5 aprile 2021
IL CHINA TWO SESSIONS MEETING 2021 (LIAGHUI)
Oltre cinque mila persone, tutta la massima élite politica cinese si è raccolta, come ogni anno, a Pechino per le riunioni della NPC e del CPPCC, la finestra sulle priorità e i piani del governo nell’anno seguente. Una volta ogni cinque anni rivestono una maggiore importanza (come quest’anno) perché viene data una visione sui piani per i prossimi cinque e, novità di quest’anno, vengono delineate le prospettive fino al 2035. Cerchiamo di darne una decodifica perché ciò avviene in sostanziale contemporaneità con l’inizio del mandato di Joe Biden e le sue prime dichiarazioni sul futuro dell’America e del Mondo.
1.0 Cosa sono queste assemblee.
Il Congresso Nazionale dei rappresentanti del Popolo (NPC) è la più alta istituzione statale e l’unica Camera legislativa Cinese. Gran parte dei suoi 2980 membri appartengono al PCC ma vi sono anche i rappresentanti di altri otto partiti e un gruppo di indipendenti. Esso si riunisce una volta l’anno in marzo. Di fatto questa riunione ratifica le decisioni prese nei vari organi del PCC e dell’NPC stesso, mentre alla loro formulazione e discussione partecipa il proprio Comitato Permanente composto da 150 membri eletti al suo interno nella prima sessione plenaria, che restano in carica fra una sessione e l’altra. L’assemblea ha anche altre funzioni importanti quali eleggere il Presidente della repubblica, lo State Council (incluso il Primo Ministro), la Commissione militare centrale, il Presidente della Corte suprema del popolo etc. Ha inoltre la funzione importantissima di modificare la Costituzione. Non ci troviamo però, come può sembrare, di fronte a un “teatrino” ma di un reale potere sia pure con i “riti” tipici del mondo cinese, e ci sono stati casi in cui l’assemblea abbia respinto alcune leggi. I membri della NPC sono eletti dalle assemblee popolari provinciali, che sono eletti dalle assemblee distrettuali, a loro volta eletti dalle assemblee popolari locali. Questi ultimi sono eletti direttamente dal popolo.
La Conferenza politica consultiva del popolo cinese (CPPCC) è la massima istituzione cinese con funzioni consultive. E’ costituita da 2200 membri e si riunisce tradizionalmente nello stesso periodo della NPC. Le sue funzioni sono cambiate varie volte nel tempo ma, fin dall’epoca di Deng, essa si è prevalentemente occupata delle aperture al mercato, alle innovazioni, e alla modernizzazione. La sua caratteristica è che i suoi rappresentanti sono scelti su una base diversa da quelli della NPC. 536 membri fanno parte del Fronte Unito, vale a dire dei nove Partiti ufficiali oltre a 62 figure politiche indipendenti. 307 seggi appartengono alle organizzazioni popolari (federazione delle donne, dei sindacati, della gioventù dell’industria e commercio, della scienza e tecnologia, dei cinesi d’Oltre mare etc.); in sostanza le rappresentanze dei gruppi sociali. 1357 seggi toccano ai rappresentanti di vari settori: economico, letterario, scienza, medicina, agricoltura, scienze sociali, stampa, sport, previdenza sociale, religioni etc. Ci sono infine (fuori quota) i rappresentanti di Hong Kong (124) di Macao (29) e dell’esercito e la polizia (154). Come vedete tutte le attività e i gruppi sociali e culturali sono rappresentati direttamente e partecipano al dibattito.
Siamo quindi al cospetto di una struttura completamente diversa rispetto a quelle cui siamo abituati in Occidente. Prima o poi vi parlerò in dettaglio del sistema elettorale (complicatissimo) , dei rapporti fra PCC e assemblee popolari e di come venga selezionata la classe dirigente. Posso però assicurarvi fin da ora che non si tratta di un’oligarchia (o peggio di un’autocrazia) che si auto mantiene solo per cooptazione e gestisce il potere solo per i propri interessi di classe. La volontà popolare è tenuta in gran conto, anzi fin da quando bazzico la Cina (oltre 40 anni) tutte le persone con cui ho avuto modo di entrare in confidenza mi hanno sempre detto “La crescita della Cina potrà essere fermata solo da un collasso per discordie interne”. Del resto anche le voci più informate del mondo occidentale affermano concordemente che l’apprezzamento e la fiducia del popolo cinese per le loro massime istituzioni è altissimo. Ma non è l’argomento di oggi.
2.0 Le decisioni della NPC
In un mio articolo datato 8 gennaio 2021 e distribuito nei 15 giorni successivi vi ho parlato della riunione del Plenum del diciannovesimo comitato centrale del PCC, tenutosi lo scorso ottobre. Purtroppo in Italia se ne è parlato pochissimo anche se si tratta di uno degli avvenimenti più importanti della politica internazionale, allo stesso livello del programma di un nuovo Presidente degli Stati Uniti. Vi consiglio di leggere (o rileggere) quella nota perché costituisce la base di quello che dirò oggi La potete trovare in due modi:
A Entrare nel mio sito www.amacripellizzeri.it , cliccare il menu alla pagina GEOPOLITICA e poi scorrere quella pagina fino a trovare l’articolo
B Cliccare questo link (soluzione forse più semplice)
Vi consiglio di leggerlo perché in quel Plenum, tenuto come sempre a porte chiuse ma i cui risultati furono resi noti, era stato approvato il piano da presentare alla NPC per l’approvazione. E’ inutile quindi ripeterlo se non per sommi capi.
Li Kuang ha dunque dato il via alla sessione parlamentare delineando l’obiettivo di crescita economica per la nazione e impegnandosi a fermare le interferenze straniere a Hong Kong. Ha promesso inoltre misure per stimolare la crescita a lungo termine, con particolare attenzione all’innovazione e ai tagli fiscali. Ha infine presentato all’assemblea un documento completo sul quattordicesimo Piano quinquennale della nazione. I punti principali. Crescita e occupazione. Il PIL crescerà nel 2021 di almeno il 6%, ma bisognerà affrontare varie sfide fra cui consumi interni deboli, sostegno alle piccole e medie imprese, contenimento della disoccupazione. In particolare il tasso di disoccupazione urbana sarà il 5,5% e l’indice dei prezzi al consumo crescerà di circa il 3%. Inoltre per far fronte all’invecchiamento generale della popolazione nei prossimi cinque anni sarà aumentata l’età pensionabile che oggi è (salvo specifiche eccezioni) di 60 anni per gli uomini e 55 per le donne. Sarà inoltre semplificato l’accesso alla sanità pubblica e inoltre sarà alleggerito il sistema degli Hukou (simile alla lontana al nostro certificato di residenza) per facilitare il trasferimento delle famiglie. Quest’ultimo è un argomento estremamente importante per la popolazione perché ad esso sono legati alcuni aspetti dell’istruzione e della sanità pubbliche. Ve ne ho parlato tempo fa nella pagina “La Cina in pillole” e se avete tempo vi consiglio di leggerlo per capire un pochino le priorità reali dei Cinesi e le difficoltà di una nazione così grande. Difesa nazionale. E’ necessario adottare misure specifiche per garantire di avere un esercito forte entro i prossimi cinque anni. Il budget militare aumenterà del 6,8% rispetto al 6,6% dello scorso anno. Ricerca & sviluppo e innovazione. E’ necessario garantire al Paese l’autosufficienza nelle tecnologie di punta. La ricerca di base è “la sorgente dell’innovazione scientifica e tecnologica”. Sarà preparato un piano di azione e di spesa per i prossimi dieci anni e comunque nel 2021 il budget per la ricerca di base aumenterà del 10,6%. Diventare verdi. Casualmente il giorno di inaugurazione della NPC Pechino fu sommersa da una violenta tempesta di sabbia ed uno smog pesantissimo. L’inquinamento è un problema molto sentito dalla popolazione urbana ed è molto frequente vedere le persone controllare sui cellulari i dati della purezza dell’aria e scambiarsi informazioni e commenti. Il governo è consapevole che una gran parte del patto sociale è basata su questo. Li Kuang ha dichiarato “L’inquinamento è una guerra da combattere e verrà portato a valori accettabili sia nell’atmosfera che nell’acqua nei prossimi cinque anni.” “Lo sviluppo del Paese proseguirà sulla strada di un’economia “verde”. La Cina taglierà la sua “intensità energetica” del 13,5% e le emissioni di CO2 per unità di GDP del 18%. Ha confermato che la Cina sarà carbon neutral nel 2060 e che il picco di emissioni sarà entro il 2030. Oltre alle sorgenti eoliche, solari e idrauliche vi sarà un’ulteriore crescita della produzione di energia nucleare. Pandemia. Non bisognerà rilassarsi nella scoperta di nuovi focolai, nel loro contenimento e nel superamento di alcuni punti deboli. Sarà accelerato il piano di vaccinazione. Sviluppo del commercio internazionale. La Cina continuerà a sviluppare la BRI (Belt and Road initiative), a portare avanti la Regional Comprehensive Economic Parnership (l’accordo commerciale fra 15 Paesi dell’Asia) e a promuovere l’entrata in vigore dell’accordo Cina-Eu recentemente firmato. Promuoverà il rilancio di accordi commerciali USA-Cina sulla base di uguaglianza e mutuo rispetto. Interferenze straniere a Hong Kong Il governo assicurerà l’attuazione “completa e accurata” di “un Paese, due sistemi”, “popolo di Hong Kong che governa Hong Kong” e “alto grado di autonomia”. “Proteggeremo risolutamente e scoraggeremo le interferenze delle forze esterne negli affari di Hong Kong e Macao”. “Sosterremo <entrambe le regioni> mentre sviluppano le loro economie e migliorano la vita delle persone, in modo da mantenere a lungo termine la prosperità e la stabilità di Hong Kong e Macao”. Infine “I rischi del sistema devono essere rimossi e deve essere stabilito un sistema elettorale democratico con le caratteristiche di Hong Kong”.
3.0 Stati Uniti e Cina. Un confronto sempre più aspro.
Fin qui le decisioni della NPC. La domanda è però “Che cosa succederà nei rapporti internazionali?” Nella mia ultima nota vi ho parlato delle “Linee guida per la sicurezza nazionale” degli USA firmate da Joe Baden. Le parole e il tono generale di quel documento indicano la necessità assoluta di fare un fronte comune di tutti i Paesi democratici, non solo Occidentali, contro il pericolo rappresentato da Cina e Russia per il mondo intero. Il documento cinese di cui vi ho appena parlato è invece tutto focalizzato al proprio interno. La Cina culturalmente e storicamente guarda al suo immenso territorio (ne abbiamo parlato più volte) e guarda l’esterno solo nei suoi aspetti di scambi commerciali. Nella mia ultima nota vi parlavo della descrizione che ne faceva il gesuita Ruggieri 500 anni fa in contrapposizione alla posizione e alle idee di Filippo II, in ciò sostenuto anche dal Papa. Niente è cambiato, ma il mondo è diventato piccolo ed anche la Cina se ne rende conto e agisce di conseguenza. Guardiamo le dichiarazioni di politica estera di questo periodo e ciò che è successo nel primo faccia a faccia ad Anchorage. Formalmente i dissidi sostanziali fra USA e Cina sono due: il notevole sbilancio negli scambi commerciali che Biden sostiene dovuti ad aiuti di Stato in contrasto con le leggi internazionali, e la necessità che le grandi democrazie occidentali si oppongano e combattano l’avanzata dei “regimi dittatoriali e/o comunisti” nel mondo. Questo secondo punto ha vari corollari: in primis il preteso obbligo morale americano di opporsi in qualsiasi modo al trattamento che è inflitto dal governo cinese a chi vi si opponga, in questo momento esemplificato dai problemi di Hong Kong, Taiwan e delle minoranze Uigure. Ve ne sono però altri: la necessità di un grande riarmo per controllare tutte le vie d’acqua all’intorno della Cina (stretto di Malacca, mar Cinese meridionale, mar Cinese orientale etc.), la necessità di opporsi al preteso controllo che la Cina esercita sulle organizzazioni internazionali, l’isolamento della Cina e dei Paesi suoi alleati dall’accesso alla comunità internazionale salvo alcuni aspetti di interesse americano come l’abbattimento dei gas serra e la lotta all’inquinamento.
La politica di Trump rappresentava un tentativo maldestro e spesso incoerente di tornare a un sostanziale isolazionismo. Lo slogan “America first” mirava a proteggere l’occupazione e il benessere del popolo (di per se giusto) senza alcun riguardo però al rispetto degli interessi legittimi di altri Paesi, incluso l’Europa. Da qui derivano i dazi, spesso punitivi, per chi non si piegava a questa linea e il tentativo mal riuscito di disimpegnarsi da alcuni problemi internazionali. Raggiunto questo obiettivo, e come conseguenza di esso, avrebbe raggiunto il secondo, riaffermare la supremazia dell’impero e dei valori americani a livello globale. La Cina, piegata nelle esportazioni e bloccata nel suo sviluppo tecnologico avrebbe dovuto piegarsi. Per ultima l’Europa, specialmente la Germania con il suo desiderio di “indipendenza commerciale” e la Francia con la velleità di “esercito europeo” sarebbero tutti fatalmente ritornati all’ovile. La Pax Americana avrebbe trionfato. Vi sono esempi evidenti di tutto ciò: l’uscita dal trattato di Parigi sul clima, Il tentativo fin da prima dell’inizio del suo mandato di sollevare il problema di Taiwan, punto storicamente dolente dello scacchiere asiatico. Io non credo che Trump avesse un reale interesse a supportare un cambiamento dello status di Taiwan, ma piuttosto di giocarsi quella carta come merce di scambio per ottenere vantaggi nella trattativa globale con Pechino. Di questo si accorsero anche ambienti politici di Taipei. All’ottenimento di vantaggi commerciali Trump piegava quasi tutto. Vi faccio un ultimo esempio: all’inizio di gennaio 2020 Trump lodò più volte Xi Jinping per la maniera in cui stava lottando contro l’epidemia appena iniziata e per la trasparenza delle informazioni. Il suo obiettivo era di ottenere la firma del trattato commerciale con la Cina, da utilizzare come un trofeo alle prossime elezioni. Firmato l’accordo (prima fase) cambiò strategia e cominciò a parlare del “virus di Wuhan” del “virus prodotto in laboratorio” di cui aveva le prove (mai mostrate, etc.). Il Washington Post, che non è tenero con la Cina, ha mostrato un gran numero di esempi di quanto dico.
La politica di Biden è a mio avviso diversa e si riallaccia sostanzialmente a quella di Obama, che aveva lanciato la strategia del “Pivot to Asia” di cui vi parlai vari anni fa. Ancora di più si allaccia alla politica storica americana dell’inevitabilità della democrazia liberale e del dovere americano di farsi portabandiera di quei valori anche con le armi se necessario; quasi una ripetizione delle Crociate all’inizio dello scorso millennio. L’obiettivo finale era lo stesso, la Pax Americana, ma la tattica era diversa. Biden si rende conto di non poter trattare l’Europa come un vassallo a cui dare ordini ma di dover darci un contentino: siamo fratelli minori ed abbiamo bisogno di una guida da chi è ormai adulto, maturo e forte.
E la Cina? Cosa ne pensa? Qui nasce il vero problema che io riconduco all’assoluta mancanza di cultura storica del mondo Occidentale. I nostri popoli, completato il soggiogamento del mondo che ci era più vicino, i nativi nord americani, tutto il Sud America , l’Africa ed il continente indiano etc., con i genocidi, lo schiavismo e le distruzioni che ne conseguirono, pensarono di rivolgersi al Giappone (parzialmente) e soprattutto alla Cina che allora attraversava un momento di grandissima crisi. Nessuno si rese conto che stavano attaccando, per la prima volta, una civiltà equivalente, o forse più antica della nostra, che per oltre un millennio era stata il Paese più ricco al mondo, come dicono oggi i nostri economisti. A partire dal 1841 iniziò l’occupazione di fatto di quel grande Paese a cui furono inflitte gravi umiliazioni. Nonostante ciò, i loro giovani e la loro classe più avanzata fin dal 1911, crollo definitivo del Celeste impero, continuavano a guardare l’Occidente come un esempio di quanto lo sviluppo industriale avesse determinato una crescita impetuosa e significativa anche da un punto di vista istituzionale. Purtroppo, come vi ho detto più volte, i Cinesi ebbero grandi disillusioni, anzitutto dal Congresso di Versailles che chiuse la Prima Guerra mondiale. I principi di libertà e di autodeterminazione dei popoli, tanto sbandierati dal Presidente americano Wilson erano solo chiacchiere, propaganda per abbindolare i creduloni. Al Giappone, che aveva occupato lo Shandong durante la guerra, era stato concesso di tenerselo. Pochi sanno che nella Prima Grande manifestazione di piazza Tienanmen, esattamente settant’anni prima della seconda, i giovani manifestavano il proprio irredentismo come era successo qualche decennio prima ai popoli europei.
Dopo trent’anni la guerra civile cinese si era chiusa con la chiara vittoria di Mao, ma ancora una volta l’Occidente si schierò con lo sconfitto senza prendere atto della realtà. Arriviamo agli anni ’70: Nixon e Kissinger cambiano politica e aprono alla Cina sperando di poterla così “convertire” ai principi del mondo occidentale. La Cina, sotto l’impulso decisivo di Deng Xiaoping, ricomincia a crescere e ritorna ai suoi livelli storici. Ma non dimentica le umiliazioni subite. La sua storia e la sua grande civiltà non lo permettono. Ricordate le parole del manifesto esposto a Tienanmen nel 1919? “Il territorio cinese può essere conquistato, ma non sarà mai abbandonato. Il popolo cinese può essere massacrato, ma non si arrenderà mai” Ecco, il loro obiettivo, condiviso da tutta la nazione, è quello di ritornare all’integrità territoriale e alla prosperità, al massimo entro il 2049, centenario della fondazione della repubblica.
4.0 Come andrà a finire?
Nello scrivere questo capitolo ho seguito in parte la traccia di un articolo apparso sull’ultimo numero di Foreign Affairs. Per chi non lo sapesse, si tratta di una delle più prestigiose pubblicazioni americane dedicate alla politica estera. Non sempre condivido le sue idee (troppo America-centriche a mio avviso) ma le sue analisi sono sempre molto lunghe e approfondite. Kevin Rudd, l’autore, parte dal presupposto, largamente condiviso, che questo decennio sarà decisivo per lo scontro USA-Cina. E’ inevitabile che crescerà e diverrà sempre più intenso, ma la guerra si può ancora evitare. E’ ancora possibile che i due Paesi concordino dei paletti capaci di prevenire la catastrofe, mantenendosi in quella che l’autore chiama “una competizione strategica governata, CSG” Secondo molti osservatori i due Paesi dovrebbero mettere in piedi un meccanismo diretto e immediato per controllare i loro rapporti e le loro decisioni come avvenne dopo la crisi dei missili cubani (la famosa linea rossa) prima di arrivare allo scontro armato. E’ quello che ha proposto Kissinger recentemente e di cui vi ho dato conto. La CSG dovrebbe appunto definire dei limiti rigidi per salvaguardare la reciproca sicurezza, restando però liberi di scontrarsi da un punto di vista economico, diplomatico e ideologico. Essi potrebbero per altro trovare dei punti di accordo su argomenti di mutuo interesse come la protezione dell’ambiente.
Il governo cinese è convinto che prima della fine di questo decennio la sua economia sarà capace di superare il livello americano. Lascerà quindi fluttuare la sua valuta nei mercati finanziari e lo Yuan si affiancherà al Dollaro come valuta di riserva mondiale. Inoltre entro il 2035 la Cina raggiungerà lo stesso livello degli Stati Uniti nelle nuove tecnologie, incluso l’intelligenza artificiale e, ancor prima di quella data, avrà completato la modernizzazione delle proprie forze armate rendendo possibile se necessario un conflitto locale con gli Americani per Taiwan. Washington deve decidere rapidamente come comportarsi. La prima azione americana (già evidenziata) è uno sganciamento totale delle due economie “economy decoupling”. Ciò obbligherebbe tutti i Paesi del Mondo a decidere da che parte stare. Il rischio di un’escalation sarebbe altissimo. Xi in ogni caso sta accelerando la spinta per ottenere l’autosufficienza cinese rispetto ad un possibile blocco delle importazioni di materiali tecnologicamente avanzati come ad esempio alcuni tipi di semiconduttori che sono al cuore di molte apparecchiature. Sta inoltre premendo sull’acceleratore per mantenere un adeguato livello di esportazioni ma aumentando i consumi interni, cosa di cui abbiamo parlato di recente. Sta infine cercando di incrementare gli investimenti esteri in Cina volti proprio all’aumento del consumo interno.
A parte questo, in USA purtroppo solo pochi osservatori hanno prestato attenzione ai drivers interni della strategia cinese. In America si discute a fondo su ciò che “gli USA dovrebbero fare”, senza porsi il problema dei riflessi che le loro azioni determinerebbero nella politica cinese e delle possibili reazioni della controparte. Pompeo ad esempio ha detto “Noi, le nazioni amanti della libertà dobbiamo indurre la Cina a cambiare, incluso azioni dirette su popolo cinese.” Biden nella sua prima comunicazione telefonica con Xi Jinping da Presidente ha dichiarato la ferma opposizione americana per le violazioni dei diritti umani ed il genocidio che si sta compiendo nello Xinjiang. E’ evidente che ogni azione diretta a incoraggiare la sovversione interna del potere cinese avrebbe il risultato di compattare il popolo ancora di più attorno al proprio leader. Inoltre questa azione non sarebbe probabilmente incoraggiata dagli alleati Europei. I sovvertimenti violenti infatti non hanno avuto alcun successo negli ultimi decenni. Le sanzioni sono chiaramente inefficaci perché l’economia cinese è ormai forte abbastanza da poter affrontarle agevolmente ed inoltre difficilmente molti Paesi accetteranno di imporle per paura di reazioni commerciali cinesi come è già successo nel caso dell’Australia. Ne potrebbe comunque risultare danneggiato il “nome” cinese all’estero e per questo la Cina si sta dimostrando molto attiva negli organismi internazionali, proprio in corrispondenza dell’improvvido ritiro americano da essi. L’ultimo esempio di questo attivismo è il Consiglio dell’ONU per i diritti umani dove la Cina sta evidenziando la tendenza USA di ignorare gli abusi tollerati all’interno del proprio Paese o quando commessi da Paesi alleati.
Esistono poi argomenti molto sensibili che sono assolutamente critici. Il primo di essi accomuna Taiwan e Hong Kong. Come ho detto in passato durante le manifestazioni violente a HK degli ultimi anni Xi ha cercato al massimo possibile di adoperare il “guanto di velluto”. Ciò perché si era in prossimità delle elezioni a Taiwan dove esisteva la possibilità concreta che tornasse al potere il Kuomintang, partito favorevole a rapporti accettabili fra le due sponde dello stretto. Lo spettacolo di HK e il battage politico e mediatico che ne è seguito hanno però spostato il consenso e il partito al potere è stato riconfermato. Oggi i rapporti fra le “due Cine” sono precipitati al livello più basso dagli anni ’50. L’applicazione a Taiwan della “dottrina HK” è diventata impossibile e questo è oggi lo scenario che genera il maggior pericolo. L’amministrazione Biden sta insistendo nella propria politica di assistenza all’isola; prova ne sono le nuove forniture militari, inclusi aerei e sottomarini. Inoltre sta programmando una visita a Taipei di membri ad altissimo livello del governo. Al di là di un certo limite, e peggio che mai la proclamazione dell’indipendenza, provocherebbe un’azione cinese immediata. Xi forse ritiene che gli americani non si imbarcherebbero in una guerra locale ad alti rischi di non vincere e certamente non allargherebbero il conflitto a livello generale. Senza l’appoggio diretto americano Taiwan non potrebbe resistere, ma la Cina riuscirebbe a occuparla e “pacificarla”? E a quale prezzo? Taiwan non è HK da nessun punto di vista. Ciò che il leader cinese probabilmente non apprezza abbastanza è un altro aspetto: se gli Americani non intervenissero immediatamente in difesa di un Paese alleato che hanno supportato dalla fine della guerra, ciò sarebbe una catastrofe per la loro immagine nel mondo e nessun Paese asiatico si schiererebbe più dalla loro parte. E’ d’altronde certo che Pechino non cederà mai un centimetro delle sue pretese marittime e territoriali. Il ricordo del “secolo delle umiliazioni” è troppo fresco e l’intero Paese non lo accetterebbe a nessun costo. L’unica possibilità è quindi un passo indietro da entrambe le parti. Gli USA dovrebbero smettere quelle manifestazioni di forza nel mar cinese meridionale e nel canale di Taiwan in cui stanno trascinando anche altri Paesi alleati. Essi dichiarano illegali gli analoghi passaggi dell’aeronautica cinese nello stesso canale e quesi dovrebbero essere ridotti in parallelo. Ma vi immaginiate cosa succederebbe se una flotta militare cinese navigasse nel canale che divide la Florida da Cuba in nome della protezione della libertà dei mari? Sarebbe la guerra immediata. Per altro nessun osservatore attento ignora che la pretesa americana di difendere la libertà di navigazione nel punto più lontano dalle loro coste ha ben altra motivazione, tenuta accuratamente nascosta all’opinione pubblica. Ve ne ho parlato più volte ma oggi, alla luce delle conseguenze del blocco del canale di Suez per un banale incidente, è molto più comprensibile. Lo stretto di Malacca ha un’ampiezza di 2,8 km nel suo punto più stretto, meno dello stretto di Messina. E’ per altro molto più “affollato” del canale di Suez e per quelle acque transita il 40% del commercio mondiale. Ma non è solo questo. La Cina importa attraverso quelle acque l’80% degli idrocarburi, e gran parte del grano e delle carni di cui ha un assoluto bisogno. E’ questo il vero interesse americano per quei mari: la possibilità di bloccare agevolmente quel passaggio e strangolare il Celeste Impero. Xi sta cercando di difendersi anzitutto con l’accordo raggiunto con la Russia per la fornitura di idrocarburi via terra. Questo è stato un enorme errore americano. Essi hanno avvicinato due Paesi che non hanno niente in comune e che faticano a capirsi per le loro diverse culture e visioni del Mondo. Xi, dal canto suo, si è reso conto che il rifiuto di riconoscere le corti internazionali per il conflitto con gli altri Paesi che avanzano giustificate pretese sul mar cinese meridionale non porta da nessuna parte e sta cambiando posizione. Inoltre sta cercando di raggiungere accordi pacifici di coesistenza e sfruttamento congiunto delle acque e del sottosuolo marino con tutti i Paesi coinvolti. Diversa è la situazione del mar cinese orientale. Gli USA non rinunzieranno mai, per nessun motivo, alla difesa del Giappone che è un pilastro della propria sicurezza. Sono proprio questi, i luoghi e le situazioni a cui dovrebbe essere applicato subito il concetto di “competizione strategica governata”. In quest’area esiste un rischio concreto che si possa creare una situazione di guerra inaccettabile per il mondo, forse anche per errore. Durante l’amministrazione Bush un aereo spia americano si scontrò in quei cieli con un caccia cinese. Quest’ultimo precipitò e il pilota purtroppo morì. L’aereo americano eseguì un atterraggio di emergenza in territorio cinese e fu sequestrato, l’equipaggio fu trattenuto. Quella volta il contatto diretto fra i due Presidenti smorzò subito l’incendio con il “dispiacere” americano per l’accaduto e la restituzione dell’equipaggio. Oggi lo scenario sarebbe molto peggiore.
Disinnescare i rischi militari sarebbe già un successo. Ciò fatto, a beneficio di tutto il mondo sarebbe opportuno che Cina e USA evitassero risse come quella che si è verificata in Alaska. I due capi delegazione si sono insultati a favore di telecamere e si è arrivati al punto che gli USA non hanno previsto alcuna cena di saluto all’altra delegazione, fatto assolutamente offensivo per il mondo cinese. Si dice che il dialogo a porte chiuse sia andato molto meglio e ci sia stato un primo chiarimento fra le due parti. Sarebbe però opportuno che si fissassero degli incontri periodici ad altissimo livello per arrivare al momento opportuno ad un incontro fra i due leaders.
In conclusione, nessuno dovrebbe rinunziare alla propria storia e alle proprie idee sui principi sociali e politici ed entrambi dovrebbero accettare quelle degli altri. Tutte le volte che l’occidente ha cercato di ribaltare sistemi stabili ha sempre creato disastri. Vietnam, Libia, Irak, Iran, Cile e sud America in generale, Cuba, Somalia, Yemen, e potrei andare avanti. Cercare di cambiare la Cina, un Paese, un mondo con una storia più antica della nostra ed una cultura equivalente ma assolutamente diversa dalla nostra è impossibile come sarebbe impossibile il viceversa. Ad Anchorage il capo delegazione cinese è sto rigidissimo su questo punto “La Cina crede fermamente che la diversità sia una caratteristica distintiva della civiltà umana”
Gli USA dovrebbero rendersi conto che un mondo pacifico e multilaterale è garanzia della crescita globale. Bisogna che rinunzino al loro ruolo imperiale e accettino una competizione regolamentata dalle istituzioni internazionali. Trump, con la sua pretesa di rifiutarle e porsi al di sopra di esse ha fatto un grande errore e bene ha fatto Biden ad invertire la rotta. Esse devono essere i regolatori e i garanti di uno sviluppo armonico del mondo. Aggiustiamo le regole se necessario, ma poi evitiamo di dire che una parte cerca di influenzare la governance delle istituzioni a proprio favore. E’ stupefacente che proprio noi, che crediamo nella democrazia, siamo quelli che negano il funzionamento delle istituzioni da noi stessi create.
La storia non si cancella. Il mondo occidentale, assieme al Giappone, ha invaso e occupato la Cina senza motivo. Ciò ha creato un vulnus che non verrà mai cancellato ed i Cinesi pretendono giustamente che alcune conseguenze di ciò, ancora non sanate, debbano essere cancellate. Smettiamola di opporci ai fenomeni storici.
Ogni Paese ha il diritto di sviluppare le proprie conoscenze e la propria economia. Non ha alcun senso pensare di avere diritto alla supremazia tecnologica, perché anche questo è colonialismo.
L’Europa deve essere consapevole che per storia, cultura e maturità politica DEVE assumere il ruolo di ago della bilancia e moderatore generale. Idealmente siamo e dobbiamo restare parte del mondo occidentale e liberal-democratico. Dobbiamo però prenderne la guida. Con tutti i nostri difetti, e sono tanti, la nostra democrazia, il nostro welfare, la nostra protezione dei diritti, è molto più avanzata di quella americana che ha ancora tanto da imparare. E’ un obbligo storico a cui non abbiamo il diritto di rinunziare.
Allo stesso tempo l’Europa deve rivendicare una propria autonomia nelle sue scelte politiche e commerciali a livello mondiale. Non siamo il fratello minore di nessuno! Smettiamola di limitarci a scegliere di quale dei due Paesi vogliamo essere vassalli.
RENDIAMOCI CONTO CHE, COME DICONO TUTTI GLI OSSERVATORI POLITICI DI OGNI PAESE, CI STIAMO AVVICINANDO RAPIDAMENTE AD UNA GUERRA al confronto della quale impallidiscono tutti i conflitti precedenti.
12 marzo 2021
QUALE SARA’ IL FUTURO DEL MONDO CON BIDEN?
Ho appena finito di leggere un libro, curato da Eugenio Lo Sardo, in cui sono incluse fra l’altro alcune opere della filosofia confuciana tradotte nel 1590 per il re di Spagna Filippo II dal gesuita Michele Ruggieri che per primo riuscì ad essere accolto in Cina (Paese allora sconosciuto al mondo occidentale) assieme al confratello, più giovane e più famoso, Matteo Ricci. L’autore parla anche dei rapporti che R. scrisse sia al Papa che al Re con un’analisi di prima mano di un Paese allora sconosciuto al mondo occidentale. Ruggieri ritornò indietro dopo qualche anno e continuò a occuparsi di illustrare la Cina a re Filippo e alle autorità ecclesiastiche, mentre Ricci continuò l’opera e arrivò fino alla corte dell’Imperatore ed è ancora famoso in Cina. Questo libro è un affresco della situazione politica dell’epoca con la suddivisione delle sfere di influenza fra Spagna e Portogallo finite con l’annessione di quest’ultimo alla Spagna, e le lotte fra Gesuiti e altri ordini religiosi assiepati alla frontiera Sud del celeste impero e ansiosi anch’essi di poter entrare. Ruggieri si trovò al centro di tutto ciò, fu ricevuto dal Papa, dal re di Spagna e dovette confrontarsi con l’aspra lotta all’interno anche dei Gesuiti, alcuni dei quali supportavano gli interessi portoghesi ed altri la Spagna. Molti disperavano di potere essere ammessi nel grande Paese perché “è tra loro un ordine et legge inviolabile, et che nessun forastiero possa entrar nella Cina et habitar in essa senza licenza del Re”. Ruggieri, che oltre ad una grande cultura aveva studiato legge alla scuola napoletana allora famosa, cercò anzitutto di capire il mondo cinese vivendo “alla frontiera” del Paese un paio d’anni, prima di chiedere con successo di poter entrare stabilmente. Si rese conto che esso era “pacifico et civilissimo, più incline alla conciliazione che al confronto” e bisognava fare in modo che “intendano questi Cinj che noi non siamo solamente quattro mercanti”. Ruggieri divenne amico di un alto funzionario a cui chiese se ci fosse una maniera legale e pacifica per poter essere accolto. Quest’ultimo, dopo molto studio trovò una norma che affermava “che ancor che nelle leggi del Regno della Cina fosse prohibito habitare forastieri, nondimeno, avendo riguardo che tutti noi siamo come frutti nati sotto un cielo, ordinava che, venendo alcuno de lontano regno e non potendo o non volendo tornar mai… purché fosse quieto, humile et piuttosto utile che pregiudizievole al regno, si rimanesse, per vivere et morire in quello”. In questa maniera Ruggieri e Ricci entrarono in Cina, conformandosi ai costumi locali, imparandone la lingua e discettando con loro nella maniera in cui loro erano abituati. Scrisse anche un catechismo, ovviamente adattato in maniera che fosse comprensibile alle persone colte e di alto livello ma di cultura cinese. R. nelle sue numerose lettere descriveva la cortesia e il formalismo estremo della sua controparte locale dicendo “en el aspecto y en lo interior de sus corazones <i Cinesi sono> propriamente come mugeres, i si alguno le muestra dientes luego se humillan”. R. suggeriva a questo punto di mandare in visita all’imperatore un’ambasceria del re di Spagna o, meglio, del Papa per instaurare rapporti diplomatici. I più però erano convinti che il permesso di ingresso accordato a R. e Ricci non sarebbe stato esteso ad altri quindi era necessario un intervento armato “porque su conversion por via de predicacion… es impossible”. Il superiore di Macao scrisse nel giugno 1585 a Filippo II che i Cinesi erano gente male armata e “feminada”, che nessuno portava la spada al fianco e che scarsa o nulla era la loro capacità bellica. Sarebbero bastati 8000 uomini reclutati nelle colonie spagnole circostanti e ben addestrati per conquistare la Cina. Il confronto in Europa era rovente: alcuni si opponevano all’uso delle armi ricordando le brutalità perpetrate in nome della fede in altre colonie, altri non andavano troppo per il sottile. Lo stesso Pontefice, a cui fu sottoposta la questione, riconobbe il diritto della Spagna ad un intervento armato contro la Cina. Conquistarla quindi non appena averne avuto una minima conoscenza.
Fin qui il libro, ma cosa c’entra con l’argomento di oggi?
Ho voluto parlarvi di un periodo molto lontano dalle problematiche attuali per farvi notare che l’attitudine europea e successivamente americana è sempre stata quella di ritenersi il popolo più civilizzato della terra e quindi destinato a portare altrove la vera fede e le regole del vivere civile. In cambio di tutto ciò ritenevamo di avere il diritto di appropriarci delle ricchezze dei popoli da noi sottomessi. Se la violenza era il modo più spiccio per raggiungere l’obiettivo, essa era più che giustificata. A scuola ci parlavano del “feroce Saladino” e dell’assoluta necessità delle Crociate. “Dio lo vuole” si diceva. Quante morti causate in nome di Dio! Pensate agli stermini fatti dagli Spagnoli in America latina. In tempi più vicini a noi, pensate alla “colonizzazione” dell’Africa. Noi non siamo stati i peggiori ma si è mai parlato a scuola delle stragi perpetrate dal Maresciallo Graziani in Cirenaica? Di recente ho partecipato a un civilissimo dibattito su Linkedin. Si parlava della situazione del Mediterraneo ed è venuto fuori che noi dovremmo riprendere la politica coloniale degli ultimi 150 anni perché i nostri popoli hanno bisogno delle ricchezze dell’Africa.
Vi invito di nuovo a “guardare il mondo dalla Luna”, cercando cioè di osservare la situazione di oggi come se non appartenessimo ad alcun blocco. Manteniamo le idee e il modo di vivere che nascono dalla nostra storia e dalla nostra cultura, ma accettiamo che altri popoli possano pensare e vivere in maniera diversa. Non cerchiamo sempre di “convertire” qualcuno. Non abbiamo “missioni” da compiere.
E parliamo dell’argomento di oggi. Cosa possiamo aspettarci dalla nuova presidenza americana in politica estera?
Il presidente Biden ha pubblicato il suo primo documento di ampio respiro sulla politica internazionale, il “National Security Strategic Guidance”. Anche se preliminare esso anticipa (in un’introduzione più 23 pagine di dettaglio) una trattazione più ampia e dettagliata che farà in seguito come hanno fatto tutti i Presidenti prima di lui all’inizio del loro mandato. Più che la parte strettamente militare è però secondo me interessante esaminare la parte politica, l’ottica con la quale l’America guarderà il resto del mondo nel corso dei prossimi quattro anni. Tale documento è stato anticipato dai suoi interventi alla Conferenza di Dresda e alla riunione del G7 ma ora la sua strategia è più organica anche se non dice nulla che non fosse stato già anticipato.
B. non usa più i toni “bullistici” e brutali di Trump, non parla mai di “America first” nella maniera sprezzante ed egoista del suo predecessore ma in un certo senso si riallaccia agli ideali storici dell’America dei Padri fondatori.
Il Presidente parte da alcuni presupposti assolutamente positivi e condivisibili.
“Una cosa è certa: noi avremo successo nel portare avanti gli interessi americani e difendere i nostri valori universali solo lavorando assieme ai nostri alleati e partners più vicini…”. La politica di Trump per cui la Germania era “foe”, un nemico, e i Paesi europei delle controparti da addomesticare è stata quindi ribaltata. B. si rende conto che oggi i Paesi occidentali, che hanno gli stessi ideali e sono figli della stessa cultura, non possono essere avversari ma, nelle loro differenze, è necessario trovare una linea comune per il bene di tutti. La notizia di questi giorni, la sospensione per quattro mesi dei reciproci “dazi punitivi” per l’annosa vertenza Boeing – Airbus in attesa di una soluzione definitiva ne è una conferma. Attenzione però: a quali condizioni sarà stabilita la pace? Staremo a vedere.
B. prosegue “Ciò inizia con la rivitalizzazione del nostro più fondamentale vantaggio: la nostra democrazia.” “C’è chi sostiene che, date tutte le sfide che dobbiamo affrontare, l’autocrazia sia la migliore via da seguire. E c’è chi capisce che la democrazia è essenziale per affrontare tutte le sfide del nostro mondo che cambia. Dobbiamo dimostrare che il nostro modello non è una reliquia della storia; è l’unica via migliore <the single best way> per realizzare la promessa del nostro futuro. E se lavoreremo insieme ai nostri partners democratici con forza e fiducia affronteremo ogni sfida e supereremo ogni sfidante”
Attenzione alle tre parole sottolineate: la democrazia è certamente la base della nostra cultura e, con tutti i suoi difetti, la più adatta a noi, ma “unica via” nel mondo? e chi ha stabilito che altre culture, e il mondo ne è pieno, non possano avere vie diverse e più adatte a loro? Qui B. contraddice se stesso perché non è “democratico” dire che ciò che è bene per se lo sia anche per altri popoli con storie, culture e tradizioni diverse. La storia anche recente: Libia, Somalia, Vietnam Iraq, dove abbiamo voluto portare la democrazia con i cannoni ci dimostra che abbiamo lasciato solo sfaceli. Un Presidente soppesa parola per parola ciò che scrive quindi non deve essere sottovalutato. Qual è il motivo per cui sente il bisogno di stabilire che è unica in maniera assiomatica, anzi dogmatica?
E poi prosegue “Gli USA devono rinnovare i propri vantaggi duraturi, in modo da affrontare le sfide da una posizione di forza.” “Noi ricostruiremo le nostre basi economiche, reclameremo il nostro posto nelle istituzioni internazionali <ma ne erano usciti loro in maniera sprezzante, nessuno ha mai pensato di cacciarli fuori>… modernizzeremo le nostre capacità militari ma esercitando la leadership prima con i mezzi della diplomazia e rivitalizzando il nostro network di alleanze.”
Aggiunge poi una frase “Noi dobbiamo anche dimostrare chiaramente agli Americani che esercitare la leadership del mondo non è un investimento che facciamo per sentirci a posto. E’ la maniera di essere sicuri che il popolo americano sia capace di vivere in pace, sicurezza e prosperità. E’ il nostro innegabile interesse. Rafforzando le nostre alleanze, noi accresciamo la nostra potenza e la nostra capacità di bloccare le minacce prima che possano raggiungere le nostre coste”
L’introduzione termina in maniera alta “Quando noi investiamo nello sviluppo economico dei Paesi, noi creiamo nuovi mercati per i nostri prodotti e riduciamo la probabilità di instabilità, violenza e migrazioni di massa. Quando noi rafforziamo il sistema sanitario nel mondo, noi riduciamo il rischio di future pandemie che possono creare rischi al nostro popolo e alla nostra economia. Quando noi difendiamo uguali diritti per tutti, per le donne, e le bambine, per gli LGBT, le comunità indigene, le persone con disabilità, le persone di qualsiasi gruppo etnico e religione, noi contribuiamo ad assicurare che questi diritti siano garantiti anche ai nostri figli, qui, in America,.”
“La verità è che l’America non può permettersi di restare ancora assente dal palcoscenico mondiale. E sotto l’Amministrazione Biden-Harris, “America is back”, l’America è tornata!.”
Il discorso è indubbiamente bello, ispirato, di alto profilo e l’abitudine al bullismo di Trump lo rende ancora più significativo. Ma dietro queste bellissime parole emerge chiarissima l’idea americana che il mondo può esistere in pace, prosperare, affrontare le pandemie e le crisi, superare le disparità individuali, razziali, religiose solo affidandosi alla leadership e agli ideali americani. Solo all’ombra del loro capace ombrello i popoli del mondo possono vivere. Da più di duecento anni gli americani sono convinti di avere questa missione divina.
In un mondo di sette miliardi di esseri umani, nati uguali e con gli stessi diritti fondamentali, come possono quattrocento milioni di individui, meno del 6% della popolazione, proclamarsi in diritto di decidere per tutti. Sono questi i principi della democrazia che vengono proclamati come l’unico sistema possibile? L’altro 94% deve solo accettare senza possibilità di decidere autonomamente? E’ questa la democrazia che deve regnare nel mondo oppure solo i cittadini americani possono votare ed il loro voto vale per tutto il mondo? Forse queste decisioni, almeno in maniera consultiva e teorica potrebbero essere affidate all’assemblea generale dell’ONU, dove tutti i Paesi sono rappresentati. Niente da fare, quello è un teatrino, una specie di festival annuale, una festa paesana. L’unico organismo di una qualche rilevanza è il Consiglio di sicurezza, altro esempio di democrazia! Cinque Paesi: Usa, Russia, Cina, Francia e Inghilterra hanno diritto di veto, di bloccare qualsiasi delibera. E perché? Perché sono i Paesi vincitori della seconda guerra mondiale: il diritto perpetuo dei vincitori di una guerra. Ancora peggio! Gli USA, assieme al Regno Unito, condussero la campagna “Iraqi Freedom” e distrussero l’Iraq senza l’Autorizzazione del Consiglio di sicurezza e sulla base di informazioni false. Il governo francese tentò di fermarli con prove della loro inconsistenza, ma invano. Ovviamente le armi di distruzione di massa non furono mai trovate e la destabilizzazione dell’Iraq determino la destabilizzazione di tutto il Medio Oriente che dura tutt’ora.
Le 23 pagine dell’allegato “Renewing America’s advantages” confermano ciò che ho detto. Ve ne riassumo il testo.
Fronteggiamo un mondo di nazionalismo crescente, arretramento della democrazia rivalità crescente con Cina, Russia e altri stati autoritari… il nostro ruolo nel mondo dipende dalla nostra forza e vitalità qui, a casa. …Ciò richiede un approccio creativo basato sulla nostra diversità, economia vibrante, società civile dinamica…..valori democratici….e sulla maggior potenza militare del mondo. Dobbiamo assicurare i nostri vantaggi ricostruendo la nostra casa e rinvigorendo la nostra leadership all’estero. Partendo da una rinnovata posizione di forza l’America può affrontare ogni sfida. Noi eserciteremo la nostra leadership con diplomazia.
Nella nostra storia abbiamo trasformato periodi di crisi con la creazione di rinnovate opportunità. Ciò vale anche oggi.
Oggi le democrazie nel mondo sono sotto assedio. <Si sta creando> una mentalità in cui ogni nazione fa per se, e ciò ci rende più isolati, meno prosperi, e meno sicuri. Le nazioni democratiche si devono confrontare con poteri autoritari antagonisti. Essi usano false informazioni, disinformazioni e corruzione per sfruttare la debolezza del mondo libero. Noi dobbiamo confrontarci con la realtà che la distribuzione del potere nel mondo sta cambiando, creando nuovi pericoli. La Cina in particolare è diventata più assertiva. E’ l’unico Paese capace di combinare la sua forza economica, diplomatica, militare e tecnologica per sfidare un sistema stabile e aperto. <Come ho detto prima: la leadership americana non nasce per diritto divino. Il mondo può anche esser bipolare o addirittura multipolare> . Dobbiamo anche confrontarci con paesi dotati di un governo fragile e altri poteri che possono danneggiare gli interessi americani. Le alleanze, istituzioni, accordi e norme che garantiscono l’ordine internazionale che gli USA hanno contribuito a creare sono messe alla prova. Assieme ai nostri alleati possiamo modernizzare l’architettura della cooperazione internazionale per le sfide di questo secolo <E gli altri, la gran maggioranza del mondo stanno a guardare?>
Rivoluzione tecnologica. Le nuove tecnologie sfuggono per larga parte alle leggi e norme che abbiano al loro centro i valori democratici, perseguano la cooperazione, definiscano paletti contro un loro uso maligno e affrontino il rischio che la competizione porti a un conflitto.. L’America con i suoi partners definirà nuove regole <E gli altri? Come sopra>
Le priorità della nostra sicurezza nazionale. E’ nostro obbligo solenne proteggere la sicurezza del popolo americano. Noi abbiamo un interesse duraturo a espandere la nostra prosperità economica e le nostre opportunità, ma dobbiamo ridefinire gli interessi economici americani dal punto di vista della vita delle famiglie, non dei profitti societari. Ciò determina la necessità di un recupero economico basato su una crescita equa e inclusiva, come pure investimenti per incoraggiare l’innovazione…..e dobbiamo restare impegnati a realizzare e difendere i valori democratici al cuore del modo di vivere americano. Ciò significa, più che il semplice mantenimento dello status quo, la difesa dei nostri valori all’estero, incluse l’unità delle democrazie del mondo per combattere i pericoli per le società libere. Ciò implica … gestire e sostenere un sistema internazionale stabile e aperto, sottoscritto da alleanze democratiche forti, istituzioni e regole multilaterali. L’alleanza delle forze democratiche ci porrà in condizione di mettere insieme le nostre forze per promuovere standard elevati, stabilire regole internazionali efficaci e fare in modo che paesi come la Cina si adeguino. Per questo motivo modernizzeremo la NATO e le nostre alleanze con Australia, Giappone e Corea.
Ci muoveremo rapidamente per ottenere di nuovo la nostra posizione di leader della comunità internazionale per affrontare la crisi climatica ed altri problemi condivisi. Siamo già rientrati nell’accordo di Parigi sul clima ed abbiamo già nominato un inviato speciale per il clima come primo passo per ristabilire la nostra leadership..
Ci uniremo alla comunità internazionale per combattere le minacce poste dal Covid-19 e altre malattie infettive con potenziale pandemico. Saremo i leader del WHO (OMS) lavorando per riformare e rafforzare l’organizzazione.
Forniremo assistenza per promuovere la stabilità globale e offrire un’alternativa ai modelli di sviluppo predatori. <Chi sono i predatori? Chiunque non accetti la leadership americana>
Dal momento che l’ONU e le altre organizzazioni internazionali, per quanto imperfette, restano essenziali per portare avanti i nostri interessi, noi ritorneremo a parteciparvi a pieno titolo.
Tutto ciò richiederà che l’America riassuma un ruolo leader nelle organizzazioni multilaterali. E anche necessario che queste istituzioni continuino a riflettere valori universali (il concetto di “universale” non può essere definito in maniera unilaterale, è un principio fondante della democrazia), aspirazioni e norme che hanno sostenuto il sistema dell’ONU fin dalla sua fondazione 75 anni fa, piuttosto che un’agenda autoritaria.
Il nostro ruolo in difesa della democrazia non si ferma alle nostre coste. <Questo è un concetto decisamente imperialista> L’autoritarismo è in marcia nel mondo, e noi dobbiamo unirci ai nostri alleati per rivitalizzare la democrazia nel mondo. Noi dobbiamo combattere i pericoli posti alle nostre democrazie da aggressioni, ciberattacchi, disinformazione, autoritarismo digitale e coercizione energetica.
Questa agenda rafforzerà i nostri vantaggi e ci permetterà di prevalere nella competizione strategica con la Cina o qualsiasi altra nazione. In molti settori i leader cinesi cercano vantaggi sleali, si comportano in maniera aggressiva e coercitiva (!!!), e mettono in pericolo le regole e i valori al cuore di un sistema internazionale aperto e stabile. Tutte le volte che il comportamento del governo cinese metterà a rischio i nostri valori e interessi noi risponderemo alla sfida di Pechino. Noi contrasteremo pratiche commerciali sleali e illegali, furti informatici, e pratiche coercitive economiche che danneggiano i lavoratori americani, danneggiano le nostre tecnologie avanzate e emergenti e cercano di erodere il nostro vantaggio strategico e la competitività nazionale. Noi continueremo a difendere l’accesso ai beni comuni globali, incluso la libertà di navigazione e i diritti di sorvolo, in accordo alle leggi internazionali. <piccolo commento: chi difenderà il mondo se e quando gli USA bloccheranno i diritti altrui? Queste cose dovrebbero essere fatte esclusivamente dai caschi blu dell’ONU>.
Noi supporteremo Taiwan, una democrazia leader e un partner importante sia economico che per la sicurezza, in linea con gli impegni americani esistenti da tempo <anche in questo caso dimentica che gli USA hanno sostenuto il concetto di “una sola Cina” e fatto in modo che l’unico rappresentante all’ONU fosse la PRC, cacciando fuori Taiwan e facendo in modo che entrasse la PRC. Ma allora forse avevano interessi diversi e superiori ai loro ideali>. Noi faremo in modo che le società americane non sacrifichino i valori americani nel fare affari con la Cina <neppure Trump c’è riuscito, anzi sono aumentate>. E noi supporteremo sempre la democrazia, i diritti umani e la dignità umana, incluso a Hong Kong, Xinjiang, e Tibet. Su tutti questi problemi noi lavoreremo per creare un approccio comune con i Pesi di buona volontà < Perché non menziona la Catalogna, l’Arabia Saudita, il Cile dove gli USA hanno organizzato un colpo di stato, etc.>
Noi saremo comunque favorevoli alla cooperazione del governo cinese su problematiche come i cambiamenti climatici, la sicurezza sanitaria globale, il controllo delle armi.
Conclusione. Il mondo è a un punto di svolta. Nessuna nazione è in posizione migliore dell’America per navigare in questo futuro. Ciò richiederà che insistiamo e perseveriamo nei nostri vantaggi e ci confrontiamo col mondo da una posizione di confidenza e forza. Facendo ciò, assieme ai nostri partners vinceremo ogni sfida.
Non ho parlato degli aspetti puramente militari, come ho detto, e della politica interna dove ha semplicemente ripetuto ciò che aveva affermato nei giorni convulsi di Capitol Hill. Ma questo già lo sapete.
Per il resto, che dire? E’ cambiato il tono ma non la sostanza e questa è una vera e propria dichiarazione di guerra alla Cina in cui “chiama alle armi” tutti i Paesi storicamente alleati degli Stati Uniti. Accetteranno? La Germania della Merkel ha già detto come la pensa promuovendo e ottenendo la firma dell’accordo EU-Cina nonostante la richiesta di Biden di aspettare il suo ingresso al potere per discuterne. Non ho idea di cosa avverrà col successore. E’ dunque iniziata a tutti gli effetti una nuova guerra fredda, ben diversa da quella contro l’Unione sovietica. Lì si trattava di un confronto aspro fra due mondi di cultura europea; non dimenticate infatti che Marx e Engels erano europei. Inoltre allora c’erano due grandi eserciti (USA e URSS) già presenti a fronteggiarsi all’interno dei confini europei proprio per il controllo dell’Europa. Qui la situazione è completamente diversa e mai successa nella storia. Due civiltà, due mondi, due storie, due culture si sono sviluppate separatamente dall’inizio della specie umana. Chi conosce e sa valutare e analizzare il mondo cinese e quello americano non può non convenire che essi non hanno niente in comune al di là di alcuni principi fondamentali innati in ogni individuo che nasca in questo mondo.
Faccio alcuni esempi. L’Occidente è basato sulla supremazia dell’individuo e dei suoi diritti individuali rispetto a quelli della collettività. In Cina è assolutamente l’opposto da sempre, e il sistema di governo riflette ciò. Lo si percepisce in ogni momento. Il mondo occidentale è governato dalla “rule of law” anche se spesso sorgono dei dubbi circa la completa applicazione di ciò. In Cina regna sostanzialmente la “rule by law” anche se nel diritto civile la situazione sta cambiando. Inoltre la storia dimostra che in Occidente ogni Paese ha adottato da sempre una politica di conquista militare dei Paesi confinanti. Una volta stabilito con le armi “chi comandava” si poteva ottenere la pacificazione e la collaborazione reciproca. Bisognava in sostanza stabilire chi era “il capo branco” e poi andava tutto bene. La storia cinese sostanzialmente non parla mai di guerre di conquista ma di allargamento di zone di influenza basate sulle capacità commerciali. Potrei continuare a lungo ma bastano questi punti per rendersi conto che si tratta di due principi assolutamente diversi. Ognuno ha il suo, che deriva dalla sua storia e un mondo civile dovrebbe fare in modo che ciascuno accetti l’altro e cerchi di migliorare se stesso dai grandi difetti che il proprio sistema ha ancora senza cercare di modificare i sistemi altrui. Le reazioni della Cina non si sono fatte attendere, ma di questo vi parlerò un’altra volta. Dobbiamo a questo punto sperare che un minimo incidente non porti ad un conflitto dalle conseguenze imprevedibili e devastanti. Vi ricordo che il vecchio Kissinger, vero artefice dei primi contati USA-Cina e dell’apertura reciproca ha detto recentemente (cito a memoria) “I due Paesi dovrebbero almeno concordare in maniera assolutamente segreta i rispettivi limiti invalicabili, al di là dei quali ci sarebbe la guerra. Poi potrebbero proseguire con le loro schermaglie. In questo modo si potrebbe evitare che un incidente sempre possibile fra due eserciti che oggi si fronteggiano a pochi metri di distanza si trasformi in una catastrofe.
14 maggio 2019
MALA TEMPORA CURRUNT
Il mondo era in attesa dell’ultimo round di riunioni a Washington fra le delegazioni americane e cinesi che stavano poco a poco cercando una soluzione alla “guerra dei dazi”, e la riunione finale fra Xi Jinping e Trump per sancire l’accordo era in fase di organizzazione.
All’improvviso, la sera del 5 maggio ( prime ore del mattino del 6 maggio in Cina) un Twitter di Trump “oggi la politica in occidente viene fatta così) ha raggelato le borse orientali appena aperte.
“Da 10 mesi la Cina sta pagando dazi del 25% agli USA su 50 miliardi di dollari di prodotti ad alta tecnologia, e del 10% su 200 miliardi di altri prodotti. Questi dazi sono parzialmente la causa dei nostri straordinari risultati economici. Il 10% sarà innalzato al 25% a partire da venerdì prossimo. 325 miliardi di dollari di altri prodotti che importiamo dalla Cina restano esenti, ma saranno a breve anch’essi tassati al 25%. I dazi hanno avuto un impatto ridotto sui prezzi in America e sono stati sostanzialmente a carico dei produttori cinesi. Il negoziato con la Cina continua, ma troppo lentamente perché i Cinesi provano a rinegoziarlo, NO!”
La Cina, al suo risveglio vide le borse asiatiche andare a picco senza potersene spiegare ilo motivo. Le tre più importanti fonti ufficiali di informazioni, “People’s Daily”,’Xinhua” e “CCTV” non diedero infatti alcuna informazione sull’argomento, e le agenzie di notizie finanziarie si limitarono a dire che i mercati “erano in calo sulla base di informazioni ricevute” Allo stesso tempo, la censura bloccava ogni informazione in merito su WECHAT (l’equivalente di Whatsapp) popolarissimo in Cina. Solo nel pomeriggio Global Times relegò in ultima pagina la notizia del Twitter di Trump. In seguito, in serata arrivò la prima comunicazione ufficiale del Ministero degli Esteri.
La Cina non si aspettava questa mossa, dopo le dichiarazioni del Segretario al Tesoro americano che aveva definito “costruttive” le riunioni del mercoledì precedente e annunziava quelle di questa settimana.
La maniera migliore per farsi un’idea dell’andamento delle discussioni che, a parte la cena del giovedì, sono durate in totale solo tre ore, è quella di leggere, una dopo l’altra, le dichiarazioni che si sono succedute, soprattutto la raffica di Twitter,. di Trump sempre più duri e ultimativi.
Lunedì (1.08 pm ora americana) “Gli Stati Uniti hanno perso per molti anni da 600 a 800 miliardi/anno negli scambi commerciali. Solo con la Cina perdiamo 500 miliardi di dollari. Spiacenti, non lo faremo più!”
Lunedì alle 11.06 pm (ora americana) “Siamo esattamente dove vogliamo essere nei nostri rapporti con la Cina. Ricordatevi, loro sono tornati indietro su quanto già concordato con noi, e hanno cercato di rinegoziarlo. Noi ci prenderemo decine di miliardi di dollari in dazi con la Cina. Gli importatori possono produrli direttamente degli USA (soluzione ideale), ho comprarli in Paesi nei cui confronti non abbiamo imposto dazi”
Lunedì 13 alle 00.18 (ora americana) “Penso che la Cina si sia resa conto che è stata sconfitta così pesantemente in questo negoziato, e vogliano aspettare le prossime elezioni nel 2020, sperare di essere fortunati che un democratico vinca e possano continuare a strappare 500 miliardi/anno agli USA. L’unico problema è che sanno che io vincerò (la migliore economia e il numero di lavoratori impiegati nella storia americana, e molto altro), e che i termini dell’accordo saranno molto peggiori per loro se saranno negoziati durante il mio secondo mandato. Sarebbe più conveniente per loro di agire subito; ma io AMO INCASSARE DAZI ALTI”
Lunedì 13 alle 1.22 (ora americana) “La Cina sogna che l’addormentato Joe Biden, o qualcuno degli altri, verrà eletto nel 2020”
Rompo le mie regole abituali per chiedermi e chiedervi: è questa la maniera di condurre un negoziato con un Paese forte e orgoglioso (“Penso che la Cina si sia resa conto che sono stati sconfitti così pesantemente in questo negoziato, e vogliano aspettare le prossime elezioni nel 2020, sperare di essere fortunati che un democratico vinca e possano continuare a strappare 500 miliardi/anno agli USA”) oppure Trump mira a qualcosa di diverso? O più semplicemente è la sua solita maniera abituale come ha fatto con la Corea del Nord, con l’Iran e tutto sommato anche con l’Europa?
Nel frattempo, al momento di lasciare gli USA, il vice premier cinese dichiarava “Le relazioni economiche e commerciali costituiscono la base e il motore dei rapporti complessivi Cina-USA e impattano non solo sui rapporti bilaterali ma anche sulla pace e la prosperità del mondo”; La cooperazione è l’unica scelta giusta da parte di entrambi, ma essa deve essere basata su principi, e la Cina non farà mai concessioni sulle questioni di principio più importanti”; “ la delegazione cinese <cento persone per colloqui che sarebbero dovuti durare due o tre giorni al massimo> è venuta a Washington per l’ultimo round di negoziati animata da sincerità e ha intrattenuto discussioni trasparenti e costruttive con la controparte” “La Cina è fortemente contraria ai nuovi dazi che sono dannosi non solo per Cina e USA, ma per il mondo intero, e la Cina dovrà prendere le contromisure necessarie” “Le parti hanno raggiunto un accordo importante su vari aspetti ma restano tre aspetti fondamentali che devono essere concordati” “ Il primo è la rimozione di tutti i dazi addizionali. Essi sono stati il punto iniziale della disputa e devono essere assolutamente revocati”, “ Il secondo è che l’ammontare delle nostre importazioni deve essere realistico. In Argentina esso era stato concordato e non deve essere modificato a caso”, “ Il terzo è un testo scritto in maniera appropriata. Ogni Paese ha la sua dignità ed esso deve essere più bilanciato”. Ulteriori discussioni sono necessarie su questo aspetto critico”; “E’ normale che nelle discussioni si siano stati alcuni “up and down”, è irresponsabile accusare una Parte di fare marcia indietro mentre le negoziazioni sono ancora in corso”. Liu ha infine concluso dicendo che per la Cina l’aspetto più importante è focalizzarsi sui propri affari. Le prospettive economiche sono buone è c’è ampio spazio per manovre fiscali e monetarie. “E’ un bene per un grande Paese incontrare alcuni ostacoli nel proprio sviluppo perché essi servono a testare le proprie capacità. Siamo confidenti che sotto la guida del Partito e del Presidente Xi Jinping, saremo capaci di mantenere l’attuale momento positivo e il buono sviluppo economico”.
Le ultime parole anticipano quanto il Global Times scrive il sei maggio in maniera ben più dura e polemica
“ Non dovete neanche pensare ad alcuna concessione ulteriore…….. noi non faremo alcun passo indietro”,
e allo stesso tempo lasciava trapelare la notizia che il Presidente Xi Jinping aveva posto il veto ad ulteriori concessioni proposte dai negoziatori, dicendo “Mi assumo personalmente la responsabilità di tutte le possibili conseguenze”.
Durante il secondo Forum del Belt and Road che si è tenuto gli ultimi giorni di aprile (e di cui volevo parlarvi oggi, prima di questa “breaking news”) Xi aveva cercato di mettere la sordina sulla guerra commerciale, anzi aveva menzionato la possibile accettazione delle principali richieste americane come dettate dalla necessità di sviluppo interno. Secondo molti osservatori, esperti di “comunicazione cinese” ciò significava che Xi era pronto a firmare l’accordo e porre termine alla guerra commerciale e cominciava a “vendere all’opinione pubblica interna” le concessioni fatte.
Tutto ciò mentre l’opinione pubblica americana, e non solo Repubblicana, accusava Trump di non avere ottenuto abbastanza. Ciò spiega l’irrigidimento americano e il bullismo evidente nei suoi Twitter, ma perché quello cinese?
Qui si va nell’ambito delle ipotesi ma esiste una certa concordanza di vedute da parte di osservatori di entrambi i Paesi. Anzitutto l’ultima riunione del Politburo non ha posto più l’attenzione sulla stabilizzazione economica come era stato nel meeting di febbraio. Ciò potrebbe far pensare che il governo non sia molto preoccupato dell’impatto dei dazi sull’economia cinese, specialmente dopo le ultime azioni effettuate dal governo in questo campo e lo confermerebbero le parole di Liu. Allo stesso tempo, il 2019 è un anno pieno di eventi importanti per la Cina. In ottobre si celebra il settantesimo anniversario dalla fondazione della repubblica Popolare, alla fine di giugno il trentesimo anniversario dei fatti di Piazza Tienanmen, e infine il centenario del movimento del 4 Maggio di cui vi parlerò un’altra volta. Per tutto questo la Cina non può accettare a sua volta una sconfitta in questa che ormai non è ( e in fondo non è mai stata) una semplice guerra commerciale.
Ma il vero problema è ancora semplicemente il disavanzo commerciale? Sembra proprio di no, perché un accordo sarebbe già stato raggiunto; ne esisteva un altro, assolutamente collegato, cioè l’apertura agli investimenti esteri e la protezione della proprietà intellettuale. Come vi ho detto la nuova legge è stata emanata e alcune multinazionali americane già operano come se fosse già in forza. Pare quindi che il vero problema sia la richiesta americana di una procedura che possa essere controllata e manovrata da loro per rendere obbligatoria l’attuazione della nuova legge, senza possibilità cinese di opporsi. Messa in questi termini ne garantirebbe l’attuazione ma sarebbe nei fatti una riduzione notevole della sovranità del Paese, del tutto inaccettabile da chiunque. Sarebbe questo una parte del terzo punto menzionato dal Vice Premier. Resta anche il contenzioso sugli aiuti alle società di stato o di interesse nazionale e anche questo è un grosso problema perché essi di fatto esistono e sono in qualche modo sempre esistiti in tutto il mondo . Un esempio clamoroso è stato l’enorme supporto del governo americano alle industrie pubbliche e private nella “corsa alla Luna” per superare l’Unione Sovietica che allora era in grande vantaggio, i sussidi alla Boeing contro Airbus e quelli che si preannunziano nella corsa alle tecnologie avanzate, abbondantemente sussidiate dal governo cinese e che certamente gli Americani non smetterebbero certamente di sussidiare, come è successo per l’industria aerospaziale. E’ sempre stato così e sempre lo sarà. Del resto a me risulta personalmente che nelle società di stato in settori “maturi” come ad esempio la petrolchimica i sussidi alle società di stato sono sempre più ridotti e scompariranno a breve. Non credo che più di questo sia in pratica possibile ed è un motivo in più a spingermi a pensare, come dico da molto tempo, che il motivo è ideologico e legato a una diversa visione del mondo e dell’egemonia all’interno di esso.
Nel frattempo voci critiche si sono levate da Parte di industriali sia Americani che Cinesi. La Camera di Commercio americana, subito dopo l’interruzione dei negoziati, ha dichiarato in un comunicato “ la comunità industriale chiede all’Amministrazione americana e al governo cinese di lavorare velocemente e in buona fede per stipulare un accordo di alto livello e applicabile, e cancellare i dazi reciproci.
Le preoccupazioni degli ambienti industriali nascono anche dal fatto che le due economie sono oggi strettamente interconnesse e molti dei beni importati in America oggi sono prodotti intermedi come l’alluminio e l’acciaio. Essi quindi si riverseranno per gran parte sui prodotti finali venduti ai consumatori americani riducendo la domanda. Harley Davidson (fabbricante di motociclette famose nel mondo) ha annunziato che in questo scorcio di anno i nuovi dazi in USA, Europa e Cina costeranno loro 120 milioni di dollari. Warren Buffet e il fondo Black Rock hanno annunziato che l’economia mondiale ne sarà profondamente danneggiata. Del resto il crollo delle borse di tutto il mondo (USA e Cina in primis) ne sta dando una prova evidente.
Da parte cinese le proteste maggiori sono nate dalla pletora di piccole e medie industrie che esportano beni di consumo nel mondo. Una sintesi delle loro preoccupazioni è la seguente: abbiamo potuto assorbire, anche se con fatica, dazi del 10%. Come potremo farlo una volta che essi cresceranno al 25% e saranno generalizzati su sostanzialmente tutte le nostre esportazioni? Beni equivalenti prodotti in Tailandia o Vietnam dove i dazi non ci sono o non sono così elevati saranno più competitivi dei nostri. Alcuni di noi, in previsione del futuro hanno spostato le loro fabbriche nel Sud-Est asiatico, ma ora saremo ancora in tempo per farlo e quanto ci costerà?
Vi accenno inoltre a due punti fondamentali che tratterò nei prossimi giorni.
- Sia gli Americani che i Cinesi hanno cominciato a chiedersi “Mai noi siamo in grado di capire e interpretare correttamente l’altra parte?
- La fine della guerra commerciale segnerà la fine delle ostilità o stiamo assistendo solo alla prima fase?
Nelle figure allegate mostro alcuni dei Twitter che vi ho già menzionato e altri che si stanno succedendo ogni giorno, fino all’emissione di questa nota
Ho aspettato molto tempo prima di scrivere questo ultimo capitolo nella speranza che il fumo si diradasse un po’ e ci permettesse una visione più chiara. Cosa è successo nel frattempo? Molte cose.
- La riunione fra Xi Jinping e Donald Trump a-latere del meeting di Buenos Aires si è svolta come da copione. Trump deve mantenere un buon rapporto personale con Xi Jinping durante i faccia a faccia anche se poi riprende le ostilità immediatamente dopo i saluti e i sorrisi. Anche Xi condivide quest’approccio e quindi i due hanno concordato una tregua di novanta giorni nell’applicazione delle reciproche sanzioni (fatte salve ovviamente quelle già in effetto). Che cosa significa? In sostanza niente perché non c’è stato alcun comunicato congiunto e i rispettivi comunicati divergono sostanzialmente. Neanche l’arresto a Vancouver di Meng Wanzhou, figlia del fondatore e maggior azionista di Huawei, di cui è direttore finanziario, ha turbato l’evento. Le due delegazioni ne erano perfettamente informate ma i media ancora non sapevano niente, come doveva essere. Ironia della sorte, la sorella di Meng Wanzhou negli stessi giorni partecipava, fotografatissima, a Vienna alla festa delle debuttanti.
- L’arresto dell’altissimo dirigente costituisce l’altra novità importante . Quando ci fu l’affaire della ZTE che avrebbe portato al collasso dell’azienda, una telefonata personale di Xi Jinping a Trump portò al ritiro delle sanzioni americane. I due avevano deciso di non farsi troppo male! Questa volta invece è andata diversamente: Meng Wanzhou è stata liberata sotto cauzione in attesa di estradizione e processo negli Stati Uniti. Non si sa se si opporrà (e secondo precedenti simili potrebbe resistere per vari anni) oppure accetterà il trasferimento ed il processo rischiando una condanna a trent’anni di carcere. Nel frattempo due cittadini canadesi sono stati arrestati in Cina “per attività che mettono in pericolo la sicurezza nazionale”. Evidentemente il livello di ostilità si è alzato rispetto al precedente di ZTE. Oggi si è saputo che anche un terzo Canadese è stato arrestato. A peggiorare le cose c’è una dichiarazione di Trump rilasciata alla Reuters in cui afferma che non esiterebbe ad agire sul Dipartimento di Giustizia per una risoluzione pacifica del caso di Meng Wanzhou se ciò fosse utile alla trattativa generale. Se c’era bisogno di una prova del carattere politico di questo arresto ce l’ha fornita improvvidamente lo stesso Presidente.
- La temuta prova di forza americana nel Mar Cinese Meridionale (annunciata da varie fonti))non si è però ancora verificata. Trump ha forse capito di non potersi spingere al di là di una certa linea.
2.0 Cerchiamo un filo conduttore
Dopo questa lunga analisi, necessariamente sommaria ed in continua evoluzione, cerchiamo un filo conduttore a tutti questi fatti ammesso che, come credo, esso esista.
2.1 la giurisdizione universale americana
E’ questa una caratteristica americana necessaria per capire molti dei fatti oggi alla ribalta. Nel 1977 fu emesso il “Foreign Corruption Practice Aci, FCPA” che è considerato la prima legge al mondo in materia di corruzione internazionale. I suoi principi ispiratori sono stati poi alla base di numerose convezioni internazionali e del decreto legislativo italiano 231/2001 che ha determinato una notevole riorganizzazione di sostanzialmente tutte le aziende italiane. Non voglio entrare in questioni giuridiche ma è importante notare come essa è stata applicata dagli USA. “ If any of the money transited through the US, if there was a bank account that was drawn on there, of if a server based in US was used to send an email, there is jurisdiction” dice Wendy Wysong, uno dei massimi responsabili delle pratiche anticorruzione dello studio internazionale francese Clifford Chance. Esistono numerosi casi a dimostrarlo. Un alto funzionario della Siemens tedesca fu arrestato in Croazia ed estradato negli Stati Uniti sotto l’accusa di aver corrotto funzionari argentini per ottenere un contratto in Argentina nel 1996. Un altro ha coinvolto la società petrolifera brasiliana Petrobras per un caso di corruzione a funzionari del proprio governo: esso ha portato ad una sentenza per una penale stratosferica da parte del Department of Justice americano (per quello che ricordo circa 800 milioni di $). Washington usa, ha usato da sempre, e sta usando ancora questo tipo di sanzioni per isolare Paesi come Cuba, la Russia, la Corea del Nord, la Siria e l’Iran dal commercio internazionale. Ciò implica un embargo non ufficiale alle altre nazioni che non adottano le stesse sanzioni. Nel 2015 per esempio Deutsche bank ha subito una multa di 258 milioni di $ per aver condotto affari con Iran e Siria. Deutsche Bank è tedesca, ma per il fatto di avere delle filiali negli USA, spesso effettuando transazioni in dollari americani, essa è soggetta alle sanzioni americane. E’ quello che sta succedendo in questi giorni con l’obbligo alle nazioni europee di associarsi al nuovo embargo americano all’Iran, dopo l’uscita unilaterale degli USA dal trattato firmato assieme all’Europa con l’Iran. Di tutto ciò ho un’esperienza diretta e di prima mano. Vi assicuro che è una pressione immensa alla quale è pressoché impossibile resistere. Ricordo che noi italiani non riuscimmo ad ottenere l’estradizione degli aviatori americani colpevoli della strage della funivia del Cermis.
Gli Americani sono i giudici del mondo quindi. E’ giusto o un’invasione della sovranità nazionale? Io non ho dubbi ma la forza economica e militare americana è tale che nessuno può ragionevolmente opporsi, incluso tutti i Paesi europei. Potrebbe farlo un’Europa Unita e per questo Trump sta cercando di disgregare la UE, aiutato dai nostri sovranisti. Ciò spiega la base giuridica e i precedenti storici dell’arresto di Meng Wanzhou.
In parallelo la Sec.301 del Trade act 1974 permette agli Stati Uniti di attuare una serie di misure unilaterali per proteggersi da “pratiche scorrette” di stati esteri. Tale Sec. 301 è stata aggiornata il 22 marzo 2018 con un “memorandum on Actions” firmato dal Presidente Trump che autorizza l’amministrazione ad iniziare un contenzioso con la Cina secondo le regole di arbitraggio del WTO e nel frattempo applicare i famosi dazi punitivi che sono via via cresciuti fino a coprire sostanzialmente tutte le esportazioni cinesi in USA, oggi parzialmente sospesi per novanta giorni in attesa di una “resa” da parte cinese.
2.2 I rapporti degli USA nei confronti dei Paesi Nord Americani e dell’Europa
Ciò che è successo nei rapporti commerciali e politici americani al di fuori della Cina è istruttivo.
Il Presidente Trump ha annullato il trattato di libero scambio “NAFTA” con Canada e Messico in vigore da molti anni e iniziato a minacciare (e talvolta applicare) dazi nei confronti di questi due Paesi. Soliti toni minacciosi, fino a quando non è stato negoziato e firmato un nuovo trattato “USMCA”. A parte il cambio di nome voluto dagli USA che non amavano il nome” naFTA North America Free Trade Agreement”, esso da notevoli vantaggi agli Stati Uniti ed include un articolo (32.10) che ha fatto scalpore ed è stato chiamato “un veto anti-Cina” da tutti gli osservatori. Infatti, in caso uno dei tre contraenti decidesse un accordo con uno stato ad economia “non di mercato”, dovrebbe avere un’approvazione preventiva dagli altri due ed in mancanza di essa uno dei contraenti stessi avrebbe diritto di dissolvere il trattato. L’accordo quindi prevede una scelta di campo politica nei confronti della Cina.
Qualcosa di analogo sta succedendo nei confronti dell’Europa, definita “foe” (nemico) e nei cui confronti sono stati minacciati (e credo in parte resi effettivi) alcuni dazi aggiuntivi. Anche in questo caso viene sostanzialmente imposta una scelta di campo con l’obbligo di applicare sanzioni all’Iran, la forte opposizione alla creazione di un sistema di difesa comune fra i Paesi Europei “un offesa per l’America” ed il tentativo evidente di indebolire la UE.
2.3 I rapporti multilaterali
Ve ne ho già parlato ma ricapitolo per completezza. L’amministrazione americana nutre una vera e propria allergia per i rapporti multilaterali dove ovviamente la sua capacità di fare pressioni sulla controparte è molto ridotta. Vi ricapitolo alcuni di questi trattati da cui si è ritirata. Il TPPE con i Paesi del Pacifico, portato avanti dall’amministrazione Obama e non ancora firmato, l’Unesco, Il Consiglio dell’ONU per i diritti umani definito “un organismo ipocrita ed egoista”, il trattato sul clima di Parigi, il trattato con la Russia per i missili a medio raggio, il trattato con l’Iran sulle armi nucleari che ha creato gravissimi danni all’Europa e via di seguito. Proprio stasera nella consueta conferenza stampa di fine d’anno Putin ha ammonito l’America e il Mondo che con una nuova corsa agli armamenti si rischia la catastrofe nucleare per l’umanità.
2.4 la lunga lista dei contenziosi con la Cina
Anche questo punto mi limito a riassumerlo poiché ne abbiamo parlato a lungo. Il contenzioso commerciale e sui dazi con il capitolo aggiuntivo dell’arresto di Meng Wanzhou; il problema di Taiwan, forse il più sensibile e quello che è stato il primo “assalto” all’Impero del Centro; il Mar Cinese Meridionale teatro del quasi scontro fra due navi militari e del paventato (e non ancora scongiurato) show down delle forze aero-navali americane; l’accusa alla Cina di tentare di interferire sulle elezioni americane; le forti critiche americane ai sistemi politici e sociali cinesi. Forse ne ho dimenticato qualcuno ma questi bastano per capire il quadro.
2.5 Le forze militari in campo.
Gli USA sono oggi la potenza militare di gran lunga dominante e lo resteranno probabilmente nei prossimi decenni. Vi fornisco qualche dato: oggi essi dispongono di ben 20 portaerei ed hanno un budget per le spese militari pari a 647 miliardi di $. Ciò permette loro, unico Paese al mondo, di essere capaci di agire, o reagire in poche ore in ogni scacchiere del mondo. La Russia con 47 miliardi e nessuna portaerei in servizio è ancora considerata la seconda grazie ai sottomarini ed alle armi nucleari. La Cina è la terza, con un budget annuale di 151 miliardi e una sola portaerei con caratteristiche inferiori a quelle americane. Ciò da loro la possibilità (assieme alla notevole capacità di guerra elettronica) di difendersi ma non certo di attaccare su larga scala. Per vostra informazione l’Italia ha un budget di 37,7 miliardi e una sola portaerei.
Fornisco questi dati perché li ritengo fondamentali per spiegare la ragione che permette agli USA di negoziare sempre e comunque da posizioni di forza. Assieme alla creazione della UE ciò è stato il motivo fondamentale che ha permesso all’Europa di godere del periodo di pace probabilmente più lungo della sua storia. Non è però stato così per il mondo perché la “guerra fredda” non è stata così “fredda” al di fuori dell’Europa dove ci sono state, e ci sono tuttora, numerosissime guerre sicuramente “calde” fatte “per procura” dalle grandi potenze che non possono farsi per fortuna una guerra diretta.
2.6 I problemi di Xi Jinping
Poco meno di quaranta anni fa, fra i pochi italiani che si avventuravano in Cina e lì soggiornavano per sei-otto mesi l’anno o anche di più talvolta, girava una “profezia”: questo Paese fra una generazione sarà il primo al mondo, se prima non collasserà per problemi interni. Già a quell’epoca, infatti, quando si vedevano solamente i primi spiragli e le prime aperture alla Cina moderna, era possibile capire i caratteri distintivi della Cina di oggi. Essi non erano altro che i caratteri storici del mondo cinese prima del crollo verticale dei 150 anni precedenti. Fummo facili profeti: pochi anni dopo la strage di Tien Anmen (4 giugno 1989) riempì il mondo di sdegno. Pochi di voi ricordano e forse alcuni non sanno cosa essa sia stata e prossimamente ve la racconterò. Vi basti sapere che, dopo un drammatico scontro all’interno dei vertici del potere, Zhao Ziyang, segretario generale del partito, fu messo in minoranza e fu decretata la legge marziale a Pechino. Con un gesto disperato Zhao scese in mezzo all’immensa folla cercando di fermare le manifestazioni che si stavano allargando ad altre città e soprattutto avevano trovato simpatia in alcuni reparti militari “Voi siete ancora giovani, ci sono ancora molti giorni a venire, dovete vivere in salute e vedere il giorno in cui la Cina compirà le quattro modernizzazioni… Voi site il bene della nostra nazione, ma se questa situazione continua, perde il controllo, causerà serie conseguenze in moliti posti …. Ho solo un desiderio, se fate finire lo sciopero della fame, il governo non chiuderà la porta del dialogo, mai!” Non fu ascoltato e Deng Xiaoping si assunse la responsabilità della decisione finale. Fu una strage! Oggi, da documenti dell’ambasciatore inglese, desegretati di recente sembra che i morti siano stati diecimila. Un massacro che non ha giustificazioni. Ma come mai Deng, che era stato per due volte vittima di epurazioni in passato, aveva assunto personalmente il ruolo di capo della reazione? Non credo che lo sapremo mai, ma certamente aveva ben presente quanto la rivoluzione culturale (di meno di vent’anni prima) fosse divenuta a un certo punto assolutamente incontrollabile e forse pensava che la sua politica di caute riforme che portarono alla Cina di oggi non sarebbe sopravvissuta a una scossa violenta come quella di due decenni prima ed avrebbe fatto precipitare di nuovo la Cina nell’oscurantismo. Ne parleremo un’altra volta. Posso solo dirvi che pochi mesi fa ero in centro con una signora, oggi molto importante, e dopo la cena, in macchina con il suo autista mi stava riportando in albergo. Le dissi “Giacché siamo vicini, passiamo da Piazza Tien Anmen? E’ così bella di sera quando non c’è la solita folla, illuminata com’era quaranta anni fa!” Parlò in cinese con il suo autista e pochi minuti dopo eravamo lì. Sapevo che le auto non possono fermarsi neanche per un minuto e non le chiesi niente. Lei ruppe il silenzio e disse “ Sai, noi Cinesi non amiamo passare da Piazza Tien Anmen proprio perché di sera sembra quella di 40 anni fa !”. Non disse altro ed io non le chiesi niente. Quel trauma, di cui non si può parlare, resterà sempre nella memoria dei Cinesi.
Torniamo a noi e al nostro discorso. Questa è la Cina. Forse per le sue masse sterminate, forse per la sua storia piena di episodi del genere al trapasso fra una dinastia e l’altra, ma il pericolo del collasso è sempre dietro l’angolo. Una decina di anni fa il capo di una grande società di stato mi disse “Tu non hai idea di quante volte mi viene detto dalle alte autorità che il primo obiettivo del mio lavoro deve essere il mantenimento della pace e dell’armonia sociale, specie in questo momento di cambiamenti così rapidi e profondi”.
Oggi Xi Jinping ha numerosi problemi di questo tipo : la forbice economica che si sta allargando sempre di più fra manager e semplici impiegati, fra dipendenti pubblici e imprenditori privati anche piccoli, fra le ricche province delle zone costiere e quelle molto più povere dell’interno e le zone rurali. I problemi del Tibet, di Jilin al confine con la Corea del Nord, e soprattutto dello Xinjiang dove la minoranza degli Uiguri (che però è il 45%) mussulmani non si integrano con gli Han (Cinesi) e sono sensibili alle sirene dell’indipendentismo, il “Turkestan Orientale”. Uno dei motivi, non il solo, del gigantesco programma della “Nuova via della seta” è proprio quello di innalzare il livello economico della provincia che si trova proprio al centro delle correnti di traffico, e di favorirne l’integrazione, o come minimo una convivenza pacifica.
Il mandato, e il ruolo principale di Xi Jinping è proprio questo: il mantenimento dell’unità della Cina sempre a rischio di disgregazione, e l’integrazione di quello che a ciò ancora manca. Mi riferisco a Hong Kong, Macao e soprattutto Taiwan, che idealmente dovrebbe seguire il modello di Hong Kong entro il 2049, centesimo anniversario della Repubblica Popolare Cinese. E’ per altro ovvio che la disgregazione, se non la dissoluzione della Cina come la conosciamo oggi, ne distruggerebbe l’ascesa che sembra inarrestabile.
A parte questo, sembra evidente che Xi Jinping non si aspettava, come penso tutto il resto del mondo, una reazione così decisa alla crescita cinese come quella del presidente Trump. La politica del “pivot to China “ di Obama (che probabilmente sarebbe continuata con l’elezione della Clinton) non prevedeva un confronto così aspro e minaccioso. Se si trattasse solo di aprire la Cina alle importazioni americane e diminuire lo sbilancio la situazione sarebbe già stata risolta. Ma qual è, si chiedono tutti in Cina, il vero obiettivo di Trump? Vuole ridurre Pechino al ruolo di una potenza regionale, e soprattutto vuole escluderla dal suo sviluppo tecnologico delineato nel programma “China 2025”? E se la Cina cedesse sulle richieste economiche, quale sarebbe il passo successivo di Trump? E’ abbastanza difficile prevederlo e questo rende molto cauto il governo cinese che sta cercando di non alzare i toni e di bloccare le grandi manifestazioni che ci sono state in un passato anche recente. Mi trovavo il mese scorso a pranzo con un gruppo di amici e si parlava proprio di Trump e della sua politica. Con me parlano abbastanza apertamente e spesso sono io a esortarli alla cautela. Una persona, un medico, disse “Ora che abbiamo fatto la pace con le Filippine Trump non potrà estrometterci dal Mar Cinese meridionale”; “e tu ti fidi di Duterte – risposi – oggi è amico vostro, come prima lo era degli americani, e magari lo sarà domani”. La discussione si animò, spesso in inglese, ma talvolta in Cinese
2.7 La strategia di Trump
E’ molto difficile interpretare Trump, ma per cercare di “divinare” il futuro si deve cercare di partire dai fatti, che derivano senz’altro dalle sue idee base filtrate però dalla struttura di poteri americana che è sempre forte per loro fortuna.
Nonostante le sensazioni contrarie di molti di noi, mi sto convincendo che la politica di Trump si basa, anche se in maniera assolutamente esasperata, su alcuni principi storici della politica estera americana.
Vi accenno schematicamente ad alcuni punti:
- Gli americani non hanno mai capito il mondo cinese, e la loro politica estera è costella di errori. Nel congresso di Versailles alla fine della prima guerra mondiale, i Cinesi in cerca di un nuovo indirizzo dopo la caduta dell’impero guardavano con simpatia a questo mondo carico di ideali di rinnovamento e speravano di ritornare in possesso dello Shandong ancora occupato dal Giappone. La “realpolitik” prevalse e i Cinesi lo vissero come un tradimento dei loro diritti. Nel 1949 Mao, in cerca anche lui di una linea, scoprì che gli Usa prescelsero Chiang Kai-shek e la repubblica di Cina (Taiwan); anche questo una grande mancanza di visione storica. Cambiarono idea successivamente ma era troppo tardi. Solo “Tricky Dick” Nixon, consigliato da Kissinger, non a caso europeo, si riavvicinò in maniera pragmatica alla Cina.
- Gli americani alla fine degli anni ’90 favorirono e aiutarono la crescita economica della Cina, ne supportarono l’ingresso nel WTO nel 2001, e accettarono la loro crescita economica. Pensavano, infatti, che, con il miglioramento delle condizioni economiche generali essi si sarebbero automaticamente convertiti a una democrazia capitalistica-liberale, unico sbocco secondo gli USA di una civiltà evoluta. Gli Americani non capiranno mai, come del resto quasi tutti in Occidente, che le radici più profonde della cultura cinese, il loro “in-printing” li porterà sempre in direzioni diverse, non come le attuali (sono infatti ancora in continua evoluzione) ma certamente non verso le nostre.
- La tragedia delle Torri gemelle distolse l’attenzione dell’America e del mondo dall’Estremo Oriente perché il punto cruciale era il Medio Oriente islamico. Ciò permise alla Cina di attuare in pieno la politica di Deng Xiaoping e crescere nell’ombra.
- La crisi economica del 2008 creò uno sconvolgimento epocale. Come bene ha detto Edward Luce (ve ne ho parlato) moltissimi Stati, che dopo la caduta del muro di Berlino avevano guardato con interesse alla liberal-democrazia occidentale (Washington consensus), si resero conto che essa non era poi così perfetta e cominciarono a guardare a Oriente. La Cina mostrava una strada diversa: uno stimolo gigantesco all’economia, una presenza importante delle società di Stato (noi cinquant’anni prima avevamo l’IRI, la Finmeccanica, la Finsider e perfino il “panettone di Stato) e soprattutto un governo forte, capace di dare un indirizzo generale (Beijing consensus). Ovviamente non erano tutte rose come ben sappiamo, ma così appariva!
- Hillary Clinton, al suo primo viaggio da Segretaria di Stato andò a Pechino ma non si capirono (e non avrebbero potuto), Obama se ne rese conto e iniziò la “politica di contenimento”. Trump l’ha portata alle (quasi) estreme conseguenze. Gli USA possono accettare la crescita economica Cinese, possono accettare anche il deficit di bilancio, ma non possono accettare il modello Cinese. Ciò è per loro filosoficamente e istintivamente inconcepibile. Essi non possono accettare che il virus del modello Cinese possa diffondersi nel mondo e diventare un’epidemia.
Questo è il fondamento della politica di Trump al di là delle sue intemperanze. Gli americani ( e tutta la cultura occidentale) sono fondamentalmente basati su una chiara definizione di campo: i miei valori di qua e i tuoi di là, i miei alleati di qua e i miei avversari di là, bianco o nero. Essi non potranno mai comprendere che il mondo cinese è fatto di grigi, che i valori cinesi non cercheranno mai di soppiantare quelli Occidentali ma altrettanto non accetteranno mai che i loro vengano cancellati. Se confrontiamo la storia Occidentale e quella Cinese ci rendiamo conto che noi abbiamo mandato “missionari” per convertire e civilizzare tutto il mondo, loro no. Che il colonialismo militare in Africa, in Asia e nella stessa Cina nell’Ottocento è opera e peccato storico dell’Occidente.
Quest’ottica può spiegare ed essere il principio unificante di tutte le azioni di Trump.
- La sua politica economia è volta a creare un fronte di alleati che, con il supporto americano, siano pronti a contrastare la crescita economica cinese. Il nuovo accordo con Messico e Canada e l’articolo 32,10 di cui vi ho parlato ne sono il primo esempio. “Se sei con me commerciamo liberamente, altrimenti la mia potenza economica cercherà di distruggerti”. Lo stesso sta facendo con l’Europa ed il Giappone.
- I problemi del Mar Cinese Meridionali nascono dalla decisione americana di rendere evidente la sua supremazia nel Pacifico. Senza di essa diverrebbe una potenza regionale e non più globale. In questo modo si spiega anche la dichiarazione “Un esercito europeo sarebbe un’offesa all’America”. La decrittazione di questo slogan tipico di Twitter è “ Abbiamo gli stessi valori, ma quello che li propaganda e li difende devo essere solo io”.
- Anche l’accordo di difesa con Taiwan si spiega in questo modo: “Guarda Cina, io posso sempre riconoscerla e se cercherai di inglobarla sarò in gradi di distruggerti in ogni momento”.
- Anche il problema della Corea del Nord va letto in questa chiave. La Cina non può accettare di avere gli USA alle sue frontiere e gli USA non accettano i cauti passi di avvicinamento fra le due Coree che finirebbero con allontanarli da uno scacchiere cruciale per “l’assedio alla Cina”.
3.0 Conclusioni
Gli alleati dell’America e gli altri Paesi del mondo sono obbligati a questa scelta di campo che è molto difficile e forse inevitabile. Gli scambi commerciali degli USA con EU, Giappone e Canada insieme sono doppi di quelli con la Cina. Se gli Europei un giorno dovessero fare una scelta sarebbe difficile sottrarsi all’abbraccio americano e questo spiega l’incertezza dell’Italia nell’adesione al BRI assolutamente invisa agli USA. Non è un problema strategico, infatti l’Italia ha accettato (ed io non sono assolutamente d’accordo) che la State Grid Corporation of China abbia il pacchetto di controllo, in società con Cassa Depositi e Prestiti, sia della TERNA (la rete elettrica italiana), sia della SNAM (la nostra rete di gasdotti), entrando in questo modo nel cuore dei nostri assets strategici.
Purtroppo la UE, che unita sarebbe l’unica entità in grado di porre un freno a questo strapotere ideologico economico e militare americano, è sempre più debole e in crisi e per questo l’interesse americano è chiaramente in favore di una distruzione invece di un potenziamento di essa. Noi non ce ne rendiamo conto in nome di un sovranismo ridicolo e anti storico.
Una UE forte potrebbe costituire il giusto bilanciamento, l’ago della bilancia fra i due giganti ed avrebbe tutte le caratteristiche per farlo: una popolazione numerosa, una struttura economica ed un PIL complessivo molto alto, una cultura soprattutto capace di mediare fra due mondi che non potranno mai capirsi. In questo modo il Mediterraneo potrebbe tornare ad essere ( e questa volta davvero) il Centro del Mondo.
I Cinesi lo hanno capito e per questo sono gli unici a supportare un’Europa forte.
Siamo quindi in una nuova Guerra Fredda ? Probabilmente ancora no ma ci siamo molto vicini.
Il mondo si sta dividendo sempre di più in due campi ed i Cinesi lo hanno capito. Per questo non possono accettare la resa alle richieste economiche senza adeguate garanzie sugli altri fronti che gli Americani non sono disposti a dare.
Un semplice incidente nel Mar Cinese Meridionale potrebbe innescare una battaglia navale.
La Cina dovrebbe rendersi conto che gli USA non accetteranno mai che alcun Paese importante nel Mondo possa proporre un modello alternativo al proprio e sarebbero disposti a una guerra per difendere questo principio. Lo hanno già fatto in Corea ed in Vietnam.
Dovrebbe quindi valutare con freddezza tutto il quadro e accettare le provocazioni americane nel Mar Cinese Meridionale. In pratica tornare pragmaticamente un po’ nell’ombra continuando a crescere e sviluppare la propria economia, lasciando agli americani l’esibizione dei muscoli.
Sarebbe sufficiente? Forse no, perché gli americani oggi sanno che possono bloccare la ZTE non fornendole alcuni elementi fondamentali che la Cina non è in gradi di produrre. Quando, con il piano China 2025, essa sarà in grado di essere autonoma cosa succederebbe? E i Cinesi non potranno mai rinunziare alla loro crescita economica.
Cosa succederà? Nessuno può saperlo. A mio avviso solo un mondo tripolare con un’Europa molto forte potrebbe garantire la pace e non precipitarci in una guerra catstrofica.
- Donald Trump in occasione della commemorazione a Parigi del centenario della Grande Guerra ha sferrato un attacco diretto al padrone di casa, Macron, per la sua pretesa di voler creare un esercito comune dell’Unione Europea. Trump ha definito tale idea “un insulto per l’America” ed ha invitato di nuovo la Francia e gli altri membri dell’Unione ad aumentare piuttosto il loro supporto economico alla NATO che per ora grava prevalentemente sulle finanze americane.
- Inoltre, poco tempo prima, aveva dichiarato una “fake news” la notizia che gli USA consideravano l’Unione Europea come un reale nemico “foe” dell’America a differenza di Russia e Cina che erano semplici rivali e, specialmente la Cina, tutelavano i loro interessi. Ovviamente sia l’affermazione che la smentita nascevano da due Twitter del Presidente Americano.
- “Cosa c’entra ciò con l’argomento di cui stiamo discutendo?” è la domanda ovvia di chi mi legge. E invece è proprio un punto importante perché rende comprensibile, al di fuori di ogni contesa commerciale, l’idea che Trump (e buona parte degli americani) ha del ruolo dell’America nel mondo.Come ho detto più volte essi ritengono l’America, il portatore e il garante del bene e del giusto nel mondo. Il Presidente Wilson diceva nel 1914 “ Fu come se nella Provvidenza di Dio un continente fosse lasciato intonso e in attesa di un popolo pacifico che amasse la libertà e i diritti degli uomini più di qualsiasi altra cosa, perché venisse ad affermare una comunità non egoista”
- Il governo degli Stati Uniti capì per primo, già nel diciannovesimo secolo l’importanza della marina militare come base di una supremazia mondiale. Questa capacità permise loro di superare la crisi di Pearl Harbour e di sconfiggere il Giappone. Fu la battaglia di Midway che diede una svolta alla guerra e le due bombe atomiche accorciarono semplicemente la durata di un conflitto che era ormai vinto. La potenza della marina permette oggi agli USA di essere presenti contemporaneamente in tutti i teatri del mondo, dal Mar Cinese meridionale, al nord atlantico, al Medio Oriente. Questa capacità di offesa da loro la possibilità di attacco sempre e comunque (e lo sarà anche nel futuro prevedibile).
Se quindi adottiamo questa chiave di lettura possiamo capire un po’ di più la strategia del Presidente Trump. Oggi parleremo della guerra dei dazi, che è solo la parte più appariscente di una contesa molto più ampia. Nella prossima e ultima nota completeremo il discorso.
2 La guerra dei dazi
Questo argomento ha fatto il giro del mondo, tutti i giornali ne hanno parlato e non entrerò in dettagli specifici. Preferisco infatti guardare il quadro generale.
Poco dopo i grandi sorrisi mostrati nella sua visita a Pechino, Trump cominciò a minacciare la Cina di grandi ritorsioni se non avesse accettato di modificare la sua politica commerciale, essenzialmente su quattro fronti:
- Ridurre lo sbilancio fra import ed export,
- Smettere di supportare l’industria con aiuti di stato che turbano il libero mercato,
- Rinunziare all’obbligo di condivisione del know how da parte delle aziende straniere che investono in Cina.
- Accettare una partecipazione maggioritaria, o anche totale, degli investitori esteri in Cina.
A prima vista sono richieste abbastanza legittime, ma, come succede sempre, ogni Parte racconta la sua porzione di verità e quasi tutta la stampa si limita a ripetere ciò che più supporta le proprie convinzioni ideologiche. Ho fatto lunghe ricerche e cercherò di raccontarvi i risultati senza avere la pretesa di aver trovato “la VERITA’ “ con tutte le lettere maiuscole. Vi prego comunque di credere al mio tentativo di imparzialità.
Sbilancio fra import ed export.
Nessuno contesta i dati forniti dall’amministrazione americana e quindi li considero veritieri. Vengono sollevate però svariate obiezioni.
- E’ naturale che una potenza egemone da un punto di vista tecnologico e militare importi molto più di quanto esporti da un punto di vista “materiale”; esso è un fatto assodato della storia a partire dall’impero romano. Non sarebbe però una giustificazione sufficiente se non si considerasse un altro dato e cioè il bilancio dell’import-export di servizi, viaggi, tecnologie, studi etc. che è fortemente sbilanciato a favore degli USA e quindi compensa in parte il primo. Anche in questo caso non ho visto contestazione dei dati. Ma c’è di più! L’autorevolissimo “Bloomberg News” scrive il 12/6/2018 “ Gli U.S.A hanno un surplus di 1400 miliardi con il resto del mondo. Ovviamente ciò non è la bilancia commerciale convenzionale che registra un deficit di più di 330 miliardi nei confronti della Cina e 550 miliardi nei confronti del resto del mondo (dati del 2017), ma un “aggregate sales surplus” che considera sia i dati del commercio diretto, sia il trading “immateriale”, sia i risultati delle vendite delle multinazionali americane; e fa riferimento a uno studio della Deutsche Bank AG. In sostanza “ U.S. Companies have sold more to the rest of the world than other countries have sold to the U.S. in the past ten years”. Gli USA hanno un simile surplus anche nei confronti di Messico, Canada etc., e sono invece in deficit solo nei confronti di Giappone e Germania. L’andamento del surplus verso la Cina à indicato in fig. 1 . Anche questi dati però non danno un quadro completo e dimostrano che gli interessi delle società americane non corrispondono direttamente a quelli dei lavoratori americani; le multinazionali, infatti, generano profitti anche da beni prodotti al di fuori del territorio americano (nella stessa Cina spesso). C’è però da dire che il risultato economico di queste società, anche se non contribuiscono direttamente al lavoro in America, da comunque un grande contributo all’economia americana e spiega in parte il bassissimo livello di disoccupazione negli Stati Uniti proprio quando il loro import è in aumento (fig. 2).
Ho letto anche il rapporto ponderoso della Deutsche Bank ma ve lo risparmio. Mi limito a dire che la sorgente prima delle informazioni è il “U.S. Bureau of economic analysis” per tutti i dati fino al 2015 e lo “Standard and Poor’s 500 index” per i dati successivi. Come si vede quindi è difficile stabilire chi vince e chi perde.
Supporto alle esportazioni
- Nel settembre 2018 il governo cinese ha pubblicato un libro bianco “The Facts and China’s position on China USA Trade friction”. Come anche il titolo evidenzia, questo documento è chiaramente di parte e sarebbe utilissimo metterlo a confronto con un analogo documento dell’amministrazione americana che però, a quanto mi risulta, non esiste. Lo studio è molto dettagliato e mi limito a indicarvi alcuni punti. L’export degli USA verso la Cina cresce di più che quello degli USA verso il resto del mondo; nel 2004 l’Unione Europea aprì un contenzioso con l’America per gli aiuti dati alla Boeing (fig.3); nel 2012 il WTO diede ragione alla UE e gli USA promisero di adeguarsi, ma ancora nel 2017 tali aiuti continuavano con grave danno per il consorzio Airbus. Il 19 maggio 2018 USA e Cina raggiunsero un accordo per risolvere tutti i punti del loro contenzioso , ma, solo 10 giorni dopo, il governo americano sancì l’imposizione di nuovi dazi, iniziando di fatto la guerra commerciale (fig. 6, 7). Inoltre contro le nuove imposizioni parecchi Paesi si sono appellati al WTO (fig. 4) e gli USA hanno comunicato di accettare discussioni, fatto salva la loro opinione che questi dazi possano riguardare prodotti attinenti alla sicurezza nazionale e quindi escluse dalla giurisdizione del WTO (fig. 5) .Ciò potrebbe essere anche vero nel caso specifico, ma certamente non in tutti i casi successivi in cui gli USA hanno imposto dazi “per necessità di sicurezza nazionale”. Per ultimo si cita il caso dell’industria automobilistica anch’essa abbondantemente supportata con fondi pubblici (fig.8). Come dirò dopo, le regole del WTO consentono, e questo è un problema, aiuti di Stato ai Paesi in via di sviluppo. In sostanza, si possono dedurre alcuni concetti, ripeto di parte. Gli USA hanno un vantaggio dal loro commercio con la Cina, la Cina ammette di fornire aiuti di Stato che però sta gradualmente riducendo in linea con le regole del WTO, e comunque anche gli USA danno aiuti di Stato.
Rinunziare all’obbligo di condivisione del know how ; Accettare una partecipazione maggioritaria, o anche totale
- Per quanto riguarda questi ultimi due punti, ciò era sicuramente vero fino a qualche tempo fa. La Cina dichiara che sta gradualmente liberalizzando gli investimenti esteri sotto entrambi i punti di vista. Posso citarvi un esempio recente che contraddice entrambi gli aspetti e mi consta personalmente perché me ne sto occupando. Non posso darvi dettagli per questioni di confidenzialità ma una delle più grandi multinazionali industriali sta discutendo un investimento in Cina di svariati miliardi di Euro. Saranno azionisti al 100% e agiranno con l’usuale vincolo internazionale di protezione dei brevetti e del know how tecnologico;
- Altro argomento importante a questo proposito, di cui si parla pochissimo e si è verificato varie volte anche in Italia è il seguente: un’azienda straniera ne compra una italiana con i relativi stabilimenti, brevetti, know how tecnologici ed operativi etc. Per qualche anno va tutto bene, poi cominciano le ristrutturazioni, la cassa integrazione e le altre manovre che ben conosciamo e che finiscono invariabilmente con la minaccia di chiusura o talvolta la chiusura di qualche stabilimento. A questo punto a chi rimane il know how, i brevetti etc.? Al legittimo proprietario che comprando una società industriale ha comprato tutto. Esistono quindi vari mezzi per appropriarsi dei brevetti.
Conclusioni
Chiudo questo capitolo con qualche annotazione finale.
- Sulla guerra dei dazi che si va sempre più inasprendo esistono centinaia di articoli di tutta la stampa internazionale. Se qualcuno fosse interessato, posso dare i riferimenti. Alcuni sono sfacciatamente di parte, altri più imparziali ma, come ho detto, non mi voglio dilungare perché credo che tutti voi abbiate letto qualcosa. Sono andato invece a guardare il sito del WTO che dovrebbe essere l’arbitro, probabilmente imparziale, di questa vicenda. Ho trovato due report, uno sugli Stati Uniti del 2016 e quindi troppo vecchio per i nostri scopi, e un altro sulla Cina emesso pochi mesi fa. E’ molto dettagliato e da esso non è possibile farsi un’idea della situazione complessiva. Solo il discorso conclusivo del chairman permette di farsi qualche idea. Nel suo discorso c’è apprezzamento per il ruolo molto attivo della Cina all’interno del WTO e si dice che nel corso del dibattito molti Paesi hanno apprezzato lo sforzo cinese verso un allargamento del mercato globale, mentre molti altri chiedono uno sforzo ulteriore per la liberalizzazione del mercato interno. In sostanza un discorso molto “prudente” e niente di più.
- Più interessanti sono invece le dichiarazioni fatte dal capo del dipartimento Asia-Pacific del Fondo Monetario Internazionale a margine del meeting di Bali. “Don’t break it, fix it” dice a proposito delle regole del WTO. Egli riconosce (come vi ho anticipato prima) che queste oggi non sono adatte ad analizzare in maniera corretta il modello cinese. Ciò è dovuto al fatto che il WTO, creato quando la Cina era mille miglia lontana da un’ammissione ad esso, ha delle clausole particolari indirizzate ai Paesi in via di sviluppo. L’economia cinese è troppo complicata per essere incasellata in questo schema semplicistico. Infatti, considerata globalmente, deve forse essere classificata come tale per il reddito pro-capite ancora basso, ma è anche vero che le cinque provincie costiere hanno un’economia maggiore della Gran Bretagna che è la quarta potenza economica globale. Altre però sono nettamente ancora poco sviluppate. L’unica soluzione è di “fare una manutenzione” e adattare le regole del WTO alla nuova situazione internazionale con una discussione aperta fra tutti i membri. Un’altra parte di queste dichiarazioni fa riferimento al quadro molto più ampio delle relazioni commerciali fra USA e tutte le altre economie principali, ma ne parleremo in seguito.
- Un'altra notazione importante nasce da due notizie dell’Agenzia Reuters, rilanciate anche da altri, la prima delle quali si riferisce all’intenzione di Trump di uscire dal WTO e un’altra relativa al fatto che gli USA stanno bloccando il funzionamento del suo dipartimento più importante, una sorte di Corte Suprema che emette il giudizio finale inappellabile sulle varie dispute (fig.9). I suoi sette membri sono oggi ridotti a tre per l’opposizione degli USA alle nuove nomine nonostante un appello di 66 Paesi a sbloccarle per evitare un rischio di paralisi dell’organizzazione. Fra i firmatari è presente, per la prima volta, anche il Giappone. Il WTO nella sua storia si è occupato di più di 500 dispute, una grande maggioranza delle quali è arrivata sul tavolo dei sette membri dell’ “Appellate Body”. Questo ha emesso una sentenza accettata dalle Parti in più del 90% dei casi determinando, come dice il Direttore Generale del WTO “ una grande autorevolezza da parte dei Paesi Membri che lo considerano un organismo corretto ed efficiente per la risoluzione dei problemi commerciali internazionali”. Gli USA invece si lamentano di essere stati penalizzati per più di dieci anni da questo organismo, nonostante ne siano i maggiori utenti avendo portato alla Corte più casi di quanto ne abbiano portato complessivamente UE e Cina. Alla base di tutto esiste la riluttanza da parte degli USA di accettare regole che non siano basate sul loro sistema giuridico interno. Chiunque di noi si sia occupato di grandi contratti internazionali sa bene quanto ciò sia vero anche in situazioni in cui il contratto non abbia intrinsecamente ragione di riferirsi alle leggi e ai tribunali americani. Trump ha dichiarato “ il WTO è stato creato a beneficio di chiunque eccetto noi” Non solo la Cina quindi, ma anche il WTO, l’organizzazione proposta a regolamentare il commercio mondiale è contro gli USA
- Da quando l’amministrazione Trump è andata al potere gli Stati Uniti si sono ritirati o hanno denunziato un notevole numero di accordi internazionali fra cui, cito a memoria, l’accordo di Parigi sul clima, la Trans Pacific Partnership (CTPP) cioè l’accordo commerciale fra i 12 Paesi del Pacifico da essi promosso, il Trattato NAFTA di accordo commerciale con Messico e Canada, gli accordi commerciali con la UE (TTIP), l’accordo sulla non proliferazione nucleare con l’Iran (cercando di obbligare i Paesi Europei a fare lo stesso), parecchi organismi delle Nazioni Unite, etc. Cosa ne sarà del WTO è ancora da vedere.
La “Trade War” con la Cina non è quindi un fatto isolato ma deve essere collegato a un discorso molto più generale che deriva da “America first”, la bandiera della strategia politica di Donald Trump. Ma di questo e degli aspetti militari parleremo nella prossima ed ultima nota su questo argomento.
Una nuova guerra fredda?
Il 10 ottobre scorso due avvenimenti ai lati opposti del mondo hanno attratto l’attenzione di tutti. Negli Stati Uniti Il Dow Jones è crollato drammaticamente e la borsa di Shanghai ha chiuso con un ribasso del 5%. Una quantità di ragioni possono spiegare entrambi gli eventi: negli Stati Uniti un aumento del tasso di riferimento che ha creato una violenta reazione da parte del presidente Trump contro il presidente della Federal Reserve da lui nominato; in Cina semplicemente un picco nel calo della borsa che ad oggi (30 ottobre) ha perso il 22% dall’inizio dell’anno.
Tutto spiegabile quindi, ma la coincidenza proprio nel pieno della battaglia sui dazi, mi ha spinto a un’analisi approfondita di tutti gli aspetti delle relazioni Cino-Americane che in realtà pensavo di fare alla fine dell’anno. Vi sottopongo le mie conclusioni che, comunque la pensiate, credo che siano interessanti e preoccupanti.
Credo che a questo punto sia necessario un brevissimo riepilogo delle relazioni Cino-Americane nella storia perché esse possono spiegare in parte i reciproci stati d’animo. I primi contatti, strano ma vero, risalgono al 1784 quando la nave mercantile Empress of China approdò a Canton. Questi primi contatti erano dovuti al desiderio di acquistare merci e affrancarsi in parte dal commercio con l’Inghilterra. Nel diciannovesimo secolo comparvero le prime missioni cristiane americane in Cina e le prime immigrazioni di mano d’opera cinese negli USA. Lo stesso Sun YatSen, il padre della Cina moderna, si ispirò in gioventù ai principi di Lincoln “of the people, by the people, for the people” che, alla caduta dell’impero, entrarono nella prima costituzione della repubblica cinese. Le cose però furono destinate a cambiare durante il “Secolo delle umiliazioni” come i Cinesi chiamano tuttora il periodo dal 1839 al 1949 in cui la Cina dovette rinunziare a gran parte della sovranità e del suo stesso territorio a favore del colonialismo delle grandi potenze. Tutto cominciò con l’inizio della guerra dell’oppio nel 1839. Gli inglesi in quel periodo cercavano di allargare sempre di più le relazioni commerciali con la Cina e, di fronte alla resistenza del governo, adoperarono la loro “arma segreta”, l’esportazione dell’oppio a cui i Cinesi non sapevano resistere, creando una vera dipendenza. Le trattative non ebbero esito positivo e cominciò una guerra fra Gran Bretagna e Cina che si concluse con la vittoria inglese nel 1842. Il trattato di pace favorì enormemente la presenza commerciale inglese in Cina e costituì il modello per i successivi trattati con le potenze straniere inclusi gli USA. Con i trattati di Tianjin la Cina perse gradualmente il controllo dei porti e delle dogane. Secondo Alison Kaufman questi trattati comportarono “una perdita di territorio, di controllo sulle relazioni internazionali e di dignità”. Ancora oggi tutti i Cinesi soffrono questa umiliazione di cui ritengono principalmente responsabili gli USA anche se le maggiori responsabilità dovrebbero essere attribuite alle potenze europee e giapponesi. In parallelo l’emigrazione cinese in USA, sempre maggiore, creò l’opposizione della popolazione americana che li considerava una razza inferiore e incivile. Ciò condusse a un blocco di ingressi successivi, all’ isolamento dei Cinesi in aree isolate che divennero le “China Towns” e ad un successivo tentativo di rimpatrio anche dei cinesi di seconda generazione. Nel 1894 cominciò la prima guerra Cino-Giapponese per il controllo della Corea che termino con la vittoria di questi ultimi che acquisirono nuovi privilegi, subito seguiti dagli Americani che pretesero l’adeguamento del loro accordo. Anche Taiwan fu in quel periodo occupata dall’esercito giapponese. Un accordo USA, UK, Germania, Russia, Giappone stabilì una non competizione e un’uguale ripartizione dei diritti in Cina fra le grandi potenze, a cui in qualche modo si associò anche l’Italia. Tutto ciò ovviamente portò ad una crescita del risentimento cinese ed alla “Rivolta dei Boxer” che attaccarono tutte le legazioni straniere ed anche le missioni religiose considerate come un’arma del colonialismo. Nel 1901 le forze straniere alleate, di cui larga parte furono i Marines americani, liberarono le legazioni assediate, posero fine alla rivolta ed imposero importanti danni di guerra alla dinastia imperiale ormai al collasso. Nel 1911 crollò l’ “Impero di Centro” che ancora oggi è il nome ufficiale della Cina. Iniziò un periodo drammatico: una nuova guerra con il Giappone si concluse con la perdita di ulteriori territori sancita dal trattato di Versailles (che pose fine alla Prima Guerra mondiale) e determinò l’inizio della guerra civile. Da essa emersero due forze, il KMT di Chiang Kai-shek e il PCC di Mao Tse Dong, in lotta fra loro. Gli USA riconobbero, prima nazione al mondo, il KMT come legittimo governo cinese.
Nel 1937 un’altra guerra Cino-Giapponese costituì il prodromo della seconda guerra mondiale. L’armata giapponese occupò Pechino, Tianjin e Nanchino dover si abbandonò ad una strage crudele e premeditata della popolazione civile “per spezzare lo spirito di resistenza cinese”. Le nazioni occidentali a questo punto fornirono un appoggio economico e militare ai Cinesi che momentaneamente sospesero le ostilità interne e fecero fronte comune contro il nemico. Il 7 dicembre 1941 con l’attacco a Pearl Harbour l’America aprì le ostilità dirette contro il Giappone. Nel 1944, gli americani inviarono in Cina un gruppo di osservatori per studiare direttamente il Partito Comunista e ne furono ben impressionati cercando di restare neutrali nella contesa interna che riprese nel 1946 dopo la sconfitta definitiva del Giappone e la restituzione di Taiwan e delle altre aree occupate. Nel 1949 le armate di Mao vinsero e proclamarono la Repubblica popolare. Chiang kai-Shek con le sue armate si rifugiò a Taiwan e fu riconosciuto dagli USA come legittimo governo cinese.
All’inizio della “guerra fredda”, con l’isteria anti-comunista, Il “Maccartismo”, che si diffuse negli Stati Uniti, e con l’inizio della guerra di Corea i rapporti con la Cina di Mao precipitarono. I Cinesi vedendo le armate americane ai loro confini cominciarono a fornire aiuti alla Corea del Nord (assieme ai Sovietici) fino all’armistizio del 1953 che dura tuttora. Gli USA reagirono fornendo aiuto e protezione a Taiwan e cominciò la guerra fra le due Cine con violentissimi bombardamenti di due isolette ( Quemoy e Mazu) fino a che la minaccia nucleare da parte degli USA nel 1958 non impose una tregua. Nel 1984 la Cina ebbe la sua arma atomica.
Nel frattempo le relazioni fra Russia e Cina si erano fortemente deteriorate: Kruscev chiese, e non ottenne, di installare una base navale in Cina e di prendere il controllo della flotta cinese. Anche da un punto di vista ideologico le due nazioni erano totalmente differenti: i Cinesi erano assolutamente contrari all’internazionalismo sovietico, privilegiavano lo sviluppo dell’agricoltura invece che dell’industria pesante e ponevano l’accento sulle caratteristiche autoctone del loro socialismo. La strategia di Kissinger portò al riavvicinamento Cino-Americano che iniziò nel 1971 con la “politica del Ping Pong” che forse ricorderete e culminò nel 1972 con il viaggio in Cina del Presidente Nixon, in cui si decise di procedere a una normalizzazione delle relazioni fra i due Paesi. Nel 1975 morì Zhou Enlai, il vero artefice, assieme a Kissinger, del riavvicinamento e pochi mesi dopo anche Mao. Un’epoca era finita e dopo il dramma della “rivoluzione culturale” cominciò la nuova era di Deng Xiaoping. Il mondo era cambiato, gli Americani (presidente Carter) accettarono la politica di “una sola Cina”, stabilirono relazioni diplomatiche con Pechino, senza però abbandonare la protezione di Taiwan con una delle tipiche “acrobazie diplomatiche”. Nel 1980 Deng aprì timidamente la Cina a investimenti esteri, cominciò a permettere l’iniziativa privata e la decollettivizzazione dell’agricoltura. La Cina aderì alle principali organizzazioni internazionali. Le relazioni fra i due Paesi migliorarono fra continui alti e bassi (Tienanmen, il bombardamento dell’ambasciata cinese a Belgrado etc.) fino all’ingresso della Cina nel WTO nel 2001.
Il resto è storia di oggi e ve ne ho parlato più volte. In questa nota ho ritento invece necessario tornare alla storia delle relazioni fra i due Paesi perché credo che solo in questo modo si possa tentare di capire l’origine di molte diffidenze e contrapposizioni che hanno una loro ragione storica e culturale. In questa brevissima introduzione, necessariamente lacunosa, mi sono rifatto per lo più a documenti dell’archivio storico americano.
Il 7 luglio 2015 la Cina lancia ufficialmente un piano di investimenti immensi che dovrebbe portare la sua capacità tecnologica ed industriale almeno al livello degli USA e comunque a primeggiare e rendersi totalmente autonoma e indipendente dalle innovazioni dell’Occidente entro il 2049, centenario della fondazione della repubblica popolare. La prima fase è appunto quella che va fino al 2025.
Il nuovo piano passa nel silenzio pressoché generale dei media occidentali (come succede di frequente con la Cina) ma viene notato e studiato a fondo dai principali “Think Tanks” americani che danno l’allarme alla presidenza Obama ormai agli sgoccioli.
Ho letto quel piano, di cui vi do una rapidissima sintesi ma vi assicuro che è impressionante. Esso comincia con una dichiarazione di intenti:
- La produzione industriale è il pilastro principale dell’economia nazionale, il mezzo per la trasformazione e la base della prosperità,
- <nonostante i progressi fatti> il settore manifatturiero cinese, paragonato alle economie avanzate, è grande ma non forte, con evidenti differenze nella capacità di innovazione, nell’efficienza dell’utilizzazione delle risorse, la qualità delle infrastrutture industriali e il livello di digitalizzazione.
- Bisogna fare uno sforzo per trasformare la Cina in un leader globale nella produzione industriale entro il centenario della fondazione della nuova Cina <2049> per la realizzazione del sogno di una nuova giovinezza della nazione cinese. MADE IN CHINA 2025 è la guida per la strategia produttiva cinese nel decennio a venire.
- Dopo la crisi finanziaria mondiale, i Paesi avanzati hanno messo in piedi il “Rinascimento industriale” allo scopo di riguadagnare il vantaggio precedente nella produzione industriale, e di promuovere nuove vie di commerci ed investimenti globali. Contemporaneamente i Paesi in via di sviluppo stanno cercando di espandere la loro partecipazione al mercato globale e stanno investendo capitali ingenti per sviluppare le loro esportazioni. La Cina rischia di essere stretta nella morsa di questi due mondi.
- Noi abbiamo realizzato una svolta con il lancio di equipaggi nello spazio, la realizzazione di sommergibili di alta profondità, la produzione di aeroplani, il lancio del sistema di navigazione satellitare Beidou, lo sviluppo di supercomputers, la realizzazione di una rete ferroviaria ad alta velocità e di piattaforme petrolifere capaci di estrarre olio ad una profondità di 10000 metri.. Ciononostante rimane un grande divario rispetto alle economie avanzate. La nostra efficienza energetica rimane bassa e il nostro inquinamento alto.
- Solo con la trasformazione da “made in China a created in China”, da velocità di realizzazione cinese a qualità cinese, da prodotti cinesi a marchi internazionali cinesi possiamo realizzare l’obbiettivo di trasformare la produzione “from large to strong”.
Dopo questa premessa si può leggere una dettagliatissima analisi di quello che sarà il mondo nella prossima generazione, delle nuove tecnologie del tutto innovative e della ricaduta che esse avranno sulla popolazione. Si fa quindi un piano dettagliato di come affrontare questa nuova sfida, indicando I luoghi, i tempi, i modi, i costi ed il supporto politico. La Cina di oggi non è quella di Mao del “Grande balzo in Avanti” che si concluse con una gigantesca carestia e qualche decina di milioni di morti. Oggi la Cina, proprio per il sistema dirigista con cui è governata, è in grado di realizzare qualunque piano in tempi per noi inconcepibili e ne è prova il gigantesco sviluppo della rete di trasporti ferroviari ad alta velocità che ne ha fatto il Paese leader in questo settore.
Secondo il sistema cinese in cui la simmetria e l’eleganza formale sono alla base di ogni documento, vengono evidenziati cinque principi, cinque compiti principali e dieci settori di miglioramento. I cinque principi sono l’innovazione, la qualità, la protezione dell’ambiente, l’ottimizzazione delle strutture, e lo sviluppo dei talenti individuali. I cinque compiti sono la realizzazione di parchi nazionali dell’innovazione, il rafforzamento della base industriale, lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, la produzione “green”, lo spostamento sulla fascia alta della produzione. Si va poi al lungo capitolo dei settori prioritari per i quali si indicano principi, dettagli e maniera di misurarne i risultati. Essi sono: la robotica con la quale si dovrà coprire il 70% del mercato nazionale principalmente attraverso la creazione di una o due società fra le prime cinque del mondo. In particolare la Cina si dovrà porre fra le dieci nazioni più automatizzate del mondo in termini di “densità di robotica per 10000 abitanti” il che vuol dire di gran lunga la maggiore in termini assoluti ; la “information technology” che dovrà coprire 80% del mercato nazionale e 40% di quello mondiale, con particolare attenzione al “5G” che dovrà raggiungere l’82% delle abitazioni; il trasporto aereo con la produzione in grande scala di aeromobili a medio raggio e lo sviluppo di un prototipo a lungo raggio: la progettazione e la cantieristica navale, settore nel quale diventare leader mondiali; lo sviluppo a livello mondiale del trasporto ferroviario ad alta velocità, settore nel quale consolidare il ruolo di leader tecnologico, il trasporto automobilistico sulla base di nuove tecnologie “verdi” con la capacità di esportare il 20% della produzione attraverso tre fra le prime cinque maggiori società del mondo; la produzione e la distribuzione di energia elettrica; la produzione di energia con tecnologie nuove e rinnovabili sulla base di brevetti nazionali dovrà essere massimizzata; la produzione di macchinari hi-tech per l’agricoltura dovrà coprire almenno il 95% del fabbisogno nazionale; la realizzazione di nuovi materiali (un enfasi particolare a quelli basati sulle terre rare) dovrà coprire il 90% del fabbisogno nazionale; lo sviluppo delle biotecnologie, della biofarmaceutica e di tutte le attrezzature e i prodotti per la salute dovrà raggiungere i più alti standard internazionali e coprire l’85% del fabbisogno nazionale.
L’intelligenza artificiale dovrà essere alla base di tutto lo sviluppo e le emissioni di CO2 dovranno essere ridotte del 40% rispetto ai livelli del 2015.
Ho un ricordo personale su quest’ argomento. Alcuni mesi prima che il piano fosse lanciato, e non ne conoscevo l’esistenza, un mio amico da lunga data, membro del board di CNPC, la più grande società petrolifera cinese, mi comunicò che il Presidente mi aveva invitato ad una tavola rotonda molto ristretta, nell’ambito di un convegno internazionale a cui partecipavo in rappresentanza della mia società. Chiesi qualche informazione più dettagliata sull’argomento di cui parlare, e la risposta fu “Non lo sa nessuno, del resto quello che dovrai dire lo hai certamente nella tua testa”. In Cina non c’è mai da stupirsi di nulla e accettai. Nel primo giorno della conferenza, durante il primo coffee break, una hostess si avvicinò con discrezione e mi informò che il Presidente mi invitava ad accomodarmi in un’altra sala. All’ingresso una giovane donna che parlava un ottimo inglese mi disse che sarebbe stata la mia interprete. e questo mi rincuorò molto perché’ avevo necessità assoluta di capire tutto ciò che sarebbe stato detto e non semplicemente qualche concetto generale. C’erano una decina di persone, tutte cinesi, oltre a me. Finalmente il Presidente entrò, si sedette con il mio amico alla sua destra, e ciascuno si presentò brevemente secondo il rito, anche se presumo che tutti si conoscessero già perfettamente. Partecipavano alla tavola rotonda il vice Presidente dell’Accademia delle Scienze, i rettori delle principali università cinesi, i presidenti delle maggiori fabbriche di apparecchiature hi-tech ed io. Il presidente di CNPC ringraziò tutti e disse “ Oggi io sono venuto per apprendere, e pongo a tutti voi una domanda: nel mio gruppo ogni anno sono depositati un gran numero di brevetti, ma per lo più essi sono sostanzialmente inutili. Io voglio che voi mi indichiate in che maniera io possa indirizzare CNPC verso un vero sviluppo che ciporti ad acquisire nuove conoscenze reali, utili a portarci al livello delle grandi multinazionali del petrolio.” Più o meno tutti I partecipanti colsero la palla al balzo per chiedere finanziamenti (tutto il mondo è paese). Io, invitato a parlare per ultimo, feci un discorso molto articolato e centrato sul tema piuttosto che su interessi di bottega. Evidentemente ebbi successo perché’, finite la riunione, un capannello di persone si riunì intorno a me per avere chiarimenti e qualche giorno dopo fui invitato a dettagliare I miei suggerimenti. Vi racconto questo perché’ probabilmente negli stessi giorni la stessa cosa accadde in tutti gli altri grandi gruppi, specialmente quelli coinvolti nei settori più avanzati. L’ordine era stato dato e c’era stata una gigantesca mobilitazione immediata!
Il piano di cui vi ho parlato fu esaminato dall’amministrazione Obama e destò notevoli preoccupazioni. Questo piano aveva un solo significato: la Cina usciva dall’ombra in cui aveva vissuto fino ad allora secondo I dettami di Deng Xiaoping e si preparava ad una competizione a tutto campo con il resto del mondo. Molto probabilmente questo dossier fece parte del passaggio di consegne fra le due amministrazioni e su di esso Trump stesso puntò gli occhi perché’ era anche funzionale alla sua politica, come avemmo modo di apprendere in seguito. Un esempio di ciò è dato dai colloqui telefonici che ebbe immediatamente con la Presidente di Taiwan che crearono una reazione immediata e feroce da parte cinese. Per la prima volta veniva infatti messo in dubbio il principio di “una sola Cina” e di questa storia vi ho parlato diffusamente in passato. L’evento fu così grave da obbligare Obama ad una dichiarazione molto irrituale in cui invitava Trump a non fare alcuna azione politica fino all’inaugurazione ufficiale del suo mandato, il 20 gennaio successivo, perché’ “in America si comanda uno per volta”. Era il primo scontro America-Cina, e da allora fu un susseguirsi ad elastico di sorrisi e minacce, o vere e proprie legnate che non possono più essere analizzate separatamente l’una dall’altra ma come parti di una stessa strategia in linea con la politica di “America first”.
Di essa fanno parte: il problema del mar cinese meridionale, l’uscita dal TPPE non ancora firmato, la politica dei dazi alle importazioni come arma politica più che commerciale verso tutti I Paesi, alleati ( come l’Europa, dichiarata il vero nemico “foe” ) e avversari, il problema della Corea del Nord, la denunzia del trattato commerciale con Canada e Messico (NAFTA) in vigore da molti anni e la rinegoziazione di un nuovo trattato che prevede il divieto ai tre Paesi di stipulare accordi commerciali favorevoli con la Cina, pena la decadenza, la creazione di una sesta organizzazione militare, l’armata dello spazio, e via di seguito fino al quasi scontro fra una nave militare Americana ed una Cinese (sono arrivate a 40 metri di distanza una dall’altra) ed alle dimostrazioni di forza di una parte e dell’altra fino all’ipotizzata esercitazione Americana in grande stile proprio nel mar cinese meridionale che dovrebbe svolgersi nel mese di novembre. Di tutti questi argomenti di cui vi ho parlato separatamente in passato, mi propongo di parlarvi in maniera unitaria nella prossima nota. Essi infatti non sono più da considerare, a mio avviso, come le oscillazioni di una persona arrivata al potere in maniera inaspettata e senza alcuna preparazione, ma piuttosto come parti di un’unica strategia volta a ristabilire la supremazia Americana come unico leader mondiale in maniera unipolare e sotto il cui ombrello supremo possano svilupparsi tutti gli altri Paesi, alleati ed avversari senza alcuna differenza. Prima però vi parlerò della “trappola di Tucidide” di cui si è parlato molto in questo periodo sulla stampa di tutto il mondo.
Tucidide ( come tutti voi sapete) fu uno storico ateniese del quinto secolo a.c. che racconto in termini “moderni” la guerra del Peloponneso fra Atene e Sparta. Egli sostenne che quando una potenza dominante (Sparta) si trova di fronte ad un’altra in crescita (Atene) è pressoché fatale che prima o poi ci sia una guerra fra le due. 2500 anni dopo il professor Allison del Kennedy Institute ad Harvard ha studiato casi simili nell’ambito della storia moderna (dalla scoperta dell’America in poi) scoprendo che in 12 casi su 16 il confronto è sfociato in una guerra. E’ questa la “trappola di Tucidide” e viene applicata ai rapporti USA-Cina, dove i primi sono stati e sono tuttora la potenza dominante sia da un punto di vista economico che militare, mentre la Cina, inesistente fino agli anni ’80 è ora diventata la seconda potenza economica e si appresta a superare anche gli Stati Uniti. La letteratura su questo argomento è notevole ma voglio accennarvi solo a un articolo del 6 aprile 2016 che riporta un dialogo fra Henry Kissinger (che voi tutti conoscete) e Dai Bingguo (ex membro dello State Council cinese) in occasione del China Development Forum del 2016 in cui i due parlano di come evitare la “trappola di Tucidide”. Ricordo ancora che Kissinger fu lo stratega del riavvicinamento fra USA e Cina quindi è una persona molto qualificata, molto stimata e spesso chiamato dai cinesi a “tradurre” e interpretare la politica americana. La Cina, non riuscendo ad avere il ruolo che ritiene necessario sulla scena internazionale, ha iniziato a creare una serie di nuove organizzazioni in concorrenza con quelle esistenti e questo preoccupa gli USA, assieme al potenziale desiderio cinese di diventare la potenza dominante nell’area sovvertendo la situazione attuale creata e garantita dagli USA. Secondo Kissinger gli Stati Uniti e la Cina dovrebbero chiarire e concordare a livello “macro” i loro principi irrinunciabili sui principali punti di crisi: Korea, Mar Cinese meridionale e Taiwan, Giappone, concorrenza economica etc. mentre da un punto di vista “micro” potrebbero esserci ancora differenze ed attriti. Questo approccio di “lungimiranza strategica” fu la base del “comunicato di Shangai “ del 1972 che sancì il riavvicinamento fra i due Paesi e potrebbe funzionare anche oggi. Secondo Dai Bingguo, Pechino e Washington dovrebbero istaurare relazioni che prevedano un limite ultimo alla “bottom line confrontation” ed una “cooperation with no upper limit”. La versione cinese in sintesi con un limite inferiore e nessun limite superiore potrebbe creare una crescita per entrambi e limitare i rischi di danni irreparabili cioè una guerra “fredda” o “calda” che sia.
Siamo quindi di fronte ad una nuova guerra fredda? L’ipotesi non è da scartare come già due anni fa concordavano questi “grandi vecchi” della politica internazionale. Ne discuteremo nella prossima nota
ANCORA TAIWAN
Fino ad ora non vi ho scritto niente sui due argomenti “caldi” e legati uno all’altro che caratterizzano i rapporti odierni fra USA e Cina, vale a dire la battaglia sui dazi e la Corea del Nord. Ho voluto, infatti, aspettare una certa sedimentazione delle situazioni e pensavo di pubblicare una nota in questi giorni.
Un’altra notizia però, a mio avviso più importante delle precedenti, si è impadronita prepotentemente della scena, anche se sostanzialmente ignorata dalla stampa internazionale che non riesce a comprenderne l’importanza e i rischi che ne potrebbero derivare. Ve ne voglio parlare oggi.
Il 28 giugno u.s. ero in Cina e facendo colazione in albergo davo una scorsa ai giornali locali. Tutti riportavano in prima pagina una fotografia di Xi Jinping che stringeva la mano al Segretario di Stato alla Difesa americano James Mattis nella Great Hall of the People.
Gli articoli riportavano i colloqui che l’ospite americano aveva avuto con il suo omologo cinese e il breve incontro con il Presidente. La mia attenzione è stata attratta da alcune parole di Xi Jinping che non richiedono alcun commento. “Noi non rinunzieremo a un solo centimetro del territorio che abbiamo ereditato dai nostri Padri e parimenti la Cina non si impadronirà di alcuna terra appartenente ad altri”. Questa frase, in bocca a un Cinese è di una durezza inusitata e ovviamente Xi Jinping si riferiva a Taiwan e alle continue scaramucce per il controllo del mar cinese meridionale e degli stretti.
E’ l’argomento di cui ho scritto di più nelle mie note sia durante l’amministrazione Obama come pure dopo l’inizio del governo di Trump. Vi rimando a queste note per saperne di più e mi limito solo a citarvi alcuni aspetti importanti:
- Attraverso lo stretto di Malacca e i due stretti vicini della Sonda e di Lombok, passano oltre il 40% delle merci scambiate nel mondo e fra queste l’80% dei rifornimenti petroliferi alla Cina. Quest’ultima quindi non può permettersi di perderne il controllo.
- Gli USA d’altronde ritengono di dover essere i garanti dell’ordine mondiale e dello sviluppo generale “convincendo” con tutti i mezzi a loro disposizione della bontà e dell’universalità dei loro principi e, più in generale dei principi occidentali.
- In base a questa strategia hanno costituito due veri e propri anelli di contenimento (politico e militare) della Cina, uno più interno che si basa su Giappone, Corea del Sud, Taiwan, Filippine, ed in parte Vietnam ed un altro più esterno che parte dall’India e si allarga fino all’Australia per poi chiudersi di nuovo in Giappone.
- Trump, subito dopo la sua elezione e molto prima dello scambio di consegne con Obama, compì una serie di azioni (argomento Taiwan) che resero assolutamente furiosi i Cinesi, portarono il mondo molto vicino alla guerra e costrinsero Obama a una dichiarazione assolutamente irrituale affrenando pubblicamente che Trump non aveva il potere di fare alcuna azione politica fino alla sua ascesa ufficiale al potere (“in America si comanda uno per volta” cito a memoria).
Questo è in poche parole il quadro di riferimento. Ma non ci troviamo di fronte an una nuova improvvisa recrudescenza, al contrario la situazione si è andata aggravando progressivamente ed anche in questo caso non sto ad annoiarvi con una miriade di piccole schermaglie, solo due esempli che si commentano da soli:
- Il 26 maggio navi militari americane hanno “violato” il limite di 12 miglia nautiche avvicinandosi alla Woody Island dove c’è la più grande base aerea cinese nel Mar Cinese Meridionale. Esse sono state immediatamente fronteggiate da navi cinesi in maniera definita “non professionale” dagli americani. Sono seguite dichiarazioni bellicose da entrambe le parti. L’ammiraglio Harris ha detto che “senza l’intervento determinato e decisivo nostro e dei nostri alleati, la Cina realizzerà il suo sogno di egemonia in Asia”. I cinesi sostengono che “ è per noi necessario condurre esercitazioni aeree sull’isola per essere pronti ad azioni militari in tutte le direzioni attorno alla nostra terraferma”. E Mattis “ Noi crediamo fermamente in azioni non coercitive per far vivere in concordia le nazioni del mondo”, prontamente fronteggiato dal lato cinese “Questa affermazione è strana in bocca al Paese che ha fatto della coercizione la maniera di confrontarsi con gli altri Paesi” ed infine, sempre i Cinesi “Mattis ritiene che la Cina metta in pericolo la libertà di navigazione commerciale, mentre gli USA difendono tale libertà per il bene di tutti. E’ invece un abuso e un atto di intimidazione tenendo presente che la presenza militare americana nel Mar Cinese Meridionale è maggiore di quella complessiva della Cina e di tutti gli altri Paesi che si affacciano su quel mare.”
- Pochi giorni fa per la seconda volta in pochi mesi i Cinesi hanno effettuato imponenti operazioni aeronavali nell’area, la seconda delle quali attorno all’isola di Taiwan “per essere pronti a reagire in caso di proclamazione unilaterale di indipendenza di una parte storica della Cina” che sembra sempre più probabile viste le azioni americane in supporto di questa azione e le forniture di armi relative.
Come vedete una situazione sempre più incandescente che potrebbe sfociare in una guerra reale fra i due colossi anche per un incidente minore o addirittura per un fraintendimento.
Vi avevo detto che ero in Cina il giorno della dichiarazione di Xi Jinping. A cena con alcuni amici cinesi, ne ho approfittato per chiedere la loro opinione sui fatti. Erano persone che conoscevo da molti anni, alcune delle quali non iscritte al Partito per loro scelta. Bene, all’unisono mi hanno detto tutti che il mondo occidentale si ostina a non capire l’importanza che Taiwan riveste per ogni cinese. Quasi 200 anni fa le potenze occidentali e il Giappone, approfittando della decadenza dell’impero più lungo della storia, si impadronirono di fatto di parti importanti della loro nazione dopo una vera e propria guerra coloniale volta sia a demolirne l’indipendenza sia ad umiliare la popolazione. A fatica e con milioni di morti la Cina è riuscita finalmente a recuperare la propria sovranità e quasi completamente la propria integrità territoriale. Resta solamente Taiwan, e se parti terze non interverranno, col tempo e la pazienza otterremo di nuovo l’unificazione in maniera pacifica. Solo l’intervento dell’occidente potrebbe portarci alla guerra.
Del resto, se guardiamo alla storia occidentale e a quella cinese in maniera comparata, voi avete guerreggiato continuamente negli ultimi mille anni. Potete dire la stessa cosa di noi?
E infine la stoccata finale da una persona che avendo vissuto molti anni nel mondo occidentale e conoscendo la nostra storia ha detto “proprio voi italiani dite questo? Voi che avete accettato milioni (???) di morti nella prima guerra mondiale per ricongiungere alla Madrepatria la parte nord orientale del vostro territorio? “ .
Purtroppo la situazione è molto complessa e frutto di due concezioni opposte del mondo e dei rapporti fra i popoli come ho detto varie volte. Ed è interessante che proprio di ciò stiano cominciando a occuparsi le menti più aperte da entrambi i lati.
Esiste in Occidente la percezione che il “modello di sviluppo cinese” costituisca un pericolo per le democrazie liberali occidentali. Proprio su questo l’Economist ha aperto un dibattito che riassumo. Dopo la fine della guerra fredda, la democrazia liberale e l’economia di mercato, entrambe basate sui valori della libertà dell’individuo, dell’uguaglianza e del capitalismo raggiunsero l’apice della loro considerazione tanto da far dire a Francis Fukuyama, un acclamato politologo americano dell’epoca, che si era raggiunta “la forma finale di governo dell’umanità” . Purtroppo dopo la crisi finanziaria del 2008 il mondo Occidentale è andato incontro ad una serie di problematiche economiche , politiche e sociali. La polarizzazione politica americana, la Brexit, la crisi dei migranti, la crescita dei populismi su entrambe le sponde dell’Atlantico, tutte portano a concludere che siamo ben lontani dalla “fine della storia” e forse di fronte ad una crisi della democrazia liberale come l’abbiamo intesa fino ad ora. Lo stesso Fukuyama si è ricreduto su quanto aveva dichiarato anni fa.
Purtroppo, è questa la mia opinione, si tende ad autoassolversi dicendo che tutto ciò dipende da cause esterne invece di guardare dentro di noi e dei nostri sistemi.
Il Global Times da una visione diversa in un articolo insolitamente pacato. Vi si sostiene che gli USA hanno un loro sistema politico-economico e sostengono che esso abbia una validità universale. I cinesi al contrario hanno un proprio sistema molto diverso’ e non hanno alcuna intenzione di esportarlo. Infatti:
- Ognuno dei due sistemi ha avuto successo nel proprio Paese;
- I due sistemi si sono influenzati a vicenda. La Cina ha imparato dall’America alcuni aspetti dell’economia di mercato e oggi l’America sta studiando come la Cina abbia successo all’estero. Si sostiene che lo fa fornendo aiuti di Stato alle imprese e quindi cerca di ottenere lo stesso risultato intimidendo i propri partners commerciali.
- In realtà nessun modello di sviluppo è esportabile, altrimenti basterebbe copiare un sistema di sviluppo di successo e non esisterebbero più Paesi poveri.
- Il sistema politico-economico cinese si fonda sulla millenaria cultura confuciana adattata nel tempo, e tale modello non può essere esportato in altre realtà. Ciò che la Cina cerca di esportare è il concetto che ogni Paese debba studiare quanto realizzato negli altri Paesi e poi sviluppare e trasformare queste esperienze per adattarle alla propria storia ed alle proprie condizioni. <Per inciso vi informo che lo stesso criterio fu adottato dalla Cina subito dopo la caduta dell’impero. Sun Yan Set mandò alcune delegazioni in giro per il mondo per studiare quale costituzione fosse la più adattabile al loro mondo. Poi prevalsero i Bolscevichi, gli unici an non aver avuto responsabilità per il colonialismo precedente>
- La cosiddetta competizione fra il sistema americano e quello cinese, dimostra la paura americana che possa perdere la sua posizione egemonia a livello mondiale, ma non esiste al mondo alcuna egemonia che possa durare se non per un breve periodo. Per l’America ciò è successo dopo la vittoria nella seconda guerra mondiale, ma quel tempo è ormai passato e Washington dovrebbe accettare il nuovo mondo basato sul multilateralismo.
Speriamo che tutti riflettano e non si caschi di nuovo nel baratro di una nuova guerra.
ANCORA TAIWAN
Fino ad ora non vi ho scritto niente sui due argomenti “caldi” e legati uno all’altro che caratterizzano i rapporti odierni fra USA e Cina, vale a dire la battaglia sui dazi e la Corea del Nord. Ho voluto, infatti, aspettare una certa sedimentazione delle situazioni e pensavo di pubblicare una nota in questi giorni.
Un’altra notizia però, a mio avviso più importante delle precedenti, si è impadronita prepotentemente della scena, anche se sostanzialmente ignorata dalla stampa internazionale che non riesce a comprenderne l’importanza e i rischi che ne potrebbero derivare. Ve ne voglio parlare oggi.
Il 28 giugno u.s. ero in Cina e facendo colazione in albergo davo una scorsa ai giornali locali. Tutti riportavano in prima pagina una fotografia di Xi Jinping che stringeva la mano al Segretario di Stato alla Difesa americano James Mattis nella Great Hall of the People.
Gli articoli riportavano i colloqui che l’ospite americano aveva avuto con il suo omologo cinese e il breve incontro con il Presidente. La mia attenzione è stata attratta da alcune parole di Xi Jinping che non richiedono alcun commento. “Noi non rinunzieremo a un solo centimetro del territorio che abbiamo ereditato dai nostri Padri e parimenti la Cina non si impadronirà di alcuna terra appartenente ad altri”. Questa frase, in bocca a un Cinese è di una durezza inusitata e ovviamente Xi Jinping si riferiva a Taiwan e alle continue scaramucce per il controllo del mar cinese meridionale e degli stretti.
E’ l’argomento di cui ho scritto di più nelle mie note sia durante l’amministrazione Obama come pure dopo l’inizio del governo di Trump. Vi rimando a queste note per saperne di più e mi limito solo a citarvi alcuni aspetti importanti:
- Attraverso lo stretto di Malacca e i due stretti vicini della Sonda e di Lombok, passano oltre il 40% delle merci scambiate nel mondo e fra queste l’80% dei rifornimenti petroliferi alla Cina. Quest’ultima quindi non può permettersi di perderne il controllo.
- Gli USA d’altronde ritengono di dover essere i garanti dell’ordine mondiale e dello sviluppo generale “convincendo” con tutti i mezzi a loro disposizione della bontà e dell’universalità dei loro principi e, più in generale dei principi occidentali.
- In base a questa strategia hanno costituito due veri e propri anelli di contenimento (politico e militare) della Cina, uno più interno che si basa su Giappone, Corea del Sud, Taiwan, Filippine, ed in parte Vietnam ed un altro più esterno che parte dall’India e si allarga fino all’Australia per poi chiudersi di nuovo in Giappone.
- Trump, subito dopo la sua elezione e molto prima dello scambio di consegne con Obama, compì una serie di azioni (argomento Taiwan) che resero assolutamente furiosi i Cinesi, portarono il mondo molto vicino alla guerra e costrinsero Obama a una dichiarazione assolutamente irrituale affrenando pubblicamente che Trump non aveva il potere di fare alcuna azione politica fino alla sua ascesa ufficiale al potere (“in America si comanda uno per volta” cito a memoria).
Questo è in poche parole il quadro di riferimento. Ma non ci troviamo di fronte an una nuova improvvisa recrudescenza, al contrario la situazione si è andata aggravando progressivamente ed anche in questo caso non sto ad annoiarvi con una miriade di piccole schermaglie, solo due esempli che si commentano da soli:
- Il 26 maggio navi militari americane hanno “violato” il limite di 12 miglia nautiche avvicinandosi alla Woody Island dove c’è la più grande base aerea cinese nel Mar Cinese Meridionale. Esse sono state immediatamente fronteggiate da navi cinesi in maniera definita “non professionale” dagli americani. Sono seguite dichiarazioni bellicose da entrambe le parti. L’ammiraglio Harris ha detto che “senza l’intervento determinato e decisivo nostro e dei nostri alleati, la Cina realizzerà il suo sogno di egemonia in Asia”. I cinesi sostengono che “ è per noi necessario condurre esercitazioni aeree sull’isola per essere pronti ad azioni militari in tutte le direzioni attorno alla nostra terraferma”. E Mattis “ Noi crediamo fermamente in azioni non coercitive per far vivere in concordia le nazioni del mondo”, prontamente fronteggiato dal lato cinese “Questa affermazione è strana in bocca al Paese che ha fatto della coercizione la maniera di confrontarsi con gli altri Paesi” ed infine, sempre i Cinesi “Mattis ritiene che la Cina metta in pericolo la libertà di navigazione commerciale, mentre gli USA difendono tale libertà per il bene di tutti. E’ invece un abuso e un atto di intimidazione tenendo presente che la presenza militare americana nel Mar Cinese Meridionale è maggiore di quella complessiva della Cina e di tutti gli altri Paesi che si affacciano su quel mare.”
- Pochi giorni fa per la seconda volta in pochi mesi i Cinesi hanno effettuato imponenti operazioni aeronavali nell’area, la seconda delle quali attorno all’isola di Taiwan “per essere pronti a reagire in caso di proclamazione unilaterale di indipendenza di una parte storica della Cina” che sembra sempre più probabile viste le azioni americane in supporto di questa azione e le forniture di armi relative.
Come vedete una situazione sempre più incandescente che potrebbe sfociare in una guerra reale fra i due colossi anche per un incidente minore o addirittura per un fraintendimento.
Vi avevo detto che ero in Cina il giorno della dichiarazione di Xi Jinping. A cena con alcuni amici cinesi, ne ho approfittato per chiedere la loro opinione sui fatti. Erano persone che conoscevo da molti anni, alcune delle quali non iscritte al Partito per loro scelta. Bene, all’unisono mi hanno detto tutti che il mondo occidentale si ostina a non capire l’importanza che Taiwan riveste per ogni cinese. Quasi 200 anni fa le potenze occidentali e il Giappone, approfittando della decadenza dell’impero più lungo della storia, si impadronirono di fatto di parti importanti della loro nazione dopo una vera e propria guerra coloniale volta sia a demolirne l’indipendenza sia ad umiliare la popolazione. A fatica e con milioni di morti la Cina è riuscita finalmente a recuperare la propria sovranità e quasi completamente la propria integrità territoriale. Resta solamente Taiwan, e se parti terze non interverranno, col tempo e la pazienza otterremo di nuovo l’unificazione in maniera pacifica. Solo l’intervento dell’occidente potrebbe portarci alla guerra.
Del resto, se guardiamo alla storia occidentale e a quella cinese in maniera comparata, voi avete guerreggiato continuamente negli ultimi mille anni. Potete dire la stessa cosa di noi?
E infine la stoccata finale da una persona che avendo vissuto molti anni nel mondo occidentale e conoscendo la nostra storia ha detto “proprio voi italiani dite questo? Voi che avete accettato milioni (???) di morti nella prima guerra mondiale per ricongiungere alla Madrepatria la parte nord orientale del vostro territorio? “ .
Purtroppo la situazione è molto complessa e frutto di due concezioni opposte del mondo e dei rapporti fra i popoli come ho detto varie volte. Ed è interessante che proprio di ciò stiano cominciando a occuparsi le menti più aperte da entrambi i lati.
Esiste in Occidente la percezione che il “modello di sviluppo cinese” costituisca un pericolo per le democrazie liberali occidentali. Proprio su questo l’Economist ha aperto un dibattito che riassumo. Dopo la fine della guerra fredda, la democrazia liberale e l’economia di mercato, entrambe basate sui valori della libertà dell’individuo, dell’uguaglianza e del capitalismo raggiunsero l’apice della loro considerazione tanto da far dire a Francis Fukuyama, un acclamato politologo americano dell’epoca, che si era raggiunta “la forma finale di governo dell’umanità” . Purtroppo dopo la crisi finanziaria del 2008 il mondo Occidentale è andato incontro ad una serie di problematiche economiche , politiche e sociali. La polarizzazione politica americana, la Brexit, la crisi dei migranti, la crescita dei populismi su entrambe le sponde dell’Atlantico, tutte portano a concludere che siamo ben lontani dalla “fine della storia” e forse di fronte ad una crisi della democrazia liberale come l’abbiamo intesa fino ad ora. Lo stesso Fukuyama si è ricreduto su quanto aveva dichiarato anni fa.
Purtroppo, è questa la mia opinione, si tende ad autoassolversi dicendo che tutto ciò dipende da cause esterne invece di guardare dentro di noi e dei nostri sistemi.
Il Global Times da una visione diversa in un articolo insolitamente pacato. Vi si sostiene che gli USA hanno un loro sistema politico-economico e sostengono che esso abbia una validità universale. I cinesi al contrario hanno un proprio sistema molto diverso’ e non hanno alcuna intenzione di esportarlo. Infatti:
- Ognuno dei due sistemi ha avuto successo nel proprio Paese;
- I due sistemi si sono influenzati a vicenda. La Cina ha imparato dall’America alcuni aspetti dell’economia di mercato e oggi l’America sta studiando come la Cina abbia successo all’estero. Si sostiene che lo fa fornendo aiuti di Stato alle imprese e quindi cerca di ottenere lo stesso risultato intimidendo i propri partners commerciali.
- In realtà nessun modello di sviluppo è esportabile, altrimenti basterebbe copiare un sistema di sviluppo di successo e non esisterebbero più Paesi poveri.
- Il sistema politico-economico cinese si fonda sulla millenaria cultura confuciana adattata nel tempo, e tale modello non può essere esportato in altre realtà. Ciò che la Cina cerca di esportare è il concetto che ogni Paese debba studiare quanto realizzato negli altri Paesi e poi sviluppare e trasformare queste esperienze per adattarle alla propria storia ed alle proprie condizioni. <Per inciso vi informo che lo stesso criterio fu adottato dalla Cina subito dopo la caduta dell’impero. Sun Yan Set mandò alcune delegazioni in giro per il mondo per studiare quale costituzione fosse la più adattabile al loro mondo. Poi prevalsero i Bolscevichi, gli unici an non aver avuto responsabilità per il colonialismo precedente>
- La cosiddetta competizione fra il sistema americano e quello cinese, dimostra la paura americana che possa perdere la sua posizione egemonia a livello mondiale, ma non esiste al mondo alcuna egemonia che possa durare se non per un breve periodo. Per l’America ciò è successo dopo la vittoria nella seconda guerra mondiale, ma quel tempo è ormai passato e Washington dovrebbe accettare il nuovo mondo basato sul multilateralismo.
Speriamo che tutti riflettano e non si caschi di nuovo nel baratro di una nuova guerra.
Una barchetta in balia della tempesta
In questi giorni, dopo le elezioni politiche fatte con una legge cervellotica (ma comunque l’unica su cui si era trovata una maggioranza) l’Italia osserva gli eventi che, ancorché prevedibili, ci mettono di fronte a un Paese abbastanza ingovernabile. Staremo a vedere se si riuscirà ad avere un governo stabile oppure se, cosa probabile, ci sarà un governicchio “balneare” come quelli che vedevamo spesso nella “prima repubblica”. Vi scrivo qualche ora dopo che sono stati eletti i Presidenti delle due Camere, frutto di un’intesa rapidissima fra i due vincitori: Salvini e Di Maio. Vedremo se saranno capaci di formare anche un governo, e per fare che cosa? Probabilmente una nuova legge elettorale che permetta ai due di sfidarsi in un ballottaggio in grado di produrre un vincitore.
Nel frattempo, mentre politici, giornali e opinione pubblica s’interrogano su cosa succederà in futuro, il mondo corre a gran velocità. Dopo il ritorno al potere della Merkel, al suo quarto e probabilmente ultimo mandato, lei e Macron si apprestano a creare la nuova “Europa 3.0” essendosi resi conto che così non si può andare avanti, dopo la Brexit e le elezioni in Italia, se non si vuole distruggere quel poco che è stato fatto in questi sessant’anni. Sono convinto che Francia e Germania gradirebbero la presenza dell’Italia nel “comitato strategico” che dovrà disegnare e proporre il futuro, ma quale Italia? Quale governo capace di prendere impegni di medio periodo? Quale governo realmente europeista, al di là dei difetti di questa Europa? Quale governo capace di capire che nessun Paese, neanche la stessa Germania può fronteggiare la forza di Paesi ormai di respiro continentale: penso agli USA, alla Cina, alla Russia ormai risorta, e all’India. Tutti i Paesi che vi ho menzionato, Francia, Germania, Cina, Russia, e anche USA (perché un Impeachment mi sembra impossibile) hanno un governo stabile e quindi penso che noi purtroppo non potremo far sentire la nostra voce per quanto flebile ma certamente non priva di capacità diplomatica.
Ma non è di questo che voglio parlarvi oggi; aspettiamo un mese e capiremo qualcosa.
Vi do invece alcune informazioni “minori” ma non tanto che ho sempre rinviato ma danno l’ultima pennellata a questo quadro.
In una delle mie note nella pagina “FLASH” vi avevo parlato della partenza dal polo internodale di Mortara (Pavia) il 28 novembre scorso del primo treno diretto in Cina, a Chengdu, capitale del Sichuan. Questo treno, lungo 479 metri (quasi mezzo chilometro) e composto da 17 vagoni, trasportava mobili, macchinari, piastrelle, auto, prodotti in metallo etc. Il suo percorso attraversava Austria, repubblica Ceca, Polonia, e qui si agganciava ad una delle rotte classiche verso la Cina attraverso Bielorussia, Russia e Kazakistan. Osanna generali accompagnarono questo viaggio che “apre nuove vie di comunicazione”. Bene, il 17 dicembre questo treno è arrivato a Chengdu. Il comunicato del consolato generale d’Italia nel Sichuan recita “ Si tratta dell’11mo treno internazionale ad aver coinvolto Chengdu nell’itinerario e fa seguito a quelli provenienti da Rotz (Polonia), Norimberga (Germania) e Tilburg (Olanda). Il quotidiano cinese in lingua inglese China Daily riporta invece una nota di Xinhua (l’agenzia di stampa ufficiale cinese) “ Freight trains now connect Chengdu with 11 major cities in Europe” e successivamente “ In 2017 the number of Europe-bound freight trains from Chengdu will exceed 1000, according to the city’s port and logistics office”
Non dubito (davvero e non in senso ironico) della buona fede del comunicato consolare; il numero 11 torna ma si tratta del numero degli itinerari e non del numero totale dei treni (questo era abbastanza ovvio); la vera differenza sta nel fatto che le città europee collegate con Chengdu sono 11 e non tre.
Questo torna con il dato generale (Xinhua 22 gennaio) secondo il quale nel 2017 3673 treni merci hanno viaggiato su itinerari che collegano con “express freight services” la Cina a 36 città europee. Una svista quindi, che però riduce di molto l’importanza della notizia. Proprio perché i trasporti ferroviari Cina – Europa sono ormai diventati routine, l’arrivo del nostro primo treno non ha destato la risonanza dei precedenti, il cui arrivo era in grande evidenza su Xinhua.
Il discorso del Console nella cerimonia all’arrivo del treno, continua con delle informazioni interessanti “L’apertura di questo treno …… può essere uno stimolo per lo sviluppo di ulteriori rapporti bilaterali di natura economica” e poi “I rapporti tra la provincia del Sichuan e l’Italia si sono rafforzati negli ultimi anni……. Recente è la realizzazione del parco Sino – Italiano sulla cultura e l’Innovazione ….. è in programma l’apertura del volo diretto Chengdu – Palermo”. La chiusura del discorso invece è spiegabilmente ma inutilmente trionfalistica circa l’importanza per l’Europa e il Mediterraneo dei rapporti bilaterali fra il nostro Paese e la Cina.
Siamo fra gli ultimi in Europa e purtroppo è un peccato perché come ho scritto in precedenza l’Italia era uno dei punti focali della BRI in Europa, e per la buona accoglienza che hanno gli Italiani in Cina. Altro segnale positivo rilevante è stato il fatto che il Primo Ministro Gentiloni e la moglie erano seduti accanto a Xi Jinping e signora durante lo spettacolo di apertura del Forum della BRI a Pechino lasciando dietro Capi di Stato e di Governo ben più importanti. Purtroppo non siamo, e non siamo mai stati capaci negli ultimi quarant’anni di fare squadra per il bene comune.
Finalmente sembra che il volo diretto Chengdu – Palermo che dovrebbe portare frotte di turisti cinesi in Sicilia si avvii a divenire una realtà. Vi ricordate però che esso si era fermato per beghe interne alle nostre autorità locali? E si sta facendo in Sicilia un piano organico, coordinato e serio per accogliere decine di migliaia di turisti che appartengono a una cultura diversa dalla nostra, che hanno abitudini molto diverse, ma che sono però estremamente curiosi di conoscerci? La Sicilia potrebbe finalmente trovarsi di fronte ad un’inaspettata miniera d’oro ma dovrà saperla sfruttare mettendo in luce la proverbiale gentilezza dei suoi abitanti, evitare di agire pensando che si tratti di “polli da spennare” e pensando al futuro. Purtroppo in Italia c’è ancora una mentalità molto negativa verso i Cinesi. Mi ricordo che una volta, una quindicina di anni fa, portai a Firenze a un convegno un’importante delegazione Cinese. La sera telefonai ad uno dei migliori ristoranti per prenotare un tavolo per una dozzina di persone. La risposta fu “Ci dispiace ma non accettiamo clienti cinesi: prendono solo una minestra, fanno un chiasso del diavolo e lasciano tutto sporco”. Faticai molto, facendo anche la voce grossa, ma alla fine della cena il “maître” fece un regalino a ciascuno di loro: tanto era il conto favoloso che avevo pagato perché avevano voluto assaggiare tutti i piatti della cucina fiorentina, lasciandone anche parecchi perché non erano di loro gusto e bevendo ottimi vini. Certo ci sono anche gruppi come quelli che noi immaginiamo, ma se Venezia è piena di “saccopelisti” ormai da qualche decina d’anni, non è certo colpa dei Cinesi, eppure stanno lì indisturbati. Invece un’economia basata sul turismo e le bellezze naturali dell’isola (incluse le isolette che la circondano) potrebbe essere a mio avviso ben più congeniale alla realtà siciliana (non ho certo dimenticato le mie origini) piuttosto che un’industria che non ha mai attecchito anche per mancanza di infrastrutture. Scusate per la divagazione.
In tema di turismo è partita da Venezia la prima nave da crociera che, dopo un lungo giro, approderà in Cina. Ho visto alcune bellissime fotografie, che purtroppo non riesco a ritrovare, di gruppi folcloristici Cinesi che festeggiano l’avvenimento sul ponte della nave. Esiste però anche un programma strutturale. La Costa Crociere sta costruendo due navi pensate specificamente per il turismo cinese. La prima di esse, la Costa Venezia entrerà regolarmente in servizio nel 2019 e contribuirà ulteriormente a far conoscere il “marchio Italia”. Speriamo che siano finiti i tempi in cui in Cina si vendeva il vino “Bella Venezia”, un’assoluta schifezza che certo non faceva onore al nostro Paese.
Non posso chiudere questa mia nota senza tornare a parlare del trasporto marittimo su cui mi sono già soffermato in passato. Se il trasporto aereo è infatti il più veloce e quello ferroviario il miglior compromesso fra costo e durata del viaggio, bisogna anche dire che una nave trasporta il contenuto di 300 treni ed è certamente il sistema più economico. Per questo motivo circa il 90% delle merci è trasportato per mare. Il fallimento dei negoziati italo cinesi per il porto di Gioia Tauro in Calabria, forse la soluzione migliore vista la sua centralità nel Mediterraneo, spostò l’interesse cinese verso il Pireo. Entrambi avevano un’enorme carenza di infrastrutture per il successivo trasporto via ferro sui grandi mercati del nord Italia e dell’Europa centrale, ma i Greci furono più bravi di noi ed oggi il Pireo ha incrementato la sua capacità di oltre cinque volte. I Cinesi nel frattempo hanno creato un altro polo gigantesco a Zeebrugge in Belgio come spiega un interessante report a cura dell’EIAS “EU-China Maritime connectivity: The way ahead” del 25/10/2017. In esso si spiega come il porto di Zeebrugge possa migliorare la connettività EU-Cina e l’importanza che questo porto riveste sia per lo sviluppo dei mercati europei, sia come punto di transhipment per le merci trasportate dall’America e aventi la Cina come destinazione finale.
Questi porti costituiscono già due punti fermi. Ma c’è ancora modo e tempo per inserirci nel gioco purché si evitino litigi interni che danneggiano tutti. Il Primo Ministro Gentiloni durante il Forum della BRI e l’ambasciatore Sequi stanno facendo del loro meglio, ma è necessaria una proposta seria, portata avanti con determinazione e fermezza. Oggi ad esempio COSCO, CCCC e altri giganti cinesi sembrano interessati a Genova e Trieste. Bene, ma non bisogna limitarsi ad ascoltare con piacere le parole di elogio, apprezzamento e interesse pronunziate a ogni incontro dalle delegazioni Cinesi. Come sa chiunque abbia avuto a che fare con una controparte cinese in negoziati importanti, queste parole non hanno alcun valore pratico e sono indirizzate a chiunque sia stato cortese e accogliente verso di loro, come non hanno altrettanto valore le cosiddette “letters of intent” che hanno un’importanza molto minore delle nostre lettere d’intento. Ci vuole chiarezza di idee, perseveranza, presenza costante, la capacità di una persona (una sola) capace di destare la loro fiducia, essere capace di rispondere alle loro domande, avere capacità di management e potere di decisione. Avere soprattutto una grande pazienza e capacità di condividere i loro modi di vita: piccole cose come ad esempio la capacità di accettare e gustare ( o fingere) i loro cibi che per altro sono raffinatissimi, di accettare gli interminabili “campai”, i brindisi con il “Maotai”, di accettare e trarre vantaggio dalla loro metodologia di discussione che, come vi ho raccontato in passato, è profondamente diversa dalla nostra.
“Se sei consapevole di essere negozialmente superiore alla tua controparte, non hai bisogno di farlo notare; sarebbe un ‘ammissione di debolezza”. Il porto di Trieste ad esempio, ha numerosi vantaggi rispetto a possibili alternative nel Mediterraneo e fuori: ha una posizione strategica, 4000 miglia di vantaggio rispetto ai porti del nord Europa, è ampio e con fondali profondi, ha numerosissimi collegamenti ferroviari con il resto d’Europa. Soprattutto con il decreto attuativo del 27 giugno scorso è stato riconosciuto porto franco internazionale unico in Europa. Questo fatto, unito alla possibilità di fare all’interno manifattura industriale desta un interesse enorme se lo si riempie di idee.
A questo proposito vi racconto un episodio capitatomi molto tempo fa, credo almeno vent’anni ma non ne sono sicuro Era il tempo in cui chiunque andasse in Cina per lavoro, tornava a casa con una valigia piena di seta e di golf di cachemire. Questi ultimi erano belli, con un’ottima lana, ma avevano alcuni inconvenienti: non erano in linea con la conformazione corporea europea (lo scavo manica non andava bene, le maniche erano spesso troppo corte etc.) ed erano fatti, se ben mi ricordo, con un filato a due capi (potrei sbagliarmi ma non ha importanza) che rendevano i golf molto delicati, specialmente sui gomiti. In compenso costavano quasi niente. A quel punto, messici in contatto con degli operatori del settore, lanciammo e proponemmo ai Cinesi un’idea “fantascientifica” : costituire due società miste italo cinesi, una in Cina ed una in Italia. La prima si sarebbe occupata in Cina dell’acquisto del cachemire e della sua filatura secondo tecnologie e con macchinari Italiani. Il filato, ottimo e molto economico, arrivava in Italia nel porto franco che doveva essere creato a Trieste e con esso venivano prodotti e in gran parte riesportati capi di vestiario di qualità ed aventi diritto al marchio “made in Italy” che aumentava il loro valore. Queste le linee generali, non ricordo i dettagli. Ma era appunto fantascienza per l’epoca e non si riuscì a realizzarla.
Questo dovremmo ritrovare: idee, fantasia, perseveranza, flessibilità, management. Se ci riuscissimo, avremmo la Cina pronta ad accoglierci a braccia aperte.
La visita di Trump a Pechino
Come sapete, il lungo viaggio di Donald Trump in Asia si è concluso da qualche giorno. C’erano grandi aspettative sui risultati della visita a Pechino che, vi anticipo, è stata un grande successo almeno dal punto di vista mediatico e personale dei due leader più potenti del mondo che si andavano ad incontrare. “Due maschi alfa” erano stati definiti con una sintesi estremamente azzeccata per rappresentare questo confronto.
L’agenda dei colloqui verteva sui problemi, ormai ben noti, della Corea del Nord, dello sbilancio commerciale, del concetto di "one China only”, del mar della Cina, e delle relazioni bilaterali.
I target principali di Trump erano la Corea del Nord e l’enorme sbilancio nell’import-export fra i due Paesi. C’era anche, ma ben nascosto, l’aspetto del controllo dei mari circostanti la Cina e dei rapporti della Cina con i Paesi vicini, ma Trump sapeva che non sarebbe stato il caso di parlarne direttamente. Per la Cina invece erano assolutamente prioritari i due aspetti più generali e più politici, cioè i rapporti bilaterali e l’accettazione americana di un’assoluta non interferenza o modifica dello status internazionale di Taiwan e della storica politica di “una sola Cina”. L’atteggiamento di Trump, se ricordate, era stato estremamente ondivago. Nel periodo intercorrente fra la sua elezione e l’inaugurazione del suo mandato, infatti, si era lasciato andare ad una serie di dichiarazioni estremamente dure ed offensive da un punto di vista cinese, specialmente sul problema di Taiwan. Si era arrivati sull’orlo di una crisi militare (l’invasione preventiva di Taiwan da parte dei Cinesi come atto di sfida. Ciò avrebbe causato una guerra fra le due potenze per l’esistenza di un trattato di difesa fra Washington e Taipei) o, come minimo, alla sospensione delle relazioni diplomatiche. Dopo questa prova di forza verbale, Trump, come sua abitudine (ma allora non lo conoscevamo), mise la sordina all’argomento e le relazioni si incanalarono su binari più tranquilli che culminarono nella visita di Xi Jinping negli Stati Uniti lo scorso aprile. L’incontro fu un grande successo dal punto di vista dei rapporti personali, ma nessuno dei problemi sul tappeto arrivò ad alcuna soluzione, incluso la decisione di Trump di ritirarsi dagli accordi sul clima di Parigi che si reggevano sostanzialmente sulla spinta congiunta di USA e Cina.
Questo nuovo incontro infine avveniva in un momento in cui la situazione personale dei due leader nei rispettivi Paesi era molto diversa rispetto al passato: Trump era molto indebolito dal calo dei consensi, dallo stallo in cui si trovavano alcuni provvedimenti cardine della campagna elettorale che non riusciva a far approvare, e dalle indagini sui rapporti pregressi suoi e dei suoi collaboratori con la cerchia ristretta del governo russo. Xi, al contrario, si presentava fortissimo dopo il risultato del congresso che lo aveva consacrato come il leader cinese più potente dai tempi di Mao.
Entrambi quindi, e per motivi opposti, avevano bisogno di un grande successo e, come dicevo, “successo ci fu”!
Xi Jinping (ed il suo staff) avevano studiato accuratamente la personalità di Trump, il suo incredibile “ego”, la sua rivalità con Obama, il suo predecessore, la sua voglia di apparire l’uomo forte e l’assoluto “decision maker” delle sorti del mondo, e sapevano che, quanto più avessero soddisfatto queste necessità, tanto meglio sarebbero andati i colloqui ed i rapporti futuri. Tutto doveva essere diverso rispetto alla visita di Obama e tutto doveva essere diverso rispetto a qualsiasi visita internazionale precedente nella storia cinese; ogni momento fu realizzato con una coreografia grandiosa. In queste note ho allegato una notevole quantità di fotografie che spiegano, meglio di ogni descrizione, quanto ho appena detto. Il viaggio stesso fu definito “State visit plus”. Cosa voleva dire? Sostanzialmente niente, ma nessun incontro precedente era stato chiamato così. La spiegazione ufficiale, debole, fu che esso era mirato a rafforzare non solo i rapporti politici ma anche l’amicizia personale fra Trump e Xi.
Già all’atterraggio dell’aereo presidenziale le differenze furono evidenti: Obama fu costretto a sbarcare usando la scaletta dell'aereo e ad attenderlo c'erano soltanto le persone strettamente necessarie per gli obblighi imposti dal protocollo. Fu uno sgarbo evidente e certamente voluto: per il mondo orientale Infatti queste "sviste" sono più importanti di qualsiasi discorso. Guardate invece in confronto (ho allegato le foto) la scena dell'arrivo di Trump: le scale, il tappeto rosso, una folla ad aspettarlo, una moltitudine di bambini festanti. Ma era solo l'inizio.
Il programma della visita lasciò sbalorditi tutti gli osservatori internazionali. Anche qui vi invito a guardare le foto. Obama aveva fatto una visita alla Città Proibita alla stessa maniera di una moltitudine di altri visitatori. Donald e Melania Trump ebbero un trattamento che non si era mai verificato nella storia cinese dopo l’ascesa al potere di Mao. L'intera Città Proibita era stata chiusa al pubblico, Xi Jin Ping e signora attendevano gli ospiti all'ingresso, i saluti, i sorrisi e le strette di mano abbondarono per la gioia dei fotografi. Dopo la visita del complesso, le due coppie presero un tè rilassante in uno dei padiglioni, assistettero ad uno spettacolo dell'opera di Pechino, ed alla fine la serata fu coronata da una cena in uno dei padiglioni più eleganti. Una cosa del genere non era mai successa. I coniugi Trump erano stati trattati come nessun altro in passato.
Come probabilmente sapete la Città Proibita, costruita fra il 1406 e il 1420 fu la residenza degli imperatori delle dinastie Ming e Qing. Il complesso include 980 edifici con 8707 camere su un’area di 720000 metri quadri. Nessuno poteva entrare oltre un certo punto e lì l'imperatore riceveva i plenipotenziari dei Paesi stranieri che andavano a rendergli omaggio, con un cerimoniale volto a dimostrare la potenza imperiale. Nel 1860, durante la guerra dell’oppio, l’esercito inglese ruppe questo incantesimo penetrando nel Palazzo con la violenza. Nel 1912, con l’abdicazione di Pu Yi, l’ultimo imperatore, terminò il ruolo pratico e simbolico della “Forbidden city”. Quelle mura avevano assistito alla gloria, alla decadenza e alla fine di un impero millenario. In quelle stanze l'ultimo imperatore bambino aveva vissuto la tragedia della sua vita, prima assediato e costretto a fare il “piccolo adulto" in balia di chi governava in suo nome, poi sostanzialmente recluso in una gabbia dorata dopo l'avvento della Repubblica e fino alla fuga nelle braccia dei giapponesi, di nuovo imperatore fantoccio del Manzhouguo . Infine, dopo la guerra e la "rieducazione", giardiniere in quell'immenso complesso che era stato la casa sua e dei suoi avi. Tutto era rimasto intatto e lo è ancora, incluso il trono su cui sedeva bambino e che da vecchio era costretto a guardare, vittima di una vita che certamente non aveva voluto e che era stato costretto a subire.
Tornando a noi, i giornali non hanno parlato dell'aspetto "Cinese" di questa visita ma io sono convinto che, in un mondo in cui ogni parola, ogni sguardo, ogni gesto hanno un loro valore simbolico, Xi Jin Ping abbia pensato tutto ciò nell'ideare la visita di Trump. Quei padiglioni che avevano visto la gloria e poi l'umiliazione dell'" impero di centro" "zhung huo" che è ancora oggi il nome del Paese che noi chiamiamo Cina, quei padiglioni vedevano oggi la “Nuova Cina", ritornata allo splendore ed al ruolo che le spettava nel mondo e lui, Xi Jin Ping, che era nato nei palazzi dorati del nuovo potere, che era stato costretto a zappare ed a vivere in una grotta, che caparbiamente passo dopo passo era tornato al potere, lui, incoronato massimo leader della Cina risorta, lui riceveva nel suo palazzo l'uomo più potente della terra che rendeva omaggio al “Nuovo Imperatore" a cui prima o poi avrebbe consegnato lo scettro di leader della prima economia del mondo.
Assistevano all'apoteosi di due leader che, per motivi diversi, stavano celebrando entrambi il loro trionfo davanti agli occhi del mondo.
La sera, Trump, come da sua abitudine inviò un Twitter che esprimeva il suo entusiasmo. Anche questo fu sorprendente perché Twitter, come quasi tutti i social occidentali è bloccato in Cina. Evidentemente la connessione era stata riaperta per l’occasione e per rendere pubblici i commenti di Trump.
On behalf of @FLOTUS Melania and I, THANK YOU for an unforgettable afternoon and evening at the Forbidden City in Beijing, President Xi and Madame Peng Liyuan. We are looking forward to rejoining you tomorrow morning!
E poi
Looking forward to a full day of meetings with President Xi and our delegations tomorrow. THANK YOU for the beautiful welcome China! @FLOTUS Melania and I will never forget it!
Donald J. Trump
L’indomani, giorno della riunione ufficiale alla “Great Hall of the People”, un’altra sorpresa: la televisione cinese trasmetteva in diretta le fasi pubbliche dell’evento.
Passiamo ora agli argomenti della discussione ufficiale.
Scambi commerciali. Trump ha sostenuto la sua posizione storica; gli scambi commerciali fra USA e Cina sono fortemente sbilanciati a favore della Cina e questa pratica è decisamente scorretta. “Ma io non biasimo la Cina per il fatto che protegga gli interessi dei suoi cittadini – ha detto Trump suscitando un rarissimo sorriso di Xi - la responsabilità è della passate amministrazioni americane che hanno permesso che un così grande deficit commerciale crescesse a dismisura in una maniera del tutto incontrollata”. Trump ha chiesto che questo gap venga azzerato al più presto perché esso è contro gli interessi delle grandi società e dei lavoratori americani.
Xi da parte sua ha dichiarato che la Cina sarà molto più aperta e trasparente nei suoi contatti commerciali con le società di tutto il mondo, incluse quelle americane. “Le società americane – ha detto inoltre - saranno le benvenute se vorranno partecipare alla Belt and Road initiative che apre prospettive storiche al mondo intero. Le nostre porte saranno sempre più aperte”
Al seguito di Trump c’era una foltissima delegazione di imprenditori, e sono stati firmati una ventina di contratti o accordi per oltre 250 miliardi di dollari, ma anche in questo caso entrando nei dettagli si scopre che si tratta per lo più di accordi preliminari non vincolanti o di contratti già maturi e ben noti. In particolare tre di essi in campo petrolifero e petrolchimico si riferiscono a giganteschi investimenti cinesi negli USA che, se si realizzeranno, copriranno un terzo del valore totale indicato nei comunicati stampa. Al contrario non si è fatto alcun passo avanti sul problema della sicurezza della proprietà intellettuale e sull’obbligo, preteso dai Cinesi, del trasferimento delle tecnologie per gli investimenti congiunti in Cina.
Corea del Nord
Su questo versante i comunicati ufficiali non fanno cenno ad alcun risultato in particolare anche se probabilmente i due leader ne avranno parlato a fondo in maniera riservata. Nei fatti, un paio di giorni dopo la partenza di Trump, un’altissima personalità cinese ha fatto visita alla Nord Corea. All’ovvia domanda se fosse latore di un messaggio congiunto da parte di Trump e Xi, fonti ufficiali hanno affermato che si trattava di una visita di routine che ogni cinque anni viene fatta in tutti i Paesi vicini alla Cina per informarli dei risultati del congresso. Niente di nuovo quindi da un punto di vista ufficiale, anzi Trump ha già ricominciato, prima ancora di tornare in patria, i suoi soliti attacchi al dittatore Kim. Questa volta ha posto di nuovo la Corea del Nord nella lista degli Stati che fomentano il terrorismo. Di conseguenza ci si aspetta ora una reazione coreana. E’ proprio questo l’atteggiamento che impedisce una qualsiasi forma di accordo reale fra Cinesi e Americani. Come ho già detto più volte, infatti, i Cinesi non potranno mai accettare il collasso completo della Nord Corea per vari motivi fra cui due sono particolarmente evidenti:
- esso porterebbe ad una migrazione di milioni di Coreani in territorio Cinese ed in particolare nella provincia di Jilin i cui abitanti sono della stessa etnia dei Coreani, con potenziali turbolenze interne;
- le truppe coreane ed americane arriverebbero ai confini cinesi.
L’unica possibilità è quindi una diplomazia segreta che avvicini le due parti senza che Kim perda la faccia, una cosa inaccettabile nel mondo orientale.
I Cinesi hanno ridotto ogni dialogo con Pyongyang fin da quando, nel 2013, Kim ha ucciso suo zio che era l’unica persona affidabile e il principale interlocutore dei cinesi, hanno supportato tutte le sanzioni economiche dell’ONU, hanno propiziato più volte negoziati segreti diretti fra Americani e Coreani, ma più di questo non possono fare. Roosevelt diceva “l’America deve essere gentilissima con i suoi avversari, ma far loro capire discretamente che ha un grosso bastone in mano”. Trump fa esattamente l’opposto: continue esibizioni di forza come le ultime manovre navali in prossimità delle coste coreane a cui Kim crede molto poco, consapevole che un violento attacco militare potrebbe avere conseguenze devastanti per il mondo intero. Del resto, proprio qualche giorno fa, l’ANSA ha pubblicato una dichiarazione di John Hyten, comandante dello Stratcom da cui dipende l’arsenale nucleare americano. Egli ha detto pubblicamente di essere pronto a disobbedire al presidente Donald Trump se ordinasse un attacco nucleare “illegale”. Ciò è avvenuto pochi giorni dopo che il Senato, per la prima volta in oltre 40 anni, sull’onda delle minacce alla Corea del Nord, ha discusso le prerogative del presidente (che è anche Commander in Chief) in caso di conflitto. Speriamo bene, perché il rischio di un conflitto “per errore” è concreto.
Taiwan
Si tratta di un argomento estremamente sensibile per l’equilibrio in Asia. Riassumo in breve. Nel 1949 quando le truppe di Chiang Kai-Shek sconfitte da Mao si ritirarono nell’isola di Taiwan, Chiang continuò a mantenere il suo seggio all’ONU ed essere l’unico rappresentante riconosciuto della Cina. Molti anni dopo, vista l’insostenibilità della situazione, la “Mainland China” subentrò a Taipei come unico rappresentante riconosciuto della Cina e si instaurò nella politica internazionale il concetto di “una sola Cina” anche se temporaneamente con due governi separati (semplifico molto per brevità). Gli Stati Uniti, pur non avendo più relazioni diplomatiche con Taiwan, si impegnarono a difenderla contro qualunque aggressione di Pechino; Taiwan era troppo importante da un punto di vista commerciale, politico ed anche militare per essere abbandonata al suo destino. Trump, appena eletto e prima di entrare in carica, ruppe questo equilibrio molto instabile ed ebbe una comunicazione telefonica con la Presidente di Taiwan. Di fronte alle proteste cinesi reagì, come abbiamo imparato a capire, in maniera diplomaticamente abbastanza scomposta, arrivando sull’orlo di una grave crisi. Oggi a Taiwan guardano ogni azione di Trump con molta apprensione ed alcune dichiarazioni di questi giorni non hanno bisogno di chiarimenti:
- “Siamo cautamente ottimisti ma ricordiamo agli Stati Uniti di non usare Taiwan come merce di scambio per altri accordi” (Il Ministro delle relazioni con la Cina)
- “Il Presidente Trump ha uno stile abbastanza peculiare di fare politica. Il mio timore è che abbia solo una visione a breve termine. Se non è ben consigliato c’è il rischio che non si renda conto dell’impatto che avrebbe qualunque modifica dei rapporti fra USA e Taiwan nei riguardi della Cina. Meno Trump parla di Taiwan e più ci sentiamo tranquilli” (il Presidente della fondazione per la democrazia a Taiwan).
Durante la visita a Pechino si è parlato di Taiwan, ma Trump ha dato assicurazioni di non voler turbare in alcun modo lo “status quo”
Rapporti bilaterali e problema del Mar Cinese Meridionale
Questo era uno dei punti più sensibili per i cinesi. E’ quello in cui è più evidente lo scontro abbastanza inconciliabile fra le due grandi potenze. Se ricordate, quando vi parlai diffusamente di questo problema, vi dissi in sintesi che il 40% dei commerci mondiali passa attraverso gli stretti ed Obama attribuiva agli Stati Uniti il ruolo di Garanti militari della libera circolazione. La posizione cinese è altrettanto decisa e motivata. L’80% degli approvvigionamenti cinesi di prodotti petroliferi passa per quegli stretti (oltre ad una gran parte dei suoi commerci marittimi) e i Cinesi non possono correre alcun rischio di essere strangolati da una potenza militare che li blocchi. Posizioni inconciliabili ed ugualmente valide quindi.
Durante questa visita, come abbiamo detto ampiamente, non si poteva evidenziare alcun disaccordo e sia Trump che Xi hanno ben recitato la loro parte. Queste sono alcune delle dichiarazioni rese a caldo da fonti autorizzate cinesi:
- Trump si è comportato in maniera moderata e rispettosa del leader e della cultura Cinese. Xi ha reso Trump un Presidente migliore
- Il Camerata Xi e la sua controparte capitalista hanno messo in campo una diplomazia personale fra capi di stato
- “Xi Jinping ha detto che nonostante un grande oceano si frapponga fra Cina e USA, la distanza geografica non ha impedito a due grandi nazioni di camminare a fianco a fianco. Secondo un vecchio adagio cinese, nessuna distanza, neppure grandi montagne e vasti oceani possono impedire a popoli perseveranti di raggiungere la destinazione comune”
- E infine, in maniera più specifica, Xinhua, l’agenzia di stampa ufficiale cinese “ l’oceano Pacifico è grande abbastanza da dare spazio a USA e Cina. La Cina e gli Stati Uniti devono cooperare attivamente in Asia-Pacifico e permettere a sempre più Paesi della regione di inserirsi nel circolo ristretto degli amici di Cina e USA.
Andando però ad analizzare parola per parola le varie dichiarazioni si capisce che non si è fatto alcun progresso reale; anzi qualche volta il disaccordo traspare chiaramente come nella frase pubblicata sul quotidiano ufficiale del Partito Comunista “ Gli Stati Uniti non possono dominare il mondo intero nella stessa maniera in cui dominano il Giappone”.
La prova lampante che nessuno voleva che l’armonia fosse messa in imbarazzo è data dal fatto che alla conferenza stampa congiunta non è stata ammessa alcuna domanda da parte dei giornalisti.
Ma alla fine dei conti quali sono i risultati di questi due giorni sorprendenti ed intensissimi?
Vi cito un estratto dalla comunicazione ufficiale della Casa Bianca.
- Dichiarazioni di Xi Jinping:
- 45 anni fa fa, il Presidente Nixon visitò la Cina riaprendo la porta ai contatti fra Cina e Stati Uniti. Al momento del commiato Nixon disse “Questa settimana ha cambiato il mondo”. Da quel momento, grazie agli sforzi congiunti di varie generazioni di leader e dei nostri popoli, le relazioni Cina-USA hanno registrato un progresso storico di cui hanno beneficiato entrambi; effettivamente è cambiato il mondo;
- Cina e USA una volta erano avversari, poi i loro interessi hanno cominciato gradualmente a convergere.
- Oggi i nostri due Paesi hanno grandi interessi in comune e condividono grandi responsabilità nel mantenimento della pace e dello sviluppo del mondo
- La visita di questi giorni riveste un’importanza storica. In questi due giorni abbiamo studiato a fondo la maniera di sviluppare ulteriormente le nostre relazioni. Entrambi siamo convinti che Cina e Stati Uniti devono rimanere partner e non rivali. Siamo d’accordo che lavorando insieme potremo fare grandi cose a beneficio dei nostri due Paesi e del mondo intero.
- Il diciannovesimo congresso del Partito creerà ulteriori possibilità di cooperazione. Il “sogno cinese” è strettamente legato a quello di tutti i popoli ed i Paesi del mondo.
- Dichiarazioni di Donald Trump:
- Questi due giorni sono stati straordinari. Vogliamo ringraziarvi per la straordinaria ospitalità che ci avete dimostrato fin dal momento del nostro arrivo nel vostro magnifico Paese. Ieri abbiamo visitato la Città Proibita che è il fiero simbolo della ricca cultura e del magnifico spirito cinese. Oggi è stato un onore immenso l’essere ricevuti nella Great Hall of the People. Questo momento da alle nostre nazioni un’opportunità incredibile di accrescere la pace e la prosperità nel mondo intero.
- Mi auguro che lo spirito dei nostri popoli aiuterà i nostri sforzi verso un mondo più sicuro e pacifico.
- Fra un momento assisteremo ad un video di mia nipote Arabella che canta un’antica canzone cinese sulla serena bellezza e le abitudini del vostro Paese. I nostri figli ci ricordano spesso la vera umanità e dignità che condividiamo.
- E stato per noi un grande onore passare questi due giorni con Lei e Sua moglie.
In queste dichiarazioni non c’è assolutamente niente se non l’autocelebrazione dei due personaggi che, come vi ho anticipato era l’unico obiettivo realisticamente raggiungibile.
Chi ha vinto e chi ha perso?
Per capirlo basta leggere le numerose reazioni della stampa cinese ed occidentale.
I Cinesi esultano perché Trump, per merito della politica di Xi Jinping, ha sostanzialmente cambiato il suo atteggiamento, non ha accusato la Cina per il grande deficit dell’interscambio commerciale, ha riconosciuto il supporto che Xi sta dando per la risoluzione del problema Coreano. Trump si è inoltre reso conto che la Cina è una grande potenza e non può essere trattata alla stregua di un piccolo Paese a cui impartire “direttive”
Di tutt’altro tono sono state le reazioni degli osservatori e della stampa Occidentale. Winston Lord è un diplomatico che all’inizio della sua carriera aveva partecipato alla missione di Nixon a Pechino come aiutante di Henry Kissinger, in seguito era stato ambasciatore in Cina e poi assistente del segretario di Stato durante la presidenza Clinton; è stato quindi spettatore di tutte le alterne vicende dei rapporti bilaterali. Egli ha dichiarato al SCMP, primo di un vasto coro, “Donald Trump ha lasciato la leadership globale alla Cina”. Timothy Heath, analista della Rand corporation “Il futuro dell’economia globale avrà in Asia il suo baricentro e gli USA non possono tirarsi indietro.” “Il progressivo declino degli USA facilita la crescita della Cina”. Il New York Times “La Belt and Road initiative, annunziata quattro anni fa e celebrata da molti capi di stato la primavera scorsa, è destinata ad essere la strategia dominante del ventunesimo secolo (rif. varie mie note precedenti)” The Nation “L’alleanza strategica di Pechino con Mosca rende la Russia un ponte essenziale fra l’Estremo Oriente e l’Europa sotto la leadership della Cina. Di fronte a ciò non si capisce cosa realmente proponga Trump, a parte mantenere una sempre più pesante presenza militare nella regione. Abbiamo quindi un Paese che propone un nuovo ordine globale basato su una prosperità condivisa e dall’altra parte un Paese che cerca una conflittualità permanente per giustificare la sua presenza”. E di nuovo il SCMP “L’Asian Infrastructure Investment Bank (vedi mie note precedenti) è oggi partecipata da 80 Paesi di tutto il Mondo (incluso tutti i Paesi Europei) ed è diventata il maggior rivale della Banca Mondiale e dell’Asian Development Bank. Solo due Paesi importanti, USA e Giappone, hanno decido di restarne fuori”.
Di fronte a questa contestazione “globale” hanno meno importanza le altre critiche: non aver menzionato il problema dei diritti umani e quello della protezione della proprietà intellettuale, ed infine non aver ottenuto grandi risultati anche per la riduzione del deficit commerciale.
Conclusioni
Non credo che ci sia molto da aggiungere. La distanza politica e culturale fra le due più grandi potenze mondiali resta immensa e non si potrà ridurre nel breve termine; speriamo solo che la situazione non peggiori.
Una cosa però voglio dire e riguarda l’Europa: essa, per non essere stritolata, deve assumere un suo ruolo forte e definire una sua strategia. Solo realmente unita può raggiungere una massa critica tale da permettere di essere autorevole. Di queste cose però vi ho parlato tante volte ed è inutile dilungarsi ancora. Purtroppo non vedo all’orizzonte nessun Paese e nessun leader politico capace di porsi alla guida di un tale movimento che darebbe di nuovo all'Europa un ruolo significativo
TUTTI CONTRO TUTTI – PARTE SECONDA
Nella prima parte di questa nota ho cercato di delineare la posizione degli Stati Uniti, analisi per altro del tutto aleatoria per quanto riguarda le prospettive future dal momento che le mosse di Trump sono abbastanza imprevedibili anche se le linee generali si cominciano a comprendere.
Oggi cercherò di mostrare le posizioni della Russia e della Cina, per quanto possibile seguendo il punto di vista di quei Paesi.
LA RUSSIA
Comincerò con le parole di Sergej Karaganov con cui ho iniziato la mia analisi e mi riferirò in parte al suo articolo:
“Fra gli anni Cinquanta e Ottanta, il mondo è stato relativamente governabile, con due Superpotenze (USA e URSS) a prendere le decisioni chiave. Quando fu creato uno stabile sistema di mutua deterrenza nucleare, il pianeta divenne pure relativamente sicuro”.
L’Unione Sovietica però a differenza deli USA beneficiò molto poco di questo sistema per l’instabilità interna dei suoi alleati turbolenti e ribelli e per l’inefficienza del sistema economico che non era riuscito ad adeguarsi ad un mondo occidentale in rapida crescita. Ronald Reagan diede l’ultima scossa ad un “mondo sovietico” che stava per crollare al suo interno.
Gli Stati Uniti e l’intero Occidente celebrarono la vittoria definitiva e “la fine della storia”. Il sistema unipolare guidato dagli Stati Uniti e globalizzato sotto il loro capace ombrello, in linea con le loro regole, avrebbe condotto il mondo a una nuova età dell’oro. La Marina americana, l’essenza stessa del potere globale USA, adattò la sua strategia a quello che era il nuovo ordine globale:
PREPARING THE NAVAL SERVICE FOR THE 21ST CENTURY
September 1992
<< The world has changed dramatically in the last two years, and America's national security policy has also changed…
Our strategy has shifted from a focus on a global threat to a focus on regional challenges and
opportunities…..
While the prospect of global war has receded, we are entering a period of enormous uncertainty in regions critical to our national interests. Our forces can help to shape the future in ways favorable to our interests by underpinning our alliances, precluding threats, and helping to preserve the strategic position we won with the end of the Cold War. ……
Our ability to command the seas in areas where we anticipate future operations allows us to resize our naval forces and to concentrate more on capabilities required in the complex operating environment of the "littoral" or coastlines of the earth……..
With the demise of the Soviet Union, the free nations of the world claim preeminent control of the seas and ensure freedom of commercial maritime passage. As a result, our national maritime policies can afford to de-emphasize efforts in some naval warfare areas……….>>
Penso che il senso generale , anche se in inglese, sia abbastanza chiaro a tutti. Sulla base di questa nuova strategia l’aviazione di marina ridusse il campo di operatività da 1200 a 800 miglia marine ed ora, alla luce del nuovo quadro generale sarà costretta a rivedere tutto.
Comunque ritorniamo a noi. L’Europa, sempre dal punto di vista Russo, allargò a dismisura il progetto comunitario, allargando i propri confini, riducendo il ruolo dei singoli Paesi senza però riuscire a creare una singola entità politica ed economica e condannandosi ad un ruolo sempre più marginale. La Russia veniva attaccata in quelli che riteneva i suoi interessi vitali. Il mondo precipitava verso una nuova guerra.
In Russia però, ed io ne ebbi una percezione diretta, fin dalla crisi dell’Unione Sovietica e nei mesi convulsi dell’ultima parte del 1991 che portarono alle dimissioni di Gorbachev, si era costituita una struttura, ultra segreta, che si proponeva di traghettare la Russia verso una nuova era, e ci riuscì.
Sempre da un punto di vista russo, mentre nei primi dieci anni di questo secolo l’Occidente si cullava in quest’ottica di “fine della storia” la governance del mondo andava crollando con la stessa velocità con cui era crollata l’Unione Sovietica. Il gigante Cinese si svegliò e, nell’indifferenza di tutti, si avviò a diventare la seconda economia del mondo ( è già la prima in termini di PPP) Il Medio Oriente si destabilizzò come pure tutto il fianco Ovest e Sud della Russia, con la collaborazione attiva dell’Occidente. La Russia venne attaccata nei suoi interessi storici vitali come l’influenza nei Paesi Baltici e successivamente in Ucraina. Se noi riguardiamo i nostri libri di liceo possiamo ricordare la storia della Crimea, di cultura, tradizioni ed etnia prevalente russe e l’importanza di Sebastopoli come base della flotta Russa del Mar Nero E sappiamo che Kruscev, che era Ucraino, in una notte del 1954 (in cui non era neanche molto sobrio) decise di trasferirla con un tratto di penna dalla Russia all’ Ucraina per celebrare un accordo di vari secoli prima, innescando così polemiche anche violente all’interno della Crimea, prima ancora che ci pensassero gli Occidentali. L’ultima tappa fu l’attacco direttamente alla Russia, con la politica delle sanzioni.
Ma la Russia reagì!
L’accordo economico con la Cina del 2012 neutralizzò l’impatto delle sanzioni, la struttura militare venne ricostruita rapidamente e la struttura economica si sta lentamente adeguando agli standard mondiali.
Putin, il nuovo zar, è diventato in maniera evidente il “ main player” nello scacchiere Medio-Orientale e da lì sta muovendosi anche sull’altra area critica per l’Europa: Il Nord Africa. La portaerei russa che prima era dislocata di fronte alle coste Siriane è stata spostata in prossimità della costa libica, permettendogli di trattare direttamente con i due leaders contrapposti.
Si sta delineando, e concludo con la Russia, un nuovo bipolarismo. Da un lato un’alleanza, ormai stretta, con la Cina per costruire una partnership euroasiatica aperta ai Paesi Europei che possa sfruttare la potenza Russa, i capitali Cinesi e la tecnologia e le capacità economiche europee.
Dall’altra, sotto la guida di Trump, un polo americano. Anche in questo caso la politica del terrore nucleare potrebbe essere un deterrente sufficiente e sarebbe opportuno (secondo Karaganov) che Trump e Putin non procedessero ulteriormente sulla politica di disarmo
<< Ma non sarebbe sicuro affidarsi esclusivamente al fattore negativo del nucleare. – continua Karaganov- Credo ci sia una sola soluzione possibile per un pianeta sempre più instabile e pericolosamente in via di rinazionalizzazione: un «nuovo concerto delle nazioni». Per il momento esso comprenderebbe solo tre vere potenze sovrane e mondiali: Russia, Cina e Stati Uniti. In futuro, potrebbero parteciparvi India, Giappone e alcuni paesi europei, se solo abbandoneranno la fatale «politica estera e di difesa comune» e si sforzeranno invece di coordinarne una.>>
LA CINA
Ho già parlato a fondo della strategia cinese e della loro visione dei rapporti internazionali. In questo contesto voglio solo aggiungere che la Cina grazie alla geografia e all’orografia dei sui confini terrestri ed alla presenza di stati “cuscinetto” (incluso la Corea del Nord) è, e si sente, abbastanza protetta da significativi attacchi terrestri. Diversa è la situazione del confine marittimo a sud e est. Storicamente, e senza andare troppo indietro nel tempo, già le guerre dell’oppio e la guerra sino-giapponese della fine dell’ottocento si risolsero in brucianti sconfitte che le costarono ad esempio anche la perdita di Taiwan, finita sotto il dominio giapponese.
La Cina quindi sente il bisogno assoluto di proteggere quei confini e da qui nascono le isole artificiali di cui vi ho parlato diffusamente e la profonda riforma e il potenziamento delle forze armate, specialmente marina e aviazione. I Cinesi sanno che non potranno mai raggiungere la potenza aeronavale degli Stati Uniti ma devono assolutamente potenziare le loro difese, incluso la capacità missilistica.
Trump e il suo staff, avendo una visione di una Cina in grossa crisi socio-economica, tendono a minimizzare il rischio e ad avere un atteggiamento molto rigido.
Traggo da NCB news del 24 gennaio:
<<In risposta ad una dichiarazione dell’addetto stampa di Trump che gli americani si sarebbero opposti alla politica cinese nel Mar Cinese Meridionale, un alto funzionario del ministero degli esteri cinese ha dichiarato “ Ci possono essere differenze di opinioni sulla sovranità degli scogli e delle isolette di quell’area, ma ciò non deve riguardare gli Stati Uniti”. A ciò è seguita una durissima dichiarazione di Rex Tillerson durante le audizioni per la sua nomina a segretario di Stato. “We're going to have to send China a clear signal that, first, the island-building stops and, second, your access to those islands also is not going to be allowed," - Dobbiamo mandare alla Cina un chiaro segnale che in primo luogo le costruzioni delle isole si devono fermare e poi che il loro accesso a quelle isole non sarà più permesso->> .
La risposta cinese, attraverso il quotidiano Global Times è stata furiosa “La Cina ha determinazione e forza sufficienti per fare in modo che la sua (americana) travolgente marmaglia non avrà successo. A meno che Washington pensi di lanciare una guerra su larga scala nel Mar Cinese Meridionale, ogni altro modo di impedire l’accesso cinese alle isole sarebbe insensato”.
Potrei continuare a lungo questa analisi, ma non aggiungerei niente a questi concetti abbastanza chiari. Secondo me nessuna delle due parti vuole fare la guerra ma l’inesperienza di Trump nei grandi scenari internazionali specialmente nell’area del Pacifico, e la necessità cinese di tenere alto il nazionalismo interno in vista del congresso di questo autunno che dovrà confermare Xi Jin Ping per i prossimi cinque anni (atto sostanzialmente formale) e delineare lo scenario per i successivi cinque (quest’ultimo punto estremamente aperto ed incerto) possono determinare un serio rischio di guerra "per “errore”, ed è un problema molto serio.
Nei prossimi giorno chiuderò questa nota parlandovi esclusivamente della nostra Europa “vista dalla Luna”
TUTTI CONTRO TUTTI
“Fra gli anni Cinquanta e Ottanta, il mondo è stato relativamente governabile, con due Superpotenze (USA e URSS) a prendere le decisioni chiave. Quando fu creato uno stabile sistema di mutua deterrenza nucleare, il pianeta divenne pure relativamente sicuro”. Queste parole sono state scritte da Sergej Karaganov Presidente del Consiglio di difesa e politica russo, sulla rivista LIMES.
Sono parole molto amare, ma oggi vorrei chiedere a me stesso e a voi quanto ci sia di vero in questo concetto e che cosa possiamo sperare, o meglio augurarci, per il futuro.
Gli attori principali sono oggi tre: gli Stati Uniti, la Cina, la Russia. Attorno ad essi si muovono alcuni comprimari: l’Europa, ammesso che abbia una voce e un ruolo o in alternativa la Germania (ma di questo parleremo), il Giappone, l’India, perennemente alla ricerca di un futuro. E poi una miriade di altri: la Korea, Taiwan, le Filippine, le repubbliche dell’Asia centrale, la moltitudine di Stati islamici, quelli Sud Americani.
Si pensava che la “globalizzazione” fra vari svantaggi almeno avrebbe creato un mondo equilibrato ed abbastanza pacificato. Al contrario, siamo di fronte ad un “sovranismo” imperante in cui ciascuno, piccolo o grande, cerca di barcamenarsi per il proprio tornaconto di breve durata o, peggio, per gli interessi privati degli “uomini forti” di turno, ed al potere della più spregiudicata finanza globale che arricchisce pochi, danneggiando l’economia mondiale che avrebbe dovuto creare lavoro e prosperità.
Alcuni appunti per completare il quadro: per la prima volta la percentuale della popolazione mondiale sotto la soglia di povertà “vera” è scesa a meno del 10%. Allo stesso tempo, non si è mai vista nei tempi moderni una tale massa di uomini, donne e bambini che scappano da una parte all’altra del mondo per sfuggire alle guerre o alle persecuzioni senza sapere che, se arriveranno a destinazione ancora vivi, si vedranno confinati in ghetti più somiglianti a campi di concentramento che a luoghi di assistenza e accoglienza e poi ridotti in uno stato di vera e propria schiavitù.
Inoltre il mondo, un secolo fa, contava 1,5 miliardi di abitanti di cui oltre la metà bianchi, e i Cristiani erano circa un terzo. Oggi siamo sette miliardi, i bianchi sono in netta minoranza, e i Cristiani meno di un quarto. Anche di questo cambiamento che, a causa dei diversi tassi di natalità, si muoverà sempre di più in questa direzione, dobbiamo tener conto.
Vorrei cercare di analizzare in grandi linee la posizione dei primi tre attori per poi passare alla nostra Europa. Quest’ultima però, essendo tutti noi (e non solo in Italia) coinvolti più in polemiche da stadio ( o se preferite in battibecchi da cortile) che non in analisi serie e di lungo termine, cercherò di vederla in una prospettiva “dalla Luna” come è il titolo del mio blog. E credo che sarà una sorpresa per voi.
STATI UNITI
All’inizio dell’Ottocento, gli Stati Uniti (appena formatisi e ancora in cerca di una loro identità), mal sopportavano la “spocchia” degli inglesi che erano al massimo della loro potenza imperiale e si attribuivano il diritto di perquisire le navi mercantili americane in alto mare. Nel 1812 quindi dichiararono guerra all’Inghilterra, ancora impegnata nelle ultime fasi delle guerre napoleoniche. Essa ebbe alterne vicende, ma due episodi segnarono la memoria e l’anima degli americani. Una grande vittoria per mare (a fronte di alterne vicende nelle battaglie terrestri) e la presa di Washington da parte degli inglesi che occuparono e incendiarono la residenza presidenziale.
Nei decenni successivi gli Americani completarono l’occupazione di tutto il territorio fra l’Atlantico e il Pacifico ma non dimenticarono il trauma dell’incendio di Washington. Da qui iniziò la strategia, mai abbandonata, di diventare una potenza navale (e successivamente anche aerea) e di non consentire mai agli stranieri di portare la guerra sul territorio americano. Per inciso, il disastro delle Torri Gemelle riportò sul suolo americano un atto di guerra da parte di stranieri per la prima volta dopo il 1812. Ciò non era successo neanche per un attimo nelle due guerre mondiali, che si svolsero totalmente al di là degli Oceani, e questo aspetto ne aumentò a dismisura il trauma psicologico.
Il viaggio del Commodoro Perry in Giappone e Cina con una flotta militare e l’ottenimento di un trattato commerciale con il Giappone (poi rivelatosi abbastanza fittizio) con la minaccia di un bombardamento navale di Tokio (1854) convinsero definitivamente gli americani dell’importanza della superiorità navale, e finalmente, a cavallo del secolo, l’occupazione americana delle Filippine segnò la nascita, anche formale dell’ “impero americano” secondo i canoni di quel tempo.
Sarebbe erroneo però assimilare gli Stati Uniti alle potenze coloniali europee. Già al momento dell’occupazione delle Filippine Burgess sollevò il problema dello status di queste “colonie” e dell’identità geopolitica della nazione americana. Questo dibattito esplose dopo la seconda guerra mondiale, quando l’Amarica si consacrò come la prima potenza mondiale in un sistema duale contro un avversario altrettanto potente e totalmente diverso. Cos’era a spingere l’America ad assumere questo ruolo? La necessità, del tutto capitalistica, di espandere e difendere i suoi commerci, o il demone dell’imperialismo, del Paese forte che diventa sempre più forte e tende a dominare il più debole.
Parlando di America, un’analisi di questo tipo sarebbe incompleta e riduttiva. All’epoca della Guerra fredda si parlava dell’impero del “Bene” contro l’impero del “Male” e noi tutti Europei, memori degli Americani che ci avevano liberato dal gioco nazista, del Piano Marshall che ci aveva rimesso in piedi, e bisognosi di difesa da una possibile invasione dall’Est, eravamo nettamente schierati con l’America. Faceva eccezione una minoranza, che però era molto importante in Italia ma non in altri Paesi Europei, la quale “tifava” per l’altra parte non tanto perché credesse realmente al “paradiso sovietico” quanto perché difendeva esigenze oggettive di giustizia ed equità sociale che erano, e sono, sconosciute nell’altro paradiso, quello a stelle e strisce.
Nel popolo americano è sempre esistita un’anima missionaria, quella di essere portatori del bene e del giusto per definizione.
Nel 1914 Woodrow Wilson, Presidente degli Stati Uniti disse: “Fu come se nella Provvidenza di Dio un continente fosse lasciato intonso e in attesa di un popolo pacifico che amasse la libertà e i diritti degli uomini più di qualsiasi altra cosa, perché venisse ad affermare una comunità non egoistica”.
Ecco il punto, a mio avviso fondamentale, per la comprensione dello spirito americano.
Forse è a causa della storia che determinò la loro nascita e le prime lotte, ma tutti gli americani si sentono i portabandiera della giustizia e della libertà dei popoli.
Ciò che fa l’America è giusto per definizione!
Questo concetto, nonostante la distruzione della civiltà autoctona degli indiani e il razzismo che non è mai stato sconfitto in America, riesce a spiegare anche la negazione di ogni più elementare bisogno di welfare fino ad estremi che sarebbero inconcepibili per noi Europei (ma è un altro discorso che ci porterebbe fuori tema). Una sola volta gli Americani si sono sentiti dalla parte sbagliata della storia: al tempo della guerra del Vietnam, una ferita mai rimarginata nella loro cultura, che traspare addirittura nel celebre musical “Hair” che non era solo una celebrazione della cultura hippy ma un inno al pacifismo. Gli Americani si resero conto in quella guerra di non essere (come nella seconda guerra mondiale) i portatori della libertà, accolti come salvatori al loro ingresso nelle città liberate, ma gli oppressori in una guerra coloniale, che difendevano dittatori corrotti e inetti. Erano gli invasori in una guerra di liberazione nazionale. Chiunque (come me) abbia vissuto in Vietnam per un po’, ad Hanoi come a Saigon, se ne rende conto. Il vero problema dei reduci, che non riuscirono mai più a inserirsi nella vita civile fu proprio questo: essersi resi conto, sulla propria pelle, che gli ideali in cui credevano, e per i quali erano stati mandati ad uccidere e a morire, almeno in quel caso, erano fasulli.
E’ difficile per un Italiano, ormai tendenzialmente cinico e disincantato, capire fino in fondo che gli Americani possano aderire veramente, intimamente a questo concetto quasi religioso, ma è così: gli Americani, la pancia del popolo americano e non in finanzieri che speculano giorno e notte sui mercati mondiali, sono intimamente convinti che ciò che fanno “è intrinsecamente giusto ” . Del resto, all’epoca delle prime crociate folle di persone andavano a combattere in Palestina da tutta Europa al grido di “Dio lo vuole” ignorando tutto ciò che c’era dietro. Ma erano altri tempi.
E’ questa probabilmente la forza degli Americani di oggi.
Quasi trent’anni fa, ero a Disneyland con la mia famiglia, e la sera, dopo una giornata di divertimenti, gli spettacoli si chiusero con dei meravigliosi fuochi d’artificio e con l’Inno Americano, cantato a squarciagola da migliaia di persone. Le ultime parole dell’altoparlante furono un “God bless America” addirittura urlato. Vi immaginate un “Dio benedica l’Italia” a Gardaland? Se non si comprende questo, giusto o sbagliato che sia, non si capisce l’America.
Ma torniamo a noi e alla freddezza dell’analisi da cui spesso mi discosto. La forza della marina Americana è basata sulla loro capacità di avere flotte enormi, indipendenti una dall’altra, dislocate su tutti gli Oceani del Mondo in modo tale che, ovunque ci sia un incidente, anche potenziale, una nave americana possa essere sul posto in meno di 24 ore, anticipata spesso dagli aeroplani decollati dalle portaerei, vere e proprie basi mobili del tutto autonome. Tutto ciò, questo immenso dispositivo militare presente in ogni angolo del mondo, con circa settecento basi sparse dovunque, rende incontendibile l’impero americano, almeno da un punto di vista militare. La stessa Russia è teoricamente capace di una guerra nucleare e di una “capacità di secondo colpo” sufficiente per distruggere il pianeta, ma, al di là di questa catastrofe globale, in una guerra convenzionale, ancora oggi non ha la possibilità di confrontarsi su scala mondiale. A questa capacità gli Americani non rinunzieranno mai.
Gli altri due aspetti dell’impero, il commercio e la finanza, sono invece in crisi e Trump è interprete di questa America, la pancia dell’America, non la East coast e la California ma la parte interna, da nord a sud, che percepisce e teme il mondo che si prospetta. Trump minaccia i fabbricanti di automobili che producono in Messico ma vendono in America creando una crisi nel Mondo operaio di Detroit, Trump minaccia di imporre dazi sui Paesi da cui l’America è importatrice netta, essenzialmente Cina e Germania, in nome di “America first” ma entrambi questi Paesi hanno già dichiarato (se ciò accadesse) di voler denunziare gli Stati Uniti per violazione delle regolale del WTO e, soprattutto la Cina, di imporre altrettanti dazi sulle importazioni americane. In questo settore comunque, a differenza di quello militare, gli USA non sono più dominatori e potrebbero non essere vincenti in una vera guerra commerciale, anche perché difficilmente gli europei si schiererebbero dalla loro parte, anzi cercherebbero di sostituirsi a loro nei lucrosi contratti con la Cina.
Da un punto di vista finanziario è noto che una buona parte del debito americano è in mano cinese. E’ vero che anche questa sarebbe un’arma suicida da parte dei Cinesi che però hanno cominciato ad alleggerire la loro posizione, sostituiti in questo dai Giapponesi che sono diventati da qualche mese il primo Paese detentore di Treasury bonds americani.
L’enorme surplus Cinese si sta quindi rivolgendo allo sviluppo della BRI, la strategia della Via della Seta di cui ho parlato più volte, e allo sviluppo del sistema bancario di supporto di cui ho anche parlato.
Al di là di questo, ovunque l’America si ritiri la Cina avanza. Ne sono un esempio gli accordi per 65 miliardi di dollari complessivi, firmati con l’Arabia Saudita qualche giorno fa durante la visita a Pechino del re Alman Salman bin Abdulaziz.
A breve Xi jing Ping incontrerà Trump in America, ma secondo me i due non si capiranno cme fu con Obama, e dovremo aspettare ancora per sapere cosa in realtà Trump farà.
Mi accorgo di non avere spazio per parlarvi degli altri attori, specie dell’Europa a cui tengo particolarmente e lo farò nei prossimi giorni.
Il sogno di Xi Jin Ping – Parte II
Ci eravamo lasciati con una descrizione generale della strategia cinese dei prossimi decenni. E’ il caso ora di considerarne alcuni aspetti per capirne un po’ meglio le implicazioni.
Ho parlato innanzi tutto di una necessità “nazionale” cinese di sviluppare questo piano, e ciò a prescindere dall’ovvia considerazione di ampliare il commercio e le esportazioni.
Il Nord Ovest della Cina è occupato per larga parte dalla provincia dello Xinjiang (Fig. 1). Essa copre un’estensione grandissima (il 16 % della superficie cinese, oltre cinque volte l’Italia). Allo stesso tempo ha solo 22 milioni di abitanti (meno della citta di Pechino). Sono stato là di recente e anche se i cambiamenti sono evidenti rispetto a trenta anni fa a parte Urumqi, la capitale, che è una città moderna, sembra ancora di entrare in un altro mondo (Fig. 1a) dove nessuno parla inglese e, specie nella parte occidentale, alcuni stentano a parlare cinese. Esistono infatti due etnie prevalenti, gli “Han”, quelli che noi consideriamo i “Cinesi”, che sono il 41% della popolazione, e gli “Uiguri” con il 45%. Il nome stesso della provincia, risalente alla dinastia Qing, vuol dire “Nuova Frontiera”, ma gli “indipendentisti” preferiscono chiamarla Uiguristan o Turkestan Orientale, nomi considerati offensivi dal governo e dall’etnia Han. Kashgar, per esempio, (Fig. 2 e 3) poco distante dal confine è del tutto assimilabile, con le sue moschee e le donne velate, alle città e alle popolazioni degli altri Paesi “…Stan” al di là del confine. E’ una provincia fuori dai circuiti turistici ma geograficamente molto varia. Si va da vette altissime, oltre 8000 metri al confine con il Kashmir, fino ad una delle maggiori depressioni del mondo, a 155 metri sotto il livello del mare. Il lago Tianchi a 2000 metri di altezza (che potete vedere nella foto di presentazione del mio blog) è delizioso, è considerato umo dei punti più belli della Cina e dal 1990 è patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Viaggiando attraverso lo Xinjiang si ha modo di vedere uno dei piò grandi deserti di sabbia del mondo con dune di 100 metri di altezza (Fig. 4) (e arrivano, mi dicono, fino a 300 metri) continuamente in movimento e poi giù di corsa nella grande depressione dove producono una grande quantità di uva ed una meravigliosa uva passa (la Cina è il maggior produttore mondiale e qui se ne produce l’80%) di cui ho fatto incetta, essiccata nelle “Chunche”, (Fig. 5)delle speciali camere con muri forati per far passare il vento. L’irrigazione è assicurata con acque provenienti dai ghiacciai sulle montagne non lontane e trasportata attraverso canali sotterranei antichissimi, visitabili e di interesse estremo.
Ma lasciamo stare questa digressione turistica e torniamo alla politica. Nel 2009 si verificarono scontri violentissimi fra Uiguri ed Han in tutta la provincia, sedati a fatica dalla polizia e dall’esercito. Secondo fonti ufficiali ci furono 156 morti, ma le forze di opposizione continuano a parlare di 600. Il coprifuoco notturno fu imposto per un lungo periodo e talvolta ritorna in alcune aree. Qualunque sia il numero “vero” il governo si rese conto che il problema era molto serio.: era necessario migliorare le infrastrutture e creare una maggior concordia etnica e stabilità sociale. Ciò portò ad una massiccia campagna di investimenti infrastrutturali volti a sviluppare le risorse della provincia (essenzialmente minerarie ed industriali, ma come dicevo, anche agricole), ed a migliorare la connettività dello Xinjiang con il resto della Cina più sviluppata e con i Paesi confinanti..
Tutto ciò dovrebbe servire a debellare “le tre forze del male: terrorismo, separatismo etnico, ed estremismo religioso, e salvaguardare la stabilità sociale”.
In questo contesto si inseriscono la linea ferroviaria Mosca – Pechino, che ha in Urumqi uno snodo fondamentale, e il “corridoio economico Cina –Pakistan” che ha i suoi cardini in Kashgar e nel porto Pakistano di Gwadar. Questa linea, connessa con il resto della Cina sviluppata avrebbe anche il vantaggio di consentire ai prodotti cinesi di aggirare lo stretto di Malacca (come vin ho detto vi passa oltre il 40% del commercio mondiale) diminuendo i rischi di blocco militare americano.
Non posso non menzionare, in questa rapida disamina dello Xinjiang il problema del terrorismo interno e internazionale che ha in quest’area una delle sue basi. E’ un argomento di importanza estrema perché nessuna grande rete di commerci e di trasporti può essere realizzata senza una reale sicurezza. La Cina lo sta affrontando con una serie di accordi bilaterali e multilaterali in maniera molto riservata e questo spiega la sua apparente inesistenza nello scenario delle grandi guerre islamiche, dichiarate e no. Non ci addentreremo in quest’altro argomento che ci allontanerebbe troppo dal filo principale del nostro discorso.
Approfondiamo invece da un punto di vista europeo la problematica della via terrestre la “belt and road initiative, BRI”. Stabiliamo anzitutto una cosa: non si tratta più solamente di un sogno!
Collegamenti regolari, gestiti da società miste europee e cinesi, esistono già fra:
-Yiwu e Madrid,
-Wuhan e Lione,
-Chengdu e Rotterdam
-probabilmente anche altri di cui non sono a conoscenza
Ovviamente tutti questi centri hanno poi le loro diramazioni interne. Chengdu ad esempio è collegato con i porti di Shanghai, Ningbo e Shengzen ( fra i primi dieci al mondo per numero di container gestiti) e poi con il sud delle Cina, Il Vietnam e la Corea.
Altre reti sono già in via di realizzazione come quella che collega lo Xinjiang al porto di Aktau sul mar Caspio in Kazakistan e la linea Yiwu – Teheran, appena terminata. E’ interessante notare che proprio in Iran Italiani e Cinesi lavorano a stretto contatto in questo settore. Infatti Italferr (gruppo FS) ha l’incarico di PMC (project management control per conto dell’investitore) del gruppo cinese China railway Engineering corporation che ha l’appalto per la realizzazione della tratta Teheran – Isfahan.
Un embrione di rete e di traffico regolare già esiste quindi.
C’è da dire che , se il treno accorcia i tempi rispetto alla nave (15-20 giorni contro 30-35 per il trasporto delle merci), a parte i problemi di sicurezza a cui ho accennato esistono problemi tecnici complessi da risolvere, come ad esempio i binari a diverso scartamento fra Russia, Cina ed Europa. Per questo motivo un centinaio di treni ad alta velocità con cambio automatico dello scartamento sono già in costruzione.
Tutto ciò riguarda la parte cinese e dell’asia centrale, ma l’Europa? E l’Italia?
Vi accenno a un lontano passato perché è bene saperlo quando parliamo del presente. E’ assolutamente sorprendente che il Conte Menabrea il 26 giugno 1857 (Cavour Primo Ministro) durante il dibattito per il traforo del Moncenisio dichiarasse in Parlamento (Fig. 6 ) “ Io credo all’avvenire certo dell’apertura dell’istmo di Suez (avvenuta nel 1869, 12 anni dopo), perché sono convinto che l’Europa finirà per capire che è condizione della sua sopravvivenza aprirsi questa via verso le Indie ed il Mar della Cina per controbilanciare la potenza di un popolo rivale che sta crescendo con stupefacente rapidità e sta diventando gigante al di là dell’atlantico (gli USA). Io dico che l’avvenire del nostro Paese è assicurato, che esso arriverà a un grado di prosperità inimmaginabile oggi, perché sarà passaggio obbligato di una gran parte del commercio e del transito fra l’Europa e l’Oriente”
E’ incredibile la lungimiranza con cui quest’uomo prevedeva ciò che sta accadendo oggi e il livello di quegli antichi dibattiti in Parlamento, specie se li confrontiamo con i battibecchi a cui assistiamo oggi alle Camere e nei talk show quando si parla del traforo in Val di Susa.
In tempi più recenti, il libro Bianco di Jacques Delors (1993) ha creato i presupposti politici, economici, e sociali che portarono poi alla definizione delle reti di trasporto trans-europee chiamate “Ten-T” con acronimo inglese. Esse comprendono 9 corridoi prioritari da realizzare entro il 2030. Obiettivo di questa rete è lo sviluppo delle interconnessioni europee, ma essa diventa il naturale complemento e collegamento con la grande rete BRI che parte dalla Cina verso l’Europa. L’Italia è coinvolta in vari progetti, ma ne vorrei citare solamente 1, il progetto N° 6 ( Fig. 7) che dovrebbe costituire uno degli assi principali del collegamento fra la Spagna (e in futuro forse in Nord Africa con il tunnel sotto lo stretto di Gibilterra), l’Europa continentale e, come abbiamo visto, l’estremo Oriente. La tratta italiana di questo progetto è da noi tristemente nota: si chiama traforo in val di Susa! Qualcuno ci ha mai parlato della grandiosità storica di questo progetto? Assolutamente no! e parliamo di un futuro molto più vicino e comprensibile di quello che dibatteva il Parlamento nel 1857.
E il mondo certamente non aspetta noi. Come ho detto prima, il collegamento ferroviario fra la Spagna e la Cina già esiste (anche se ancora “rattoppato”) e passa per il nord Europa. Come è sempre successo negli ultimi 50 anni, l’Italia è in retroguardia!
Al recente convegno del “new railway silk road forum” a Sochi, il sindaco di Madrid Manuela Carmena, nel presentare il presente ed il futuro della mobilità a Madrid, iniziò dicendo in un’intervista “ oggi la mobilità è diventata il quarto fattore per importanza nel processo di integrazione sociale, dopo la casa, la salute, e l’educazione. Deve essere assicurato a tutti il diritto di muoversi liberamente, indipendentemente dall’età, il genere, il reddito, il livello di integrazione e il luogo di residenza. L’obiettivo deve essere sforzarsi per lo sviluppo di un sistema di trasporto che sia universale, equo, accessibile, inclusivo e non discriminatorio.
Il mondo si sta facendo veramente più piccolo nella cultura di tutti e forse Xi Jin Ping ha interpretato questo movimento storico.
E noi? va proprio così male? Non proprio.
Dobbiamo però addentrarci rapidamente in una serie di idee e iniziative. Se guardiamo lo sviluppo urbano mondiale ci rendiamo conto che in Asia, Africa, America Latina e parzialmente in Nord America si è affermato il concetto delle megalopoli, agglomerati urbani di oltre 20 milioni di abitanti fino addirittura all’ipotesi del “Jing-Jin_Ji” in Cina che raggiungerebbe 130 milioni di persone. In Europa, a parte alcuni casi isolati (Londra, Parigi, Madrid in un certo senso) prevale il concetto di città “più umane”, di dimensioni medio – piccole. Cambiare questo modello vorrebbe dire distruggere un’identità, una storia e una cultura millenarie. Abbiamo già parlato del sistema “Ten-T” e dobbiamo ora conoscere il “METR”, acronimo per Middle East, Europe, Turkey, Rome, il network che dovrebbe congiungere le reti di trasporto dell’Europa “allargata” che non approfondiamo qui. Nel 2012 venne lanciata la “MIR Initiative” (Mosca, Istanbul, Roma). Da notare che MIR in Russo significa anche pace, mondo, vision, a simboleggiare il carattere non semplicemente mercantile di questa iniziativa. Il proposito della MIR Initiative è di promuovere a livello locale un grande supporto all’idea del METR e la sua congiunzione e integrazione con l’analogo progetto in Asia di cui abbiamo parlato.
Da qui è nata l’idea di un Forum delle città della nuova Via ferroviaria della seta da tenersi periodicamente nelle varie città dell’Eurasia aderenti al progetto.
La grande importanza di questa iniziativa sta nel fatto che non sono più i governi ma le strutture locali, i cittadini della grande Eurasia a farsi promotori di uno sviluppo epocale che resti basato sulla struttura delle realtà urbane locali strettamente interconnesse però in una rete globale.
150 anni fa i nostri nonni crearono la rete ferroviaria italiana per unire le città di un Paese, l’Italia, ancora in via di formazione, ora è tempo di unire allo stesso modo le città dell’Eurasia.
“LE CITTA’”, è questo il disegno ideale di Piero Fassino quando lanciò a Torino il primo “Forum delle città della via ferroviaria della seta” il 27 novembre 2015, con la partecipazione di 30 città, oggi già diventate 50.
Fassino lanciò (Fig. 8) il concetto di una “metropolitana eurasiatica” le cui stazioni sono costituite dalle città attraversate, e ciò “crea una nuova importante prospettiva che non è solamente trasportistica e commerciale, ma anche sociale, culturale e politica.”
“ in un mondo in cui prevalgono tendenze globalistiche, le città stanno cominciando ad avere come in passato un ruolo centrale a cui dovettero abdicare al momento dell’apogeo degli stati nazionali”
“Oggi torna a galla la fondamentale importanza delle città come centri simbolici di territori più vasti. Esse sono non solo portatrici di bisogni inestirpabili e valori di una dimensione locale in un mondo globalizzato, ma possono diventare protagoniste di processi su larga scala, la “glocalization” combinando i micro e i macro livelli”.
In quell’occasione è stata pubblicata una mappa interattiva di questa metropolitana eurasiatica (Fig. 9) in cui chiunque può estrarre un itinerario, come io ho fatto per il tracciato Torino – Pechino. (Fig. 10)
Il 5 maggio 2016 Torino è diventata la sede permanente europea del Forum,
E’ questo il vero fulcro culturale della Belt and Road Initiative, arricchita dall’input della nostra cultura e delle nostra storia: l’Italia e la Cina portatrici delle più antiche e ricche civiltà al mondo, il “sogno di Xi Jin Ping” del titolo che ho dato a queste note.
Sarà questo il nostro futuro?
Chi guadagnerà e chi perderà in questa nuova prospettiva?
Come cambierà il mondo in seguito a questo interscambio culturale, sociale ed economico?
Si arriverà a una nuova centralità eurasiatica come preconizzò il Conte Menabrea nel 1857?
I più giovani fra noi saranno i protagonisti di questo mondo nuovo ma con radici antiche, se esso si realizzerà
Il sogno di Xi Jin Ping – Parte II
Ci eravamo lasciati con una descrizione generale della strategia cinese dei prossimi decenni. E’ il caso ora di considerarne alcuni aspetti per capirne un po’ meglio le implicazioni.
Ho parlato innanzi tutto di una necessità “nazionale” cinese di sviluppare questo piano, e ciò a prescindere dall’ovvia considerazione di ampliare il commercio e le esportazioni.
Il Nord Ovest della Cina è occupato per larga parte dalla provincia dello Xinjiang (Fig. 1). Essa copre un’estensione grandissima (il 16 % della superficie cinese, oltre cinque volte l’Italia). Allo stesso tempo ha solo 22 milioni di abitanti (meno della citta di Pechino). Sono stato là di recente e anche se i cambiamenti sono evidenti rispetto a trenta anni fa a parte Urumqi, la capitale, che è una città moderna, sembra ancora di entrare in un altro mondo (Fig. 1a) dove nessuno parla inglese e, specie nella parte occidentale, alcuni stentano a parlare cinese. Esistono infatti due etnie prevalenti, gli “Han”, quelli che noi consideriamo i “Cinesi”, che sono il 41% della popolazione, e gli “Uiguri” con il 45%. Il nome stesso della provincia, risalente alla dinastia Qing, vuol dire “Nuova Frontiera”, ma gli “indipendentisti” preferiscono chiamarla Uiguristan o Turkestan Orientale, nomi considerati offensivi dal governo e dall’etnia Han. Kashgar, per esempio, (Fig. 2 e 3) poco distante dal confine è del tutto assimilabile, con le sue moschee e le donne velate, alle città e alle popolazioni degli altri Paesi “…Stan” al di là del confine. E’ una provincia fuori dai circuiti turistici ma geograficamente molto varia. Si va da vette altissime, oltre 8000 metri al confine con il Kashmir, fino ad una delle maggiori depressioni del mondo, a 155 metri sotto il livello del mare. Il lago Tianchi a 2000 metri di altezza (che potete vedere nella foto di presentazione del mio blog) è delizioso, è considerato umo dei punti più belli della Cina e dal 1990 è patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Viaggiando attraverso lo Xinjiang si ha modo di vedere uno dei piò grandi deserti di sabbia del mondo con dune di 100 metri di altezza (Fig. 4) (e arrivano, mi dicono, fino a 300 metri) continuamente in movimento e poi giù di corsa nella grande depressione dove producono una grande quantità di uva ed una meravigliosa uva passa (la Cina è il maggior produttore mondiale e qui se ne produce l’80%) di cui ho fatto incetta, essiccata nelle “Chunche”, (Fig. 5)delle speciali camere con muri forati per far passare il vento. L’irrigazione è assicurata con acque provenienti dai ghiacciai sulle montagne non lontane e trasportata attraverso canali sotterranei antichissimi, visitabili e di interesse estremo.
Ma lasciamo stare questa digressione turistica e torniamo alla politica. Nel 2009 si verificarono scontri violentissimi fra Uiguri ed Han in tutta la provincia, sedati a fatica dalla polizia e dall’esercito. Secondo fonti ufficiali ci furono 156 morti, ma le forze di opposizione continuano a parlare di 600. Il coprifuoco notturno fu imposto per un lungo periodo e talvolta ritorna in alcune aree. Qualunque sia il numero “vero” il governo si rese conto che il problema era molto serio.: era necessario migliorare le infrastrutture e creare una maggior concordia etnica e stabilità sociale. Ciò portò ad una massiccia campagna di investimenti infrastrutturali volti a sviluppare le risorse della provincia (essenzialmente minerarie ed industriali, ma come dicevo, anche agricole), ed a migliorare la connettività dello Xinjiang con il resto della Cina più sviluppata e con i Paesi confinanti..
Tutto ciò dovrebbe servire a debellare “le tre forze del male: terrorismo, separatismo etnico, ed estremismo religioso, e salvaguardare la stabilità sociale”.
In questo contesto si inseriscono la linea ferroviaria Mosca – Pechino, che ha in Urumqi uno snodo fondamentale, e il “corridoio economico Cina –Pakistan” che ha i suoi cardini in Kashgar e nel porto Pakistano di Gwadar. Questa linea, connessa con il resto della Cina sviluppata avrebbe anche il vantaggio di consentire ai prodotti cinesi di aggirare lo stretto di Malacca (come vin ho detto vi passa oltre il 40% del commercio mondiale) diminuendo i rischi di blocco militare americano.
Non posso non menzionare, in questa rapida disamina dello Xinjiang il problema del terrorismo interno e internazionale che ha in quest’area una delle sue basi. E’ un argomento di importanza estrema perché nessuna grande rete di commerci e di trasporti può essere realizzata senza una reale sicurezza. La Cina lo sta affrontando con una serie di accordi bilaterali e multilaterali in maniera molto riservata e questo spiega la sua apparente inesistenza nello scenario delle grandi guerre islamiche, dichiarate e no. Non ci addentreremo in quest’altro argomento che ci allontanerebbe troppo dal filo principale del nostro discorso.
Approfondiamo invece da un punto di vista europeo la problematica della via terrestre la “belt and road initiative, BRI”. Stabiliamo anzitutto una cosa: non si tratta più solamente di un sogno!
Collegamenti regolari, gestiti da società miste europee e cinesi, esistono già fra:
-Yiwu e Madrid,
-Wuhan e Lione,
-Chengdu e Rotterdam
-probabilmente anche altri di cui non sono a conoscenza
Ovviamente tutti questi centri hanno poi le loro diramazioni interne. Chengdu ad esempio è collegato con i porti di Shanghai, Ningbo e Shengzen ( fra i primi dieci al mondo per numero di container gestiti) e poi con il sud delle Cina, Il Vietnam e la Corea.
Altre reti sono già in via di realizzazione come quella che collega lo Xinjiang al porto di Aktau sul mar Caspio in Kazakistan e la linea Yiwu – Teheran, appena terminata. E’ interessante notare che proprio in Iran Italiani e Cinesi lavorano a stretto contatto in questo settore. Infatti Italferr (gruppo FS) ha l’incarico di PMC (project management control per conto dell’investitore) del gruppo cinese China railway Engineering corporation che ha l’appalto per la realizzazione della tratta Teheran – Isfahan.
Un embrione di rete e di traffico regolare già esiste quindi.
C’è da dire che , se il treno accorcia i tempi rispetto alla nave (15-20 giorni contro 30-35 per il trasporto delle merci), a parte i problemi di sicurezza a cui ho accennato esistono problemi tecnici complessi da risolvere, come ad esempio i binari a diverso scartamento fra Russia, Cina ed Europa. Per questo motivo un centinaio di treni ad alta velocità con cambio automatico dello scartamento sono già in costruzione.
Tutto ciò riguarda la parte cinese e dell’asia centrale, ma l’Europa? E l’Italia?
Vi accenno a un lontano passato perché è bene saperlo quando parliamo del presente. E’ assolutamente sorprendente che il Conte Menabrea il 26 giugno 1857 (Cavour Primo Ministro) durante il dibattito per il traforo del Moncenisio dichiarasse in Parlamento (Fig. 6 ) “ Io credo all’avvenire certo dell’apertura dell’istmo di Suez (avvenuta nel 1869, 12 anni dopo), perché sono convinto che l’Europa finirà per capire che è condizione della sua sopravvivenza aprirsi questa via verso le Indie ed il Mar della Cina per controbilanciare la potenza di un popolo rivale che sta crescendo con stupefacente rapidità e sta diventando gigante al di là dell’atlantico (gli USA). Io dico che l’avvenire del nostro Paese è assicurato, che esso arriverà a un grado di prosperità inimmaginabile oggi, perché sarà passaggio obbligato di una gran parte del commercio e del transito fra l’Europa e l’Oriente”
E’ incredibile la lungimiranza con cui quest’uomo prevedeva ciò che sta accadendo oggi e il livello di quegli antichi dibattiti in Parlamento, specie se li confrontiamo con i battibecchi a cui assistiamo oggi alle Camere e nei talk show quando si parla del traforo in Val di Susa.
In tempi più recenti, il libro Bianco di Jacques Delors (1993) ha creato i presupposti politici, economici, e sociali che portarono poi alla definizione delle reti di trasporto trans-europee chiamate “Ten-T” con acronimo inglese. Esse comprendono 9 corridoi prioritari da realizzare entro il 2030. Obiettivo di questa rete è lo sviluppo delle interconnessioni europee, ma essa diventa il naturale complemento e collegamento con la grande rete BRI che parte dalla Cina verso l’Europa. L’Italia è coinvolta in vari progetti, ma ne vorrei citare solamente 1, il progetto N° 6 ( Fig. 7) che dovrebbe costituire uno degli assi principali del collegamento fra la Spagna (e in futuro forse in Nord Africa con il tunnel sotto lo stretto di Gibilterra), l’Europa continentale e, come abbiamo visto, l’estremo Oriente. La tratta italiana di questo progetto è da noi tristemente nota: si chiama traforo in val di Susa! Qualcuno ci ha mai parlato della grandiosità storica di questo progetto? Assolutamente no! e parliamo di un futuro molto più vicino e comprensibile di quello che dibatteva il Parlamento nel 1857.
E il mondo certamente non aspetta noi. Come ho detto prima, il collegamento ferroviario fra la Spagna e la Cina già esiste (anche se ancora “rattoppato”) e passa per il nord Europa. Come è sempre successo negli ultimi 50 anni, l’Italia è in retroguardia!
Al recente convegno del “new railway silk road forum” a Sochi, il sindaco di Madrid Manuela Carmena, nel presentare il presente ed il futuro della mobilità a Madrid, iniziò dicendo in un’intervista “ oggi la mobilità è diventata il quarto fattore per importanza nel processo di integrazione sociale, dopo la casa, la salute, e l’educazione. Deve essere assicurato a tutti il diritto di muoversi liberamente, indipendentemente dall’età, il genere, il reddito, il livello di integrazione e il luogo di residenza. L’obiettivo deve essere sforzarsi per lo sviluppo di un sistema di trasporto che sia universale, equo, accessibile, inclusivo e non discriminatorio.
Il mondo si sta facendo veramente più piccolo nella cultura di tutti e forse Xi Jin Ping ha interpretato questo movimento storico.
E noi? va proprio così male? Non proprio.
Dobbiamo però addentrarci rapidamente in una serie di idee e iniziative. Se guardiamo lo sviluppo urbano mondiale ci rendiamo conto che in Asia, Africa, America Latina e parzialmente in Nord America si è affermato il concetto delle megalopoli, agglomerati urbani di oltre 20 milioni di abitanti fino addirittura all’ipotesi del “Jing-Jin_Ji” in Cina che raggiungerebbe 130 milioni di persone. In Europa, a parte alcuni casi isolati (Londra, Parigi, Madrid in un certo senso) prevale il concetto di città “più umane”, di dimensioni medio – piccole. Cambiare questo modello vorrebbe dire distruggere un’identità, una storia e una cultura millenarie. Abbiamo già parlato del sistema “Ten-T” e dobbiamo ora conoscere il “METR”, acronimo per Middle East, Europe, Turkey, Rome, il network che dovrebbe congiungere le reti di trasporto dell’Europa “allargata” che non approfondiamo qui. Nel 2012 venne lanciata la “MIR Initiative” (Mosca, Istanbul, Roma). Da notare che MIR in Russo significa anche pace, mondo, vision, a simboleggiare il carattere non semplicemente mercantile di questa iniziativa. Il proposito della MIR Initiative è di promuovere a livello locale un grande supporto all’idea del METR e la sua congiunzione e integrazione con l’analogo progetto in Asia di cui abbiamo parlato.
Da qui è nata l’idea di un Forum delle città della nuova Via ferroviaria della seta da tenersi periodicamente nelle varie città dell’Eurasia aderenti al progetto.
La grande importanza di questa iniziativa sta nel fatto che non sono più i governi ma le strutture locali, i cittadini della grande Eurasia a farsi promotori di uno sviluppo epocale che resti basato sulla struttura delle realtà urbane locali strettamente interconnesse però in una rete globale.
150 anni fa i nostri nonni crearono la rete ferroviaria italiana per unire le città di un Paese, l’Italia, ancora in via di formazione, ora è tempo di unire allo stesso modo le città dell’Eurasia.
“LE CITTA’”, è questo il disegno ideale di Piero Fassino quando lanciò a Torino il primo “Forum delle città della via ferroviaria della seta” il 27 novembre 2015, con la partecipazione di 30 città, oggi già diventate 50.
Fassino lanciò (Fig. 8) il concetto di una “metropolitana eurasiatica” le cui stazioni sono costituite dalle città attraversate, e ciò “crea una nuova importante prospettiva che non è solamente trasportistica e commerciale, ma anche sociale, culturale e politica.”
“ in un mondo in cui prevalgono tendenze globalistiche, le città stanno cominciando ad avere come in passato un ruolo centrale a cui dovettero abdicare al momento dell’apogeo degli stati nazionali”
“Oggi torna a galla la fondamentale importanza delle città come centri simbolici di territori più vasti. Esse sono non solo portatrici di bisogni inestirpabili e valori di una dimensione locale in un mondo globalizzato, ma possono diventare protagoniste di processi su larga scala, la “glocalization” combinando i micro e i macro livelli”.
In quell’occasione è stata pubblicata una mappa interattiva di questa metropolitana eurasiatica (Fig. 9) in cui chiunque può estrarre un itinerario, come io ho fatto per il tracciato Torino – Pechino. (Fig. 10)
Il 5 maggio 2016 Torino è diventata la sede permanente europea del Forum,
E’ questo il vero fulcro culturale della Belt and Road Initiative, arricchita dall’input della nostra cultura e delle nostra storia: l’Italia e la Cina portatrici delle più antiche e ricche civiltà al mondo, il “sogno di Xi Jin Ping” del titolo che ho dato a queste note.
Sarà questo il nostro futuro?
Chi guadagnerà e chi perderà in questa nuova prospettiva?
Come cambierà il mondo in seguito a questo interscambio culturale, sociale ed economico?
Si arriverà a una nuova centralità eurasiatica come preconizzò il Conte Menabrea nel 1857?
I più giovani fra noi saranno i protagonisti di questo mondo nuovo ma con radici antiche, se esso si realizzerà
Cosa cambierà con Trump?
Mi ero proposto di non parlare di Trump e della sua possibile politica fino a dopo l’inaugurazione della sua presidenza. Capita infatti molto spesso, e non solo in Italia, che in quest’era di politica spettacolo, dominata dai media e capace di influenzare più la “pancia” che la mente degli individui, ciò che si dice in campagna elettorale sia molto diverso dalla reale politica che si farà quando si avrà una reale responsabilità delle proprie azioni.
“Trump è un uomo d’affari – mi dicevo e mi dico- anche se molto spregiudicato. Sarà quindi capace, quando sarà al dunque, di ponderare bene le sue azioni”
Per converso le sue dichiarazioni confermano buona parte delle linee strategiche che aveva delineato in campagna elettorale. Solo che ora è il Presidente eletto e non più un candidato. Per questo motivo le sue dichiarazioni sollevano reazioni importanti, per lo più preoccupate, negli ambienti internazionali, specie in Estremo Oriente che seguo con particolare attenzione.
L’idea base “rifacciamo grande l’America” sembra quasi un’ovvietà assolutamente condivisibile ma cerchiamo di capire per quello che si può (alla luce delle mie premesse) cosa voglia dire.
Anzitutto rendiamoci conto che l’America non è New York o la California ma quell’enorme territorio posto fra l’Atlantico e il Pacifico e che non si identifica per niente nei due esempi citati. L’Americano medio infatti guarda essenzialmente “dentro” il continente americano e nutre scarso interesse per il resto del mondo. Buona parte degli Americani sono isolazionisti e ci volle il massacro di Pearl Harbour per tirarli dentro la seconda guerra mondiale.
Secondo, come si evince da Fig. 1 che ho riprodotto solo a partire dal 2000, gli Stai Uniti sono un Paese importatore netto di beni. Non è questo il luogo, né ho la competenza, per analizzare l’economia americana, ma è sotto gli occhi di tutti che essa trova la sua forza nelle grandi risorse naturali di cui dispone e soprattutto nel consumo interno. Come corollario di ciò, e della sua anima isolazionista, si arriva a comprendere da dove possano derivare le dichiarazioni di Trump circa la cancellazione di parecchi trattati commerciali internazionali (come ad esempio il TPP di cui avevo parlato in passato) e l’imposizione di durissimi dazi doganali. Si comprende altresì il motivo per cui analoghe dichiarazioni italiane siano del tutto velleitarie visto che il nostro Paese vive (per quello che può) di esportazione ed una rappresaglia sui dazi non ci converrebbe assolutamente (Fig.2).
Nei rapporti con l’Europa, le dichiarazioni di Trump circa il futuro della NATO e la ripartizione dei costi lasciano per ora il tempo che trovano, non perché non siano serie o non possano avere un impatto notevole sul futuro di noi Europei, ma perché noi Europei siamo troppo “vecchi”, cinici e smaliziati per non pensare “lasciamo che si sfoghi per ora, e poi vedremo”.
In Asia però Trump sta creando un vero subbuglio. I Cinesi, ma anche Giapponesi, Coreani, Vietnamiti etc. non riescono a capirlo, prendono estremamente sul serio ogni sua dichiarazione e cercano di prepararsi a reagire. Non è un caso che in questo ultimo periodo, Henri Kissinger, ormai ultra novantenne, sia stato due volte a Pechino per aiutare i massimi vertici del Paese ad interpretare la nuova politica americana. Non dimentichiamo che Kissinger, braccio destro di Nixon per la politica estera fu uno dei massimi artefici del riavvicinamento Cino-americano.
Il problema più evidente e più sensibile è quello di Taiwan. Quando ci fu il colloquio telefonico (non importa chi fece e chi ricevette la chiamata) con la nuova Presidente di Taiwan, i Cinesi ci rimasero molto male, ma cercarono di minimizzare e di considerarla una svista di una persona inesperta di politica internazionale. Il problema nacque qualche giorno dopo con le successive dichiarazioni alla Fox News. Ma facciamo un po’ di storia (estremamente semplificata) per chi non la ricordi. La Cina, fino alla fine della seconda guerra mondiale era governata da Chiang Kai Shek e dal suo partito, il KuoMinTang (fondato da Sun Yan Sen, il padre della patria di tutti i Cinesi, nel 1911). Alla fine della “lunga marcia” e persa la guerra contro Mao Tse Dong, Chang riparò a Taiwan (a mezz’ora di volo dalla costa cinese) con il suo esercito e una gran parte della borghesia Cinese. Da lì continuò a rivendicare la sovranità della R.O.C. su tutta la nazione cinese. Supportato dagli americani ottenne il suo seggio all’ONU ed al consiglio di sicurezza. Venuti meno i motivi strategici di tale supporto, nell’ambito della politica di riavvicinamento fra USA e Cina fortemente sponsorizzata da Kissinger, nel 1971 la Cina venne ammessa all’ONU ed al consiglio di sicurezza, con l’automatica estromissione di Taiwan (e questo fu l’inizio della politica di una-Cina). Quest’ultima, un’isola poco più grande della Sicilia e con circa 23 milioni di abitanti si sviluppò rapidamente con il supporto sia economico che militare degli Stati Uniti e gradualmente a partire dalla fine degli anni ottanta passarono ad un sistema democratico di tipo occidentale prima basato su due partiti (uno dei quali era sempre il vecchio KuoMinTang) e poi tripartitico. Non mi dilungherò oggi nell’analisi dei rapporti politici fra le due Cine a cui dedicherò un post specifico vista la loro complessità, ma mi limiterò a due considerazioni.
Prima: a settant’anni dalla separazione Pechino considera Taiwan come una provincia ribelle; chiama i taiwanesi “compatrioti di Taiwan” e questi entrano in Cina con uno speciale lasciapassare. Parallelamente (ma oggi più tiepidamente) i taiwanesi parlano della Cina come “mainland China”:
Seconda: oggi fra le due Cine esiste una sostanziale interdipendenza economica: due terzi degli investimenti esteri di Taiwan sono in Cina che è il loro principale partner commerciale.
Esiste quindi una situazione estremamente equivoca. Taiwan è riconosciuta solo da una ventina di Paesi al Mondo (fra cui il Vaticano, ma un cambio potrebbe avvenire ormai ogni giorno visti i colloqui riservatissimi in corso) ma intrattiene rapporti commerciali con tutto il Mondo. Non ci sono ambasciate estere (la Cina non accetta che un Paese che riconosca Pechino abbia ambasciate a Taiwan, ma esistono “rappresentanze commerciali” di ogni Paese. Inoltre, gli USA nonostante con il loro riconoscimento siano stai i maggiori artefici del switch mondiale da Taiwan a Pechino, continuano ad armare Taiwan ed a garantire la sua sicurezza contro un attacco Cinese.
E’ quindi una situazione estremamente equivoca e delicata che non può essere trattata alla leggera senza rischiare conseguenze catastrofiche. Un solo ricordo personale vi può dare un’idea di quanto l’argomento sia sensibile. All’inizio degli anni ’90 (mi pare) una notte ero a Taipei in albergo durante un violentissimo temporale. All’improvviso andò via la luce dovunque. Dopo una decina di minuti cominciarono a suonare le sirene di allarme, esercito e polizia erano in strada e vari aerei in volo. Cos’era successo? Un traliccio dell’alta tensione sulla dorsale principale Kaoshiung-Taipei (nord-sud dell’isola) era venuto giù a causa di uno smottamento creando un black out in tutta l’sola. Immediatamente si ipotizzò un attacco cinese e fu lanciato l’allarme.
Del resto, durante la presidenza Clinton (nel 1995), una visita privata negli Stati Uniti dell’allora Presidente di Taiwan determinò un violentissimo show down nello stretto che divide la Cina da Taiwan con sovrabbondanza di mezzi cinesi e due portaerei americane immediatamente schierate a difesa.
Questo il quadro in cui si sono inserite le dicharazioni di Trump. Ma che ha detto? “ …….I don’t know why we have to be bound by a one-China policy unless we make a deal with China having to do with other things, including trade……..” “Non capisco perché dobbiamo rimanere legati alla politica di una-Cina senza contropartite in altri campi come il commercio” ed ha poi proseguito dicendo che gli USA sono stati profondamente feriti dalla svalutazione competitiva dello Yuan, dalla costruzione delle isole artificiali nel mare cinese meridionale (si vedano i miei post sull’argomento) e dal mancato supporto cinese nella questione della Corea del Nord.
La reazione di Taiwan è stata in un primo momento positiva. Solo dopo di sono resi conto di essere stati trattati come merce di scambio in una trattativa molto più vasta che avrebbe potuto preludere ad un totale abbandono di Taiwan al suo destino in cambio di altre soddisfazioni, ed una volta viste le reazioni cinesi, sono molto preoccupati di quello che potrebbe succedere.
La reazione cinese è invece stata violentissima sia da parte delle istituzioni con dichiarazioni pacate ma molto ferme, sia dalla stampa ufficiale del partito. L’ambasciatore cinese a Washington ha dichiarato “Le norme fondamentali degli accordi internazionali non possono essere ignorate e certamente non devono essere viste come merce di scambio. E certamente la sovranità nazionale e l’integrità territoriale non sono oggetto di trattativa. Mi auguro che questo sia chiaro a tutti”.
Vi citerò ora alcuni passaggi che vi possono dare un’idea della situazione. Per lo più derivano dal Global Times, il giornale semi-ufficiale in lingua inglese.
“La politica di una-Cina non è in vendita. (Fig 3) Trump pensa che ogni cosa abbia un prezzo, e, nel momento in cui si possieda una leva opportuna, possa essere comprata o venduta. Se si desse un prezzo alla Costituzione americana, gli Americani sarebbero disposti a “venderla” ed attuare un sistema politico analogo a quello dell’Arabia Saudita o di Singapore? Trump deve imparare a trattare la politica internazionale con modestia, specie le relazioni Cino-Americane……… Se Trump abbandonasse la politica di una-Cina, supportasse pubblicamente l’indipendenza di Taiwan e vendesse ufficialmente armi a Taiwan la Cina non avrebbe alcun terreno di collaborazione con Washington nella politica internazionale e nessuna possibilità di contenere le forze ostili agli Stati Uniti (Korea del Nord?). In risposta alle provocazioni di Trump, Pechino potrebbe offrire supporto ed anche assistenza militare ai nemici degli USA. La politica di una-Cina ha mantenuto pace e prosperità a Taiwan, e, se si cambiasse sistema, si creerebbe una reale tempesta attraverso gli Stretti… La Cina potrebbe non dare più priorità ad una unificazione pacifica rispetto ad una presa del potere militare. Gli USA non hanno alcun controllo sugli Stretti e Trump è “naïve” se pensa di farne un’arma di scambio per ottenere benefici economici……. <Trump> ha un’esperienza minima in campo diplomatico. Non capisce quanto possa essere pericoloso il coinvolgimento degli USA in un argomento così esplosivo”.
Ed in un altro articolo lo stesso giorno (Fig 4) “ La verità è che questo inesperto Presidente-eletto probabilmente non capisce di cosa parli. Egli ha sovrastimato la capacità americana di dominare il mondo e non si rende conto della limitatezza della forza americana nel mondo di oggi………La Cina deve guadagnarsi il rispetto del team di Trump altrimenti sarà duro interagire con Trump nei prossimi quattro anni. Fantasticare di una politica di “appeasement” (ricordate il periodo precedente alla Guerra Mondiale?) non è un’opzione da considerare. Un’altra partita sarà necessaria fra i due Paesi per verificare quanto essi po