppato a Wuhan. Il 3 gennaio, dei 44 casi riportati 11 sono in condizioni molto gravi. Le autorità cinesi informano che i segni clinici sono febbre, difficoltà respiratorie e le radiografie mostrano lesioni invasive ad entrambi i polmoni. Da quel giorno la sede dell’OMS organizza ogni pomeriggio una conferenza stampa con aggiornamenti. Il 12 gennaio la Cina pubblica la sequenza genetica del nuovo coronavirus.
Il 6 gennaio il governo giapponese da istruzioni a tutte le strutture sanitarie locali di controllare e comunicare tutti i casi di polmonite anomala con sintomatologia simile a quella di Wuhan. Il 16 gennaio viene scoperto il primo caso in un passeggero proveniente dalla Cina
In Tailandia il 13 gennaio viene scoperto il primo caso anche questa volta in un passeggero arrivato in aereo dalla Cina.
In Corea il 19 gennaio una passeggera arrivata all’aeroporto ha 38,3 °C di febbre, viene immediatamente isolata e ricoverata e il coronavirus è diagnosticato. Tutti gli ospedali devono segnalare casi di polmonite anomala.
Il 24 gennaio ci sono 830 casi in Cina (265 più del giorno precedente) e 11 all’estero. Il 31 gennaio il virus è arrivato in Giappone, Korea, Vietnam, Singapore, Australia, Malesia, Cambogia, Filippine, Tailandia, Nepal, Sri Lanka, India, USA, Canada, Francia, Finlandia, Germania e proprio in quel giorno anche in Italia. La diffusione, anche se estremamente limitata nel numero, è ormai mondiale. Il 31 gennaio il governo italiano "Ritenuto necessario provvedere tempestivamente a porre in essere tutte le iniziative di carattere straordinario sia sul territorio nazionale che internazionale, finalizzate a fronteggiare la grave situazione internazionale determinatasi…<dichiara> per sei mesi dalla data del presente provvedimento, lo stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie devianti da agenti virali trasmissibili… Per l’attuazione degli interventi… si provvede con ordinanze emanate dal Capo del dipartimento della protezione civile in deroga a ogni disposizione vigente ….”
E quando è stato il primo caso ufficiale in Italia? Questo è molto più facile. Il famigerato paziente 1 fuidentificato in un giovane (38 anni) che aveva partecipato ad una cena con un collega arrivato dalla Cina. (Oggi sappiamo che ci sono stati casi già a novembre non diagnosticati) Nei giorni successivi aveva fatto la sua vita normale, una partita di calcetto, una gara podistica, incontri vari etc. Annalisa Malara, una giovane anestesista di Cremona che lavorava all’ospedale di Codogno racconta gli avvenimenti, ed anche questo è molto istruttivo.
“Mattia, il paziente 1, dal 14 febbraio aveva la solita influenza, che però non passava. Il 18 è venuto in pronto soccorso a Codogno e le lastre hanno evidenziato una leggera polmonite. Il profilo non autorizzava un ricovero coatto e lui ha preferito tornare a casa. Questione di poche ore: il 19 notte è rientrato: quella polmonite era già gravissima…. Il paziente, e tutti noi, siamo stati salvati da rapidità e gravità dell’attacco virale. Dalla medicina è arrivato in rianimazione. Quello che vedevo era impossibile. Questo è stato il passo falso che ha tradito il corona virus. Giovedì 20, a metà mattina, ho pensato che a quel punto l’impossibile non poteva più essere escluso…. Ho chiesto un’altra volta alla moglie se Mattia avesse avuto rapporti riconducibili alla Cina. Le è venuta in mente la cena con un collega, quello poi risultato negativo……<Per fare il tampone> ho dovuto chiedere l’autorizzazione all’azienda sanitaria. I protocolli italiani non lo giustificavano. Mi è stato detto che se lo ritenevo necessario e me ne assumevo la responsabilità potevo farlo…..Verso le 12.30 del 20 gennaio i mie colleghi ed io abbiamo scelto di fare qualcosa che la prassi non prevedeva. L’obbedienza alle regole mediche è tra le cause che ha permesso a questo virus di girare indisturbato per settimane…. Il tampone di Mattia è partito per l’ospedale Sacco prima delle 13.00 di giovedì. La telefonata che confermava il Covid-19 mi è arrivata poco dopo le 20.30. Nel frattempo io e i tre infermieri del reparto abbiamo indossato le protezioni suggerite per il corona virus. Questo eccesso di prudenza ci ha salvato… Speriamo di aver contribuito a dare tempo a colleghi e istituzioni, in Italia e in Europa. Abbiamo guadagnato giorni preziosi per il contrasto all’epidemia. Se anche i cittadini li usano bene, rispettando indicazioni e misure di prevenzione, molti potranno guarire ed altri eviteranno il contagio”. Questo si che è un medico. Eppure ancora il 21 febbraio, nonostante il virus fosse ormai diffuso in tutto il mondo e in Italia fosse stato proclamato lo stato di emergenza sanitaria i protocolli non prevedevano alcuna procedure speciale. Ma c’è di peggio. Ieri leggevo un articolo qui in Italia che giustificava la nostra impreparazione dicendo che purtroppo noi siamo stati il primo Paese fuori dalla Cina ad avere un caso di Coronavirus. E’ ignoranza o disinformazione? Mi auguro la prima, ma in entrambi i casi è deprecabile.
Cosa intendo dire. Mentre il Giappone già il 6 gennaio dava istruzioni di controllare tutti i casi di polmonite anomala e dare immediatamente l’allarme (e lo stesso succedeva in tutto il mondo orientale), in Italia (e più o meno in tutto l’Occidente) nonostante lo stato di emergenza già in ritardo di suo, ancora un mese dopo non era stata messo in atto alcun vero ed efficace protocollo di emergenza. E’ questa la vera responsabilità ed è del tutto indipendente dal mancato aggiornamento delle procedure generali di emergenza. E’ però figlia della stessa incuria, della maledetta burocrazia che almeno in Italia (non so all’estero) è del tutto incapace di mettere in atto ogni decisione politica o amministrativa senza ritardi, o con ritardi accettabili. Del resto sappiamo tutti che una legge, una volta approvata definitivamente in Parlamento, diventa operativa solo dopo molti mesi per mancanza di decreti attuativi o altre diavolerie del genere. Impareremo la lezione? Purtroppo non credo. Abbiamo infatti preso un’altra strada: cercare il colpevole lontano da noi.
Quanto detto non spiega però da solo l’enorme differenza di contagi e morti fra noi ed i Paesi sparsi nell’oceano Pacifico fra la Tailandia e la California sia nell’emisfero nord che al di sotto dell’equatore. Non voglio parlarvi della Cina perché riceverei la solita risposta “E’ un’autocrazia e può imporre leggi ferree” e via di seguito. Vi parlo di tutti gli altri Paesi governati dai regimi più diversi ed abitate da etnie diversissime. Come ho cercato di mostrarvi nell’articolo del mese scorso quei Paesi possono mostrare “numeri” molto diversi dai nostri. Come mai? Con poche, semplici regole, basate sugli stessi principi anche se applicate in maniera diversa.
1 Allarme a tutte le unità sanitarie fin dal primo annunzio del virus all’inizio di gennaio
2 Isolamento di ogni focolaio al suo primo apparire
3 Tracciamento dei contagi sfruttando al massimo tutti gli elementi che la tecnologia ci mette a disposizione oggi. Si limita la privacy? Certamente, ma la salute pubblica e la vita di milioni di persone dovrebbe essere prioritaria. Del resto la figura che vi ho mostrato il mese scorso in cui Google indica giorno per giorno i movimenti delle persone (e ovviamente sa molto di più) è già una limitazione, come pure lo sono le telecamere di sorveglianza di cui sono piene le nostre strade (in mano di privati), la conoscenza puntuale di tutti i prelievi bancomat, dei pagamenti con carte di credito, i passaggi in auto nelle zone a traffico limitato con relative fotografie, i contatti che abbiamo con il cellulare che le società telefoniche sono obbligate a conservare per anni con le relative posizioni…… Potrei andare avanti all’infinito.
In coda a queste note vi racconterò con qualche dettaglio, in via puramente esemplificativa, cosa è stato fatto in Corea.
2.0 I vaccini e l’Europa
Come tutti sapete, non appena il mondo si rese conto della serietà dell’epidemia, si scatenò un gigantesca gara a mettere a punto al più presto vaccini adeguati per bloccarla e sconfiggerla definitivamente. Nel frattempo l’unico rimedio sembrava un adeguato distanziamento; del resto esso aveva funzionato con la peste del ‘300 e quella più famosa dei Promessi Sposi. Si diffuse da quel momento la parola “lock-down”, confinamento, che però aveva significati ben diversi nei diversi Paesi. Il primo vaccino a essere registrato fu il russo “Sputnik V”, seguito a ruota da ben tre vaccini cinesi. Tutti erano basati su tecnologie convenzionali e furono accolti dall’ilarità più ancora che dalla diffidenza di tutti noi. Si diceva “Si, lo hanno fatto, ma Putin non si è mica vaccinato”, oppure “Chi sa se salva o si limita ad essere innocuo; purché non ammazzi”. Al di là dei pregiudizi molto diffusi esisteva una diffidenza reale, dovuta all’opacità dei dati messi a disposizione del mondo scientifico internazionale. In Occidente, gli USA diedero un imponente supporto finanziario per lo sviluppo di vaccini autoctoni, due in particolare, “Pfizer” e “Moderna” basati su tecnologie assolutamente innovative. C’era però una serie numerosa di altri vaccini in corso di sperimentazione, due dei quali “AstraZeneca” (inglese) e “Johnson & Johnson” (americana) più promettenti degli altri. In Europa, la francese “Sanofi” iniziò e poi sospese le sperimentazioni, e più in ritardo si mosse anche l’Italia con un vaccino “nazionale”. E’ di pochi giorni fa la notizia che tali studi sono sostanzialmente fermi per problematiche burocratiche relative ai finanziamenti! L’opinione pubblica italiana si divise sostanzialmente in tre fazioni. Fortunatamente la prima, la maggioranza, si dichiarava favorevole a vaccinarsi appena possibile e con qualsiasi vaccino. Esistevano però due gruppi molto chiassosi che andarono in piazza con manifestazioni molto accese. Il primo era costituito dai “negazionisti” che portavano avanti le teorie più stravaganti e talvolta spassose. Secondo una di esse Bill Gates sarebbe all’origine della creazione “artificiale” di questo virus che poi avrebbe trattato con vaccini da lui venduti a caro prezzo. Questi vaccini iniettavano un microchip mediante il quale attraverso il 5G l’intera umanità sarebbe stata posta sotto controllo! E’ incredibile a che livello di idiozia possa arrivare la gente. E di queste teorie ce n’erano, e ci sono ancora, un intero campionario. Il secondo gruppo sosteneva che i vaccini di nuova generazione erano pericolosissimi perché avrebbero alterato il DNA dei malcapitati vaccinati, con conseguenze drammatiche per i loro figli. Mai e poi mai si sarebbero fatti vaccinare con Pfizer o Moderna. Meglio andare sul sicuro e aspettare AstraZeneca (il contrario di quanto sta succedendo oggi).
I nostri governati hanno avuto a che fare con queste proteste, ovviamente amplificate dai Social.
Permettetemi di ricordarvi (o far sapere ai più giovani) che quando furono scoperti i vaccini antipolio, prima il Salk e poi il Sabin, nonostante i rischi che, specialmente il primo, comportavano, noi studenti venivamo prelevati a scuola a classi intere e portati ad essere vaccinati. Non c’erano dibattiti, moduli interminabili da compilare, permessi da chiedere etc. E la poliomielite è stata sconfitta. Oggi si viene a sapere che il vaccino Johnson & Johnson su sette milioni di vaccinati ha provocato sette reazioni serie di cui una mortale! L’opinione pubblica, senza alcuna competenza non dico di medicina ma neanche dei minimi rudimenti di statistica, dibatte non si sa di che cosa. Questi dibattiti dovrebbero essere lasciati agli scienziati. Del resto chi ha mai saputo (a parte alcuni specialisti) quanti morti hanno creato i vaccini antipolio o più semplicemente quante emorragie gastriche gravi produce l’aspirina come qualsiasi altro farmaco! Oggi una grande quantità di persone rifiuta il vaccino AstraZeneca (forse le stesse persone che prima rifiutavano Pfizer) e chiedono a gran voce che venga acquistato Sputnik (prima oggetto di risate) come hanno fatto a San Marino, o in alcuni Paesi della EU.
Queste possono essere considerate boutades, ma esistono problematiche ben più serie che vanno ascritte alla famosa tradizione che “la colpa è sempre di un altro, possibilmente lontano da noi”. Era abbastanza ovvio che, una volta che i vaccini fossero stati messi in commercio, ci sarebbe stata una battaglia senza esclusione di colpi per accaparrarseli per primi. Infatti, a parte l’uscita da una gigantesca catena di morti, ogni Paese una volta uscito dall’epidemia avrebbe potuto far ripartire la propria economia con conseguenti vantaggi rispetto agli altri. I Paesi della UE decisero correttamente di fare una trattativa comune con le varie aziende produttrici in modo da evitare, a parte l’inevitabile concorrenza internazionale, quella interna fra i 27 Paesi europei. L’acquisto separato poteva interessare forse la Germania e, parzialmente anche la Francia, ma certamente non gli altri Paesi, incluso noi, che non saremmo stati in grado di affrontare un’asta e non avevamo altre materie di pressione politica.
Bene, viene costituito un comitato in cui sono rappresentati tutti i Paesi, fra cui in posizione preminente Sandra Gallina, la rappresentante italiana. Alla commissione viene assegnato, come obiettivo prioritario, il raggiungimento del minor prezzo possibile vista la grande quantità di vaccini esistenti. Come tutti sapete si sono verificati notevolissimi ritardi nelle consegne a favore di altri Paesi. Di qui una gigantesca diatriba sull’incapacità negoziale “dell’Europa”. Ma è vero? Vi faccio l’esempio di Pfizer che ad un certo punto cominciò a ritardare le consegne. L’opinione pubblica si scatenò anche perché le clausole contrattuali erano riservate. La prima accusata fu proprio la dott. Gallina, colpevole di non essere esperta di virologia. In questo caso tale esperienza non serviva, mentre serviva una notevole esperienza di grandi negoziati internazionali. So anche che la Dott. Gallina ha condotto con successo altri negoziati molto delicati in materia doganale. Mi permetto di dire che qui si trattava di negoziare principalmente prezzi, termini di consegna, responsabilità e penali: una cosa molto specifica. Chi ha negoziato contratti di questo tipo sa bene che questi aspetti sono intimamente legati fra loro e l’obiettivo assegnato alla nostra delegazione era ben chiaro “minimo prezzo”. Ora, a parte Israele che ha pagato quasi il doppio (ma era un numero di dosi molto limitato), sia Inghilterra che USA hanno pagato enormemente più dell’Europa. Erano stupidi? Certamente no, perché in questo modo hanno potuto ottenere clausole più favorevoli in termini di consegne e penali. A questo proposito tutti citano una frase di questo contratto. Il fornitore si impegnava a fare i “best reasonable efforts” per consegnare le dosi pattuite su base trimestrale (quindi anche tutte l’ultimo giorno del trimestre). Ma c’è qualcosa di più importante. Le tre parole che vi ho citato sono state tradotte in italiano “massimo sforzo possibile”, ma questa traduzione è errata, il contratto recita reasonable che nella contrattualistica anglosassone vuol dire qualcosa di molto diverso. Sfortunatamente la lingua del contratto è inglese e probabilmente la legge di riferimento è anglosassone (inglese o americana). Non entro in dettagli che non credo vi interessino, ma quelle tre parole, secondo la contrattualistica internazionale, permettono a Pfizer di avere ritardi purché spiegabili e ragionevoli. L’immediata difesa infatti fu che in tempi così brevi non era stato possibile verificare in anticipo la resa di ogni batch di produzione. Si disse che le consegne erano un quinto di quelle contrattuali. Se così fosse sarebbe stato possibile chiedere comunque danni dovuti a infrazione grave del contratto, ancorché non menzionati esplicitamente. Molto diverso il caso se non ci fosse stata la parolina “reasonable” che crea la differenza. Sarebbe stato possibile non inserirla? Certamente ma non a quel prezzo ridottissimo rispetto agli altri. Oggi, è stato stipulato un altro contratto, sempre con Pfizer per una fornitura aggiuntiva: questa volta le forniture arrivano addirittura in anticipo! Come mai? Sembra che questa volta abbiamo pagato ogni dose il 25% in più. Non solo, ma stiamo negoziando un ulteriore grande fornitura ad un prezzo circa il 50% più alto di quello originale. E’ veramente colpa dell’Europa? Non credo proprio. La colpa è dei 27 rappresentanti che hanno pensato più al risparmi che ai risultati. Era ovvio che tutti volessero i vaccini per primi. E’ giusto? E’ eticamente corretto? Certo che no, ma invece di guardare a USA e UK guardiamo ai Paesi del terzo e quarto mondo. Molti di essi non hanno avuto ancora nessuna dose del vaccino. Se fossimo stati tutti trattati in maniera eticamente equa, vista la scarsità della produzione ne avremmo avuti molti, molti di meno.
3.0 Sospendiamo i brevetti?
Aggiungo un commento relativo a questo punto per il quale proprio ieri (5 maggio) si è aperta una discussione internazionale. Biden si è dichiarato favorevole alla sospensione dei diritti di brevetto per questo farmaco vista l’emergenza internazionale. L’Europa viene sollecitata a fare una dichiarazione analoga e a premere sull’OMS perché tutti i Paesi approvino una risoluzione in tal senso. Viene citata a questo proposito una legge americana che, in caso di emergenza, da al governo il diritto di imporre ad alcune fabbriche di riconvertirsi temporaneamente alle produzioni ritenute urgenti. Da un punto di vista emozionale credo che chiunque dovrebbe associarsi a questa richiesta invocata anche da Papa Francesco. Siamo stati prepotenti è vero, America e Europa si sono accaparrati la produzione completa disponibile al mondo ignorando le esigenze legittime degli altri. Le grandi case farmaceutiche si sono arricchite abbastanza, ma ora è tempo di porre un limite a questo egoismo estremo. I dati mondiali confermano tutto ciò. Fino ad oggi sono stati distribuiti oltre un miliardo e duecento milioni di dosi di vaccino. Vediamone però la distribuzione. A livello mondiale la media è 15,9 dosi ogni cento persone, ma come sono state utilizzate? In UK le dosi disponibili sono 76,7% (76.7 ogni cento abitanti), in USA il 75,3%, in Ungheria 67%, in Serbia 54,6%, in Germania 40%, in Spagna e Canada 39,5%, in Austria 38%, in Italia 37.5%, in Belgio e Portogallo 36%, in Francia e Lussemburgo 35%. Passiamo gradualmente al livello intermedio. In Brasile 21,9%, in Cina 20,7%, in Messico 15,5%, in Russia 14,5%, in Australia 9,7%, e in Giappone, inspiegabilmente anche tenendo conto che dovrà ospitare a breve le Olimpiadi, solamente il 3%. Andiamo infine al sud del mondo, la grande maggioranza degli ospiti del globo terrestre che hanno avuto la sfortuna di nascere nel posto sbagliato senza alcuna colpa. Tunisia 3,8%, Nigeria 0,61%, Etiopia 1% E’ facile comprendere che in questi Paesi i “potenti” sono riusciti in qualche modo a vaccinarsi. La gran maggioranza delle nazioni povere però, specialmente africane, non hanno ricevuto neanche una dose di vaccino. La media dei vaccini disponibili in Africa è pari a 0,8%, solo 8 vaccini ogni mille abitanti. Durante la fase in cui il mondo aspettava l’arrivo di questi farmaci si era deciso che medici e infermieri di tutto il mondo avrebbero dovuto avere la precedenza assoluta, ma neanche questo è stato ottenuto. Allora è ovvio, uniamoci tutti e facciamo in modo che in qualunque nazione si possano avere vaccini in gran quantità e a basso costo. Ma è possibile?
Prima di discuterne è necessario osservare gli antefatti
E’ a questo punto normale chiedersi “Perché Biden propone di sospendere i brevetti e liberalizzare la produzione dei vaccini (possibile forse in un paio d’anni da ora per completare tutte le procedure necessarie) quando sarebbe più semplice facilitare (o non impedire) la vendita di prodotti che potrebbero essere immessi in abbondanza sul mercato internazionale?
Ma anche questo è in fondo secondario. Chiediamoci anzitutto: una sospensione dei brevetti sarebbe una soluzione?
Analizziamone tutti gli aspetti. Si tratta anzitutto di disconoscere i diritti connessi alla proprietà intellettuale. Essi sono uno dei cardini fondamentali del nostro mondo capitalista-liberale e, su questa base, accusiamo pesantemente la Cina di imporre agli investitori stranieri la cessione delle tecnologie (mi consta direttamente che non è così e posso provarlo ma non è l’argomento di oggi). Resta il fatto che la violazione della proprietà intellettuale crea nel nostro mondo e nella nostra cultura un precedente gravissimo. L’OMS ovviamente plaude all’iniziativa e si attende le decisioni del WTO che avrà l’ultima parola. Già questo (l’unanimità di oltre 160 Paesi è richiesta) allungherà notevolmente i tempi. Ammettiamo però che questa sospensione dei diritti venga approvata in via eccezionale, essa costituirebbe comunque un precedente importante anche se fosse limitato alle sole emergenze sanitarie. Vi faccio alcuni esempi. Se dovesse l’inverno prossimo ripartire l’epidemia con ceppi diversi che richiedono una nuova vaccinazione di massa ed un nuovo vaccino come ci comporteremmo noi Americani ed Europei? Siamo proprio sicuri che accetteremmo una distribuzione uniforme in tutto il mondo a scapito dei nostri malati oppure alzeremmo di nuovo le nostre barricate? La nuova situazione infatti richiederebbe nuove ricerche, nuovi brevetti, nuove formulazioni e nuovi componenti senza i quali, brevetti o no, i vaccini non si possono produrre. Onestamente non credo proprio; ritorneremmo a un’asta indecorosa come quella dei mesi scorsi che noi tutti abbiamo voluto praticare. Ma c’è di più. Esiste una medicina (anch’essa molto sofisticata, a base di “anticorpi monoclonali”) che, se somministrata ai primi sintomi del Covid, può salvare moltissime vite. Mi pare che ci siano solo tre aziende al mondo a produrla e che la stiano studiando ora anche a Siena. Essa ha un costo altissimo (mi sembra oltre mille Euro per ogni fiala per ora) e una notevole difficoltà di produzione. In queste condizioni è difficile che questa medicina potrà mai arrivare alle popolazioni del terzo mondo. Oggi l’attenzione dell’opinione pubblica è focalizzata sul vaccino ma le organizzazioni sanitarie conoscono bene ciò che dico. E allora perché non applicare a questa medicina le stesse leggi? E che dire di tutte le altre epidemie che ogni anno aggrediscono i Paesi del terzo mondo senza sfiorare i Paesi ricchi? Quelle non ci interessano o facciamo lo stesso? E per la malaria, la malattia che fa più morti al mondo senza nessuna urgenza di accelerare le ricerche per un vaccino che vanno estremamente a rilento? Ma la malaria in Europa e in America non c’è!
Mettiamo da parte quanto ho detto e chiediamoci: ove fosse approvata, questa deroga sarebbe efficace? Si riuscirebbe ad immettere sul mercato una gran quantità di vaccini in tempi brevi? Secondo me no. Innanzitutto il nuovo produttore non potrebbe utilizzare il marchio originale (Pfizer, Moderna etc.), dovrebbe vendere il vaccino con un marchio sconosciuto. Inoltre le informazioni indicate su un brevetto sono quelle necessarie a proteggere la proprietà intellettuale dell’inventore, ma certo i segreti di produzione 8il vero know how) non sono descritti in dettaglio. Se così fosse, chiunque potrebbe produrre clandestinamente qualcosa coperta da brevetto e poi venderla sempre di nascosto. I segreti stanno solamente nella testa di alcune persone legate alle aziende in maniera strettissima. Quanto dico vale non solo per alcuni prodotti farmaceutici particolari, ma in ogni tipo di industria. In un brevetto in cui fui coinvolto come “inventore designato” moltissimi anni fa alcuni parametri critici come ad esempio alcune temperature erano indicati come un intervallo molto ampio etc.
Inoltre, una volta conosciuta la ricetta completa, servono le materie prime. Esse sono in questo caso varie decine e prodotte in varie parti del mondo. Anche in quel caso chi paga ottiene, e più paga prima ottiene. Non si può certo organizzare una produzione autarchica di tutto. Liberalizziamo anche queste?
Infine, l’aspetto più importante, bisogna attrezzare un centro di produzione estremamente complicato e costoso, servono macchinari il cui approvvigionamento richiede tempi lunghi, lo stesso edifico di produzione deve avere caratteristiche molto particolari, serve personale altamente qualificato, un laboratorio di analisi altamente sofisticato etc. altrimenti chi garantisce che ogni singola fiala non sia inutile o addirittura dannosa? Il controllo di qualità è anch’esso una materia molto difficile.
Allora non si può far niente? I popoli dei Paesi del terzo mondo devono morire? No, esiste una soluzione proposta mesi addietro da alcuni che sono stati immediatamente zittiti.
Stabiliamo intanto che, almeno in Europa, il prezzo dei farmaci non è completamente libero. Ogni produttore deve dare evidenza della composizione del prezzo, specificando diritti di brevetto, costi delle materie prime e ausiliari, costi di produzione, ammortamenti, costi generali, oneri finanziari, copertura dei rischi, profitto del produttore etc. Questi dati del resto compaiono nei bilanci delle aziende e sono certificati. Ciò che si evince è che il costo del brevetto ha un impatto ridotto sul prezzo totale del vaccino. E allora?
I Paesi ricchi, coordinati dall’OMS dovrebbero negoziare con “Big Pharma” un prezzo equo per la licenza, il know how e l’addestramento di chiunque volesse produrre in proprio questi vaccini. Tutto ciò dovrebbe essere pagato dai “Paesi ricchi”. A questo punto un numero notevole di stabilimenti sparsi in tutto il mondo ed in possesso già di una capacità di base sarebbero in grado di ricevere tutte le informazioni necessarie per produrre un vaccino testato e garantito purché si impegnassero (in maniera verificata) a produrre il vaccino al costo, maggiorato di un profitto ragionevole. Il pagamento dei costi di produzione (incluso approvvigionamento e costo delle materie prime) è un altro discorso da risolvere comunque anche nel caso di “sequestro del brevetto”. Per quanto mi risulta tutto ciò si sta verificando e le multinazionali che hanno il diritto di utilizzo dei brevetti stanno da tempo negoziando con fabbricanti locali qualificati la produzione su licenza. Ne è una prova il Serum Institute indiano che da tempo produce AstraZeneca e Novovax. Anche in Italia si partecipa alla produzione di AstraZeneca, ma solo all’infialamento (cioè al trattamento preliminare delle fiale vuote, al loro riempimento ed ai trattamenti finali fino alla spedizione, (come ci fanno vedere ogni sera durante i telegiornali), perché non dispone ancora delle attrezzature necessarie per la parte biologica; l’infialamento infatti richiede macchine convenzionali che sono facilmente disponibili fermando temporaneamente altre attività. Infine consideriamo che non è poi così facile convincere un’azienda a fare un investimento significativo con il rischio che poi, quando sarà in grado di vendere il prodotto, esso non sarà più necessario. Come ripaga il finanziamento ottenuto? Ed allora dovrebbero intervenire i singoli stati dando qualche forma di garanzia ai produttori ed anche ai venditori internazionali dei macchinari. E chi si fida delle garanzie fornite da molti Paesi africani?
Perché non se ne parla? Secondo me semplicemente perché è facile proporre di espropriare i diritti degli altri a furor di popolo senza che questa decisione possa avere un risultato in tempi utili, ma quando si tratta di mettere le mani al portafoglio e pagare, meglio glissare e far finta di niente, senza rendersi conto che non usciremo mai da questa epidemia finché essa sarà diffusa nel mondo. Questa è comunque l’unica soluzione possibile e auspicable: LIBERALIZZARE la produzione senza restrizioni protezionistiche di sorta e SUPPORTARE i Paesi poveri con finanziamenti o grant adeguati. E’ inutile cercare soluzioni cervellotiche e talvolta “fasulle”, Due sole parole su cui i Paesi ricchi si dovrebbero impegnare anche nel proprio interesse “LIBERALIZZARE e SUPPORTARE (pagare)”
Chiudo con una considerazione. Gli USA hanno accusato Russia, Cina, e, a mezza voce anche l’India, di fare un uso geopolitico dei vaccini per il fatto che hanno venduto e talvolta regalato il vaccino ai Paesi poveri. E’ difficile entrare nei pensieri dei vari governi ma indubbiamente questa azione tornerà loro utile. Resta il fatto che il vaccino comunque arriva e salva delle vite. L’Algeria ad esempio è ben felice di poter utilizzare il vaccino cinese e alla Russia fa comodo fornire il vaccino a San Marino facendo vedere agli italiani che in quella cittadina sono già quasi tutti vaccinati. Che dire però del mondo ricco che lo tiene tutto per se senza alcuna considerazione del fatto che l’83% del vaccino è stato distribuito nei Paesi del “primo mondo” e tenuto stretto nei loro/nostri frigoriferi anche al di là delle nostre necessita? Ecco, a questo punto è lecito il sospetto che Biden, vedendo montare la collera verso l’Occidente ha fatto il “beau geste”. Liberalizziamo il vaccino. Ammesso che ciò andrà in porto passeranno almeno due anni prima che una sola fiala venga prodotta con questa nuova regola. Sarebbe molto piu’ facile ed immediato permettere a chi gia’ lo produce o a chi è già ora in grado di farlo di venderlo a chi non lo ha. Niente da fare, continuiamo ad alzare muri per coprire le nostre paure.
Tutto il resto, anche il gesto di Biden e’ purtroppo geopolitica becera. Meno male che la signora Merkel si è subito opposta e ha convinto i paesi europei a fare marcia indietro. Purtroppo questo baluardo della politica internazionale uscirà di scena fra pochi mesi.
Mi sono dilungato anche troppo. Nel prossimo articolo vi parlerò dell’esempio Corea e delle possibili lezioni che dovremmo aver imparato da questa drammatica epidemia.
23 aprile 2021
La grande epidemia – anno secondo. Prima parte
Introduzione
L’anno scorso, dalla fine di gennaio fino a giugno ho scritto vari articoli in cui ho cercato di darvi conto delle ipotesi circa la nascita del Covid, dei motivi per cui esso da argomento scientifico e medico si fosse trasformato purtroppo in una battaglia geopolitica di cui oggi vediamo le conseguenze, ed infine dei suoi aspetti sociali e dei motivi per cui l’epidemia abbia aggredito i diversi Paesi in maniera e con una virulenza molto diversa. Arrivati a giugno io sono stato fra quelli, pochi, che erano contrari all’atmosfera di “liberi tutti”, spiegabilmente molto diffusa da un punto di vista emotivo. Sulla base dell’esperienza di alcuni Paesi in cui il virus era stato sostanzialmente eradicato (differentemente dalla situazione italiana) ero convinto che presto ci saremmo trovati in una situazione peggiore di prima. Il motivo era semplice: nella prima fase l’epidemia era abbastanza localizzata in Nord Italia, essenzialmente in Lombardia. Altrove si era riusciti a contenerla abbastanza bene con le restrizioni che erano state applicate. L’estate ha provocato un grande rimescolamento di persone che hanno ovviamente portato con se il virus che avevano in corpo. Aggiungiamo che le poche precauzioni richieste dal governo (esempio il distanziamento negli stabilimenti balneari) erano state ignorate, e la conseguenza è stata una diffusione abbastanza omogenea dell’epidemia che a partire dall’autunno è esplosa fortunatamente senza i tragici picchi locali di febbraio e marzo 2020 ma con una situazione generale peggiore della prima fase. Eravamo si più preparati da un punto di vista clinico, ma l’economia era già a pezzi e la pazienza di cui avevano dato prova gli italiani nell’accettare le restrizioni era sull’orlo di tramutarsi in rabbia.
E siamo ad oggi. Abbiamo il vaccino, è vero, ma in quantità fino ad ora insufficiente e con una distribuzione localmente abbastanza caotica. Siamo più capaci di affrontare i casi più gravi ma purtroppo il bollettino giornaliero dei morti è ancora altissimo. L’Italia si è divisa in “prudenti” e “liberisti” e vari esponenti politici soffiano sul fuoco in cerca di voti. Ovviamente la politica internazionale continua a rimpallarsi accuse senza mai fornire una sola prova, anzi delegittimando le organizzazioni internazionali che, uniche, dovrebbero esprimersi con autorevolezza. Ogni Paese guarda con odio malcelato alle altre nazioni che si sono accaparrate con ingordigia una quantità di vaccini maggiore di quella che abbiamo noi. Tutti guardano in alto, ma nessuno si preoccupa di guardare in basso, a quei Paesi che hanno ricevuto solamente qualche vaccino o addirittura nessuno. E’ insomma un gran guazzabuglio su cui vorrei mettere un po’ d’ordine. Come al solito la mia più grande preoccupazione è di documentare ciò che dico evitando, per quello che posso, di esporvi informazioni estrapolate dal (e che spesso travisano il) contesto
1.0 La situazione attuale
La seconda ondata dell’epidemia, a cui secondo alcuni è già seguita la terza senza interruzioni, ha colpito pesantemente l’Europa e gli Stati Uniti. Quasi tutti i Paesi orientali, indipendentemente dal loro sistema politico non hanno avuto grandi problemi dopo l’estate 2020. In India però c’è stata un’improvvisa recrudescenza che oggi non si riesce a fermare. In Sud America l’epidemia è partita più tardi, ha avuto un andamento abbastanza diverso e in alcuni Paesi la situazione è gravissima. In Brasile ad esempio non sono più disponibili i farmaci necessari alla sedazione dei malati gravi prima di intubarli ed i medici sono costretti a farlo da svegli con dolori che loro stessi definiscono indicibili. In Africa infine sembra che il Covid abbia colpito di meno ma esistono seri dubbi sull’affidabilità dei dati al di fuori dei principali centri urbani.
Vorrei qui analizzare la situazione con maggiori dettagli sulla base della quantità immensa di documenti oggi esistenti, ma senza sovraccaricarvi troppo di numeri e grafici. Ho diviso i vari Paesi in gruppi e di ciascuno ho selezionato quelli che ritengo più rappresentativi. Il primo gruppo include i Paesi dell’Europa continentale. Eccolo
Abit. (milioni) casi/mil. Abit. morti/mil. Abit.
AUSTRIA 8901 65229 1071
BELGIO 11522 81177 2049
FRANCIA 65039 77953 1524
GERMANIA 83167 37266 957
G BRETAGNA 67886 64534 1874
ITALIA 59641 64153 1944
RUSSIA 145936 32097 718
SPAGNA 47333 71761 1624
La Russia costituisce un caso a parte e lo analizzerò in seguito. Fra gli altri la Germania ha sicuramente i dati migliori sia in termini di contagiati che di morti (quasi la metà degli altri Paesi). Nonostante ciò la cancelliera Merkel insiste nella sua politica di chiusura, ignorando le obiezioni dei vari Lander. Già l’anno scorso la situazione era analoga; probabilmente ciò è dovuto sia ad una maggiore tempestività di assistenza ospedaliera rispetto agli altri Paesi, come pure alla maggiore “disciplina” dei Tedeschi nel seguire le indicazioni del governo. Tutti gli altri Paesi sono statisticamente in condizioni analoghe. L’Italia in particolare ha un numero di morti rispetto ai contagiati un po’ più alto; le differenze però non giustificano le polemiche a cui assistiamo in cui gli altri Paesi vengono descritti come “più aperti”, “più liberi” etc. I metodi adottati sono stati sostanzialmente simili e alla distanza i risultati sono analoghi.
E’ interessante considerare separatamente i Paesi del Nord Europa che hanno seguito politiche abbastanza diverse. Mi riferisco in particolare alla Svezia che aveva adottato all’inizio una politica “liberista” come l’Inghilterra. Quest’ultima ben presto però aveva fatto marcia indietro, mentre la Svezia ha proseguito sostanzialmente sulla linea precedente anche nella seconda fase, con qualche restrizione. I dati sono qui
Abit. (milioni) casi/mil. Abit. morti/mil. Abit.
DANIMARCA 5823 41135 420
FINLANDIA 5525 15016 150
SVEZIA 10327 86422 1333
OLANDA 17407 79172 969
Danimarca e Finlandia hanno una situazione nettamente migliore dell’Europa continentale e ciò è dovuto probabilmente al fatto che la popolazione è molto più dispersa sul territorio di quanto lo siano i cittadini degli altri Paesi: in sostanza un distanziamento automatico. La Svezia ha pagato il prevedibile scotto della sua politica: nonostante la dispersione di cui godeva come i Paesi vicini, è stata il Paese europeo con più contagi ed ha avuto tre volte più morti della Danimarca e quasi nove volte più morti della Finlandia. Hanno quindi pagato molto, molto cara la loro libertà.
I dati del Nord America e dell’America latina sono invece sorprendenti, almeno rispetto alla sensazione che deriva dai media. Tutti parlano della terribile situazione degli Stati Uniti e dell’assoluto disastro del Brasile. I dati sono qui di seguito.
Abit. (milioni) casi/mil. Abit. morti/mil. Abit.
CANADA 37742 28577 620
STATI UNITI 331003 93966 1689
ARGENTINA 45195 57064 1287
BRASILE 212559 63982 1686
COLOMBIA 50883 50495 1307
MESSICO 128933 17771 1635
PERU 32972 50580 1693
VENEZUELA 28436 6263 64
Come vedete gli Usa hanno un numero maggiore di contagi rispetto all’Europa, ma in termini di morti sono assolutamente allineati. Il Brasile è invece in linea con noi. Per il Brasile bisogna a mio avviso fare due considerazioni. Anzitutto lì l’epidemia è in fase di ascesa, mentre da noi fortunatamente dovrebbe essere iniziata la discesa. Inoltre nei Paesi sperduti della foresta amazzonica è possibile che i dati siano stati meno accurati.
I paesi dell’Asia e dell’Oceania, India inclusa nonostante la recrudescenza dell’ultimo periodo, come era evidente dall’inizio dell’epidemia hanno dei risultati nettamente migliori rispetto a tutto il resto del mondo. L’unica spiegazione possibile per una differenza così marcata è la diversa maniera e le diverse priorità stabilite per identificare e isolare i contagi. Nel caso dell’India, come in Brasile, può esserci stato un controllo impreciso per l’alto numero di persone che vivono in piccoli villaggi sperduti Per quanto riguarda i morti ci può essere stato un contributo vista l’età media più giovane rispetto alla “vecchia” Europa, ma la base è certamente dovuta a un approccio diverso. Ne parleremo dopo.
Abit. (milioni) casi/mil. Abit. morti/mil. Abit.
AUSTRALIA 25500 1155 36
CINA 1471286 70 3
FILIPPINE 109581 8252 142
INDIA 1380000 10199 125
INDONESIA 273524 5788 157
GIAPPONE 126476 4081 75
MALESIA 32366 11369 42
N. ZELANDA 4822 463 5
PAKISTAN 220892 3349 72
SUD C OREA 51269 2200 35
TAILANDIA 69800 559 1
VIETNAM 97339 28 0
In Vietnam la mortalità uguale a zero non vuol dire che non ci siano stati morti di Covid. Ne sono stati accertati 35 e quindi, in termini di morti per milione di abitanti risulta un numero molto inferiore a uno. Il discorso cinese è analogo da un punto di vista numerico
Anche l’Africa ha dati estremamente bassi (vedi seguito) ed in questo caso l’unica spiegazione che riesco a dare dovrebbe essere il numero estremamente più basso di tamponi per l’accertamento della malattia. Questo dato infatti senza arrivare alla Germania con 633000 tamponi per milione di abitanti, è sempre superiore a 100000, ma si riduce a 45900 in Messico, a 21500 in l’Etiopia e 8900 in Nigeria. Fa eccezione in Africa il Sud Africa con 173000 tamponi (ed in effetti ha i dati più alti dell’intero continente).
Abit. (milioni) casi/mil. Abit. morti/mil. Abit.
ALGERIA 43851 2713 72
EGITTO 102334 2081 123
ETIOPIA 114963 2039 28
NIGERIA 206139 796 10
SUD AFRICA 59308 26353 903
Ho voluto infine elencarvi separatamente il gruppo di Paesi veramente virtuosi, capaci cioè di bloccare l’epidemia nella fase iniziale e successivamente nell’arginare le recrudescenze.
Abit. (milioni) casi/mil. Abit. Morti/mil. Abit.
AUSTRALIA 25500 1155 36
CINA 1471286 70 3
GIAPPONE 126476 4081 75
MALESIA 32366 11369 42
N. ZELANDA 4822 463 5
SUD C OREA 51269 2200 35
TAILANDIA 69800 559 1
VIETNAM 97339 28 0
In questo caso possiamo fare un’analisi ulteriore. Il Vietnam ancora ricordava la terribile esperienza e la paura della SARS. Stava quindi con gli occhi ben aperti, già all’inizio di gennaio iniziò i controlli alle frontiere e la ricerca di casi presenti nel Paese. A questo punto fu molto più facile applicare rigide procedure di contenimento, e i risultati si vedono. In Cina la situazione è ancora diversa. L’epidemia li colse alla sprovvista, le frontiere della provincia di Hubei furono assolutamente sigillate sia in entrata che in uscita e il lock down fu assoluto, ben diverso da quello realizzato in Europa. In questo modo a giugno dell’anno scorso, alla fine della prima fase, i risultati dell’Hubei erano analoghi a quelli della Germania e molto più alti di quanto registrato in tutti gli altri Paesi “virtuosi”. La situazione è spiegabilissima perché ad una partenza ritardata seguì un “distanziamento” ben maggiore che in Germania. Nelle altre provincie cinesi, dove l’epidemia non si era ancora diffusa, riuscirono a contenerla applicando politiche di contenimento rigidissime, analoghe di quelle in Hubei. Stroncata l’epidemia adottarono due provvedimenti: anzitutto un blocco delle frontiere esterne che dura anche oggi. Chi riesce ad ottenere il visto deve accettare una procedura di isolamento in un ambiente sorvegliatissimo e può uscire da quella stanza, a cui non ha accesso nessuno, solo dopo due settimane di isolamento assoluto e ripetuti controlli. Inoltre all’apparire di ulteriori focolai (ce ne sono stati parecchi) il positivo e le persone con cui è stato a contatto sono immediatamente isolati e un’indagine generale con tamponi a tappeto viene messa in piedi. Tipico è il caso di Qing Dao nello Shandong (nove milioni di abitanti) che sono stati “tamponati” tutti nell’arco di una settimana. A parte questi due Paesi, tutti gli altri, diversi per cultura, storia, e sistema politico hanno ottenuto risultati stupefacenti. Una sola cosa li accomuna, sono tutti nell’emisfero orientale e hanno preso estremamente sul serio l’allarme dell’OMS del 2 gennaio 2020. Ne parlerò ampiamente in seguito.
2.0 E’ però necessario andare un po’ più a fondo
Questa è la curva di contagi e morti in Italia dall’inizio dell’epidemia.
Si possono subito vedere alcuni fatti. Nella settimana del 29 giugno 2020 ci sono stati 1283 casi e i morti erano 138 per poi scendere a 44 sempre per settimana un mese dopo. Il governo sulla base di questi dati prese alcuni provvedimenti atti a far riprendere l’economia con misure di contenimento più “rilassate”. Aveva però lasciato alcuni “paletti” per quanto riguardava essenzialmente il distanziamento. Per esempio negli stabilimenti balneari i nuclei familiari dovevano essere segregati fisicamente uno dall’altro, non potevano utilizzare le cabine assieme ad altri gruppi, negli spazi comuni l’utilizzo della mascherina era obbligatorio etc. Ben pochi applicarono queste misure. Prevalse invece a livello regionale e locale il principio del “liberi tutti.” “L’economia è in una fase disastrosa. Riprendiamoci la nostra libertà e scurdamoce o’ passato”. Niente di più sbagliato; l’epidemia non era finita, anzi il mescolamento fra abitanti di diverse regioni aveva esportato il virus al di fuori delle aree dove era più o meno localizzato. La conseguenza è assolutamente evidente dalla figura. I picchi di contagi furono nettamente più alti che nella prima fase ma fortunatamente i morti si allinearono a quelli della prima fase grazie alla maggiore capacità di cura. Si arrivò infatti, nella settimana del 9 novembre a 242062 casi/settimana e a 5151 morti (il consueto ritardo fra le due curve) nella settimana del 30 novembre, un numero mai raggiunto nella prima fase. Per confronto il picco dell’anno scorso è stato, alla fine di marzo, uguale a 38894 contagiati e 5339 morti per settimana. Dopo il picco di quest’anno siamo andati oscillando su valori più bassi ma nettamente maggiori di quelli al momento del “liberi tutti”. Oggi infatti, nella settimana del 12 aprile 2021 abbiamo avuto un numero di contagi settimanali pari a 103666 e i morti sono stati 2753/settimana. Il governo ha però deciso di concedere gradatamente una certa liberalizzazione. L’economia è ormai a pezzi e non consente ulteriori ritardi. La vaccinazione fortunatamente sta andando avanti e questo è l’unico aspetto incoraggiante. Dobbiamo però essere tutti consapevoli che il numero di contagi è 80 volte superiore e il numero di morti 62 volte superiore rispetto a quando si è deciso di riaprire l’anno scorso. Allora eravamo assolutamente terrorizzati dai numeri che ci venivano comunicati ogni sera e assolutamente smarriti sulle decisioni da prendere. Fortunatamente il governo di allora fu capace di mantenere il sangue freddo necessario e tirarci fuori dall’emergenza. Al contrario oggi purtroppo ci abbiamo fatto l’abitudine, consideriamo un fatto normale che ogni settimana è come se precipitassero quindici aeroplani di grandi dimensioni, al contrario ci sono dimostrazioni in strada per chiedere che si riapra tutto, subito e senza alcun limite. E’ vero, l’economia chiede provvedimenti comunque dolorosi, ma stiamo pur certi che, come ha detto il Presidente Boris Johnson in un Paese in condizioni molto migliori che da noi “purtroppo i morti cresceranno”. E’ necessario perciò che le autorità preposte, e soprattutto i media, convincano i cittadini che non siamo fuori dai pericoli e se le nuove misure previste da maggio non saranno rispettate in maniera assolutamente rigorosa avremo un’estate tragica anche perché una nuova chiusura provocherebbe quasi certamente gravi disordini. Dobbiamo quindi confidare sulla saggezza di tutti e sulla consapevolezza che una volta tanto il bene comune dovrà prevalere sulla libertà individuale. Le forze dell’ordine poi dovranno essere severissime nel bloccare “chi sgarra”.
Del resto non siamo solo noi italiani in questa situazione. Gli altri Paesi europei hanno problemi analoghi come si può chiaramente vedere da questa figura
La figura seguente è molto interessante e ci mostra due cose. La prima: il lock down della prima ondata non è stato ripetuto nella seconda fase (si vede dalla profondità delle gole dei grafici). Si è vero, parlavamo sempre di zone “rosse” o addirittura di “rosso rafforzato” ma questa volta sono state adottate (o in ogni caso applicate) misure molto più leggere. Ciò spiega benissimo perché questa volta la curva dei contagi non si è abbassata quanto nella prima fase e stiamo riaprendo in condizioni ben peggiori.
La seconda informazione deve essere accettata con buona pace di tutte le persone che si sono opposte, in nome della privacy e della libertà, a ogni forma di tracciamento. Guardatela e verificate quanto si riesce a sapere di noi.
Vi allego infine alcuni dati riguardanti i Paesi “virtuosi”. Come vedete, anche per l’Australia (il peggiore) il picco di mortalità è molto più basso di quello che si è verificato negli altri Paesi europei. Analogamente l’avvallamento nella fase più critica è più profondo di quanto sia stato in Europa
Come vi ho anticipato esiste un’infinità di dati relativi ad ogni Paese del mondo. Credo però che per gli scopi di questa nota ne abbia inseriti abbastanza. Sono comunque a disposizione per chi fosse interessato a informazioni ulteriori relative a dati diversi o a specifici Paesi. E’ sufficiente mandarmi una mail.
Per oggi credo che basti. Nella prossima nota parleremo di vaccini e di come (non) ci stiamo preparando ad affrontare le prossime pandemie che saranno sempre più frequenti in un mondo sempre più piccolo e interconnesso. Su questo ultimo punto, e solo su questo, sono tutti inutilmente d’accordo.
PS. Con questa nota pronta per essere distribuita, ho scoperto che la situazione sanitaria in Brasile e specialmente in India ha subito un repentino, violento peggioramento, a ulteriore dimostrazione che non è ancora il momento di abbassare la guardia in nessun Paese. Vi allego due grafici che parlano da soli
Gianna Policarpi
19.05.2022 06:16
Caro Nino, condivido pienamente il tuo punto di vista sull'odierna situazione internazionale e la critica all' illiberalismo dei nostri media.
Nino
19.05.2022 10:49
Grazie per la tua attenzione