7 ottobre 2019
GRETA
Alle 19.26 del 12 dicembre 2015 Laurent Fabius diede l’annuncio “L’accordo di Parigi sul clima è stato adottato!”. Era la prima volta che 196 delegazioni di tutto il mondo, dopo un lungo e difficilissimo negoziato raggiungevano un accordo sulla protezione del pianeta, che fu poi ratificato dai vari Parlamenti. Io vi parlai in dettaglio di questo accordo nella mia nota “Introduzione” nella pagina “Il Clima” di questo sito e ad essa vi rimando per ulteriori informazioni. Il presupposto fondamentale dell’accordo era “Il cambiamento climatico rappresenta una minaccia urgente e potenzialmente irreversibile per le società umane e per il pianeta”. E’ quindi necessaria “la massima cooperazione di tutti i Paesi” allo scopo di “accelerare la riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra”. Si era finalmente riusciti a mettere d’accordo governi, scienziati, economisti e politici di tutto il mondo. Si cominciò a lavorare per mettere in pratica gli enunciati dell’accordo, ma l’argomento scomparve dalle pagine dei giornali e dei social: non faceva più notizia, come sempre per altro in questo mondo interconnesso dove qualsiasi notizia si brucia nell’ambito di qualche giorno. Se ne riprese a parlare quando Trump, a mio avviso per ringraziare gli Stati della “rust belt” che lo avevano portato alla presidenza, decise di uscire dall’accordo con un “ordine presidenziale esecutivo“ di cui vi ho parlato ampiamente nella mia nota “Trump contro tutti” della stessa pagina “Il Clima” . Vi cito una sola frase di questo ordine “ Il Consiglio della Qualità dell’ambiente cancellerà il suo indirizzo intitolato: indirizzo finale a tutti i dipartimenti e le agenzie federali per quanto riguarda le emissioni di gas serra e gli effetti delle variazioni climatiche nel national Environment Policy act” Poi scoprimmo che era una sua abitudine quella di negare e cancellare quanto gli Stati Uniti si erano impegnati con il mondo a fare in numerosi altri trattati da cui è uscito sbattendo la porta. Evidentemente per il Presidente degli USA ogni accordo vale fino a nuove elezioni. Ma non è questo il tema. Anche dopo questa notizia che almeno in teoria metteva fuori dall’accordo uno dei Paesi più importanti, il Mondo si dimenticò di nuovo dell’argomento.
E poi arrivò Greta…
Greta Thunberg è un’adolescente svedese, nata a Stoccolma il 3 gennaio 2003. Il 20 agosto 2018, sorpresa e spaventata dalle eccezionali ondate di calore e degli incendi boschivi senza precedenti che colpirono il suo Paese in quella fine estate, decise di protestare perché la Svezia non faceva abbastanza per applicare appieno gli accordi di Parigi. La sua protesta consisteva nel non andare a scuola e rimanere seduta davanti al Parlamento con un cartello di protesta. La notizia si sparse, anche questa volta essenzialmente per i social e la protesta cominciò a dilagare. Alla fine Greta fu invitata a parlare alla nuova sessione della Conferenza sul clima in Polonia e pronunziò parole di fuoco contro l’egoismo delle classi abbienti e dei potenti, che ignoravano il problema perché nessuno di loro ne avrebbe visto le drammatiche conseguenze: esse invece avrebbero colpito gli adolescenti di oggi. E lanciò un ultimatum, “ La sofferenza di molte persone paga il lusso di pochi… Se è impossibile trovare soluzioni all’interno di questo sistema, allora dobbiamo cambiare sistema….”. Era diventata celebre. Fu invitata a Davos, poi al parlamento europeo e infine al Palazzo di Vetro il 21 e poi il 23 settembre. “Voi ci state tradendo. Ma i giovani hanno cominciato a capire il vostro tradimento. Gli occhi di tutte le future generazioni sono su di voi e se sceglierete di tradirci vi dico che non vi perdoneremo mai”
Fu il terremoto
Ormai giovani di tutto il mondo marciavano pacificamente perché i governi rispondessero alle loro richieste, e i giornali si scatenarono.
The Guardian. Il giornalista paragona le parole di Greta al discorso di Abraham Lincoln a Gettisburg il 19 novembre 1863. Come Lincoln che parlò solo tre minuti, Greta ha sintetizzato il suo discorso in 495 parole, cinque brevi paragrafi recitati con rabbia a stento contenuta “non è venuta a parlarci di un sogno, ma di un incubo”. Come Lincoln, anche Greta parla di eventi di cui ancora, con molta probabilità non abbiamo capito la portata.
New Yorker Greta ha spiegato “Vedo il mondo in maniera differente, da un’altra prospettiva. E’ molto comune fra le persone che vivono nello spettro dell’autismo avere un interesse preciso per qualcosa…. io posso fare la stessa cosa per ore”. Con ciò spiega la sua capacità di studiare e approfondire per ore e ore il problema del clima.
Psychology Today. Greta ha dimostrato chiaramente di essere una leader, e il suo autismo non le sta impedendo di portare a termine quello che si era prefissata.
The New York Times. Il movimento giovanile che si sta battendo per proteggere il nostro pianeta ha dimostrato di avere il potere di destabilizzare media e politici conservatori. I ragazzini non sembrano aver paura di quello che pensano adulti, scettici, negazionisti, e politici scontrosi. “Semplicemente non prestano attenzione ai loro nemici”.
E veniamo in Italia
La Repubblica.(citando un articolo di Bressanini su Le Scienze) il movimento ispirato da Greta ha avuto l’effetto di riportare il cambiamento climatico fra gli interessi principali dell’opinione pubblica . Sarebbe ingiusto pretendere da un’adolescente la padronanza delle complessità del problema, e ancor di più, di tutte le implicazioni economiche, etiche, e di giustizia. Greta ha iniziato qualcosa che non può e non vuole finire da sola.
Il Giornale. “Cara Greta non ti ho rubato proprio niente.” “Non siamo stati, parlo della mia generazione, ladri di sogni ma sognatori che hanno combattuto, e in buona parte sconfitto, la malvagità degli uomini e migliorato il mondo in una corsa a tappe tuttora in corso… Non sarà Greta a rubarci questi meriti e vediamo se i gretini saranno altrettanto capaci”. A supporto delle sue affermazioni Sallusti cita la mortalità infantile dimezzata in quarant’anni e la più che dimezzata percentuale di persone con gravi problemi di nutrizione.
Wired. Cita varie dichiarazioni fra cui Massimo Cacciari “Se continuiamo ad affrontare i problemi alla Greta siamo fritti… Siamo all’ideologia dell’incompetenza”; Giuliano Ferrara “Detesto la figura idolatrica di Greta, aborro le sue treccine e il mondo falso e bugiardo che le si intreccia intorno”; Giulio Tremonti “ Se uno pensa che sia un fatto spontaneo e naturale, forse non ha idea di quale macchina politica e mediatica sta dietro Greta”. E dopo un lungo excursus di commenti, Wired chiosa “ Chi più delle nuove generazioni deve avere a cuore il tema dell’ambiente? Nessuno, perché quel futuro grigio che si prospetta per il pianeta sarà il loro futuro. Un futuro che gli sta sfuggendo di mano a causa delle scelte fatte dalle generazioni precedenti e che loro vogliono riprendersi… Feltri, Ferrara, Cacciari e tutti quegli adulti che criticano l’attivista svedese e il suo movimento sono abbastanza avanti negli anni da essere sicuri di non subire sulla propria pelle gli effetti dei cambiamenti climatici”.
E sempre Vittorio Feltri in un Twitter “ La vocazione delle masse è da sempre quella di dare retta ai pazzi, meglio se criminali come Stalin e Hitler… Quindi non stupiamoci se oggi ha molto seguito una ragazzina goffa che ha finito a mala pena la terza media”.
Chiudo la rassegna stampa con un articolo di Federico Fubini sul Corriere della Sera che ci fa un quadro crudo e impietoso del problema del clima. Già il titolo spiega il contenuto. “Alla generazione di Greta mancano i voti” I paesi ricchi mai come oggi hanno dovuto affrontare tanti problemi e così complessi come oggi. E il clima è uno di essi. Greta dice “Come osate” ma i capi di stato presenti potrebbero rispondere “come osa lei?” I leader mondiali a cui dedica tanto astio, sono stati votati, rappresentano le maggioranze delle loro democrazie. E chi ha delegato Greta a trattarli così? Questo è il senso delle lacrime di Greta. Non solo una guerra fra idee o fra generazioni, ma fra tempi e fra numeri diversi. Prendiamo l’Europa. Ci vivono 512 milioni di persone ma le diverse generazioni non hanno dimensioni paragonabili una all’altra. Nella EU ci sono 137 milioni di persone fino a 25 anni e, togliendo i bambini, solo 39 milioni di elettori; fra 26 e 50 anni sono 171 milioni, tutti di elettori, e fra 51 e 75 anni 153 milioni che hanno tutti diritto di voto. Purtroppo solo il primo gruppo si troverà a dover affrontare le conseguenze di una mancata azione oggi. Per gli altri resta un problema accademico, che non li tocca direttamente. Se però, attenzione, qui sta l’originalità dell’articolo, se non si guarda solo a chi vota, ma al patrimonio di vita residua di ogni individuo, il primo gruppo ha un patrimonio di 9,3 miliardi di anni, molto più di tutti gli altri gruppi messi assieme. Di fronte a questo problema Greta e i suoi pongono una questione diversa: quanto deve contare un singolo voto in democrazia. Per loro uno non vale uno. Non perché i giovani sono più competenti o altro, ma perché il loro patrimonio di vita è più vasto e dovrebbe contare di più. <In altri termini la “proprietà” e la disponibilità del pianeta dovrebbero essere proporzionali a quanto esso sarà utilizzato da chi in esso vive e vivrà> Si può anche ridere ma questa domanda va dritta al cuore dei nostri sistemi politici messi di fronte ai grandi temi del secolo.
Questi sono i vari pareri che si possono leggere sulla stampa internazionale. Cerchiamo ora di analizzare la problematica.
Partirei da un dato di fatto. Vero o falso che sia il problema del riscaldamento globale (e di tutti gli inquinanti perché le due cose sono abbastanza collegate), soltanto gli adolescenti ed i bambini di oggi dovranno affrontare la realtà di domani. Per tutti gli altri è accademia, come stabilire il motivo dell’estinzione dei dinosauri. Dobbiamo porci una serie di domande, le cui principali sono, a mio modo di vedere, le seguenti:
Su una cosa infatti si può essere d’accordo con gli oppositori di Greta e del suo movimento. Lei ha il merito indiscusso di avere messo sotto gli occhi di tutti una problematica di cui è facile dimenticarsi, ma dovremo essere noi, gli adulti di oggi, a trovare le soluzioni se è vero che stiamo andando incontro a gravi problematiche ambientali
1 L’uomo sta provocando un’accelerazione del riscaldamento globale?
Credo che, senza addentrarsi più di tanto nei dettagli del dibattito scientifico, qualcosa si possa dire. E’ innanzitutto vero che la vita del nostro pianeta è costellata di variazioni climatiche estreme. Il pianeta è sempre sopravvissuto, ma non sempre è accaduta la stessa cosa a chi lo abitava. Per esempio i dinosauri non resistettero alla grande glaciazione. Che la Terra, come ci dicono gli scienziati, morirà in un abbraccio mortale con il Sole ci interessa poco, ma i guai in cui potrebbero trovarsi i nostri figli e nipoti (non noi a meno di scontri con asteroidi, o guerre nucleari), almeno quelli dovrebbero interessarci; quindi il campo di discussione si fa più stretto. Noi stiamo uscendo dalla cosiddetta “piccola glaciazione” e il pianeta si sta scaldando molto lentamente, mediamente in circa 2 secoli il riscaldamento è stato 0.7-0-9 °C per secolo, però, a partire dal 1975, la media è 1.5 – 1.8°C per secolo. E’ una fluttuazione secondaria? Può darsi ma in questi ultimi dieci anni centinaia di scienziati di tutto il mondo si sono dedicati a questo problema e il risultato faticoso dell’accordo di Parigi è stato proprio il convincimento che siamo di fronte ad un rischio reale ed imminente che il clima ci ponga di fronte ad eventi estremi sempre più frequenti con picchi di alte temperature sempre maggiori, tifoni o uragani sempre più frequenti e violenti, drammatici cambiamenti delle terre coltivabili, innalzamento del livello dei mari con conseguenze gravissime nelle zone costiere etc.. L’ultima riunione sul clima, in Polonia, non è riuscita a raggiungere un accordo, ma solo a dare delle linee guida, non perché fossero emersi dubbi sulle problematiche, su cui sono concordi la gran maggioranza (97%) degli scienziati, ma perché molti uomini politici, a partire dal Primo Ministro polacco che ospitava la riunione, hanno dichiarato che le misure da prendere sarebbero state troppo gravose per le economie dei loro Paesi. E’ la conferma della spaventosa realtà descritta da Fubini sul Corriere, di cui vi ho appena parlato. Non vale la pena fare sacrifici perché noi che dobbiamo decidere non ne vedremo i frutti. Devo infine aggiungere per obiettività che 500 scienziati prevalentemente europei hanno scritto una lettera al Segretario generale dell’ONU. “There is no climate emergency” è l’incipit della lettera. Essi scrivono “ E’ peraltro crudele e imprudente sostenere la perdita di trilioni di dollari sulla base di modelli così imperfetti. Le attuali politiche climatiche indeboliscono inutilmente il sistema economico, mettendo a rischio la vita nei Paesi a cui è negato l’accesso all’elettricità permanente a basso costo. Vi invitiamo a seguire una politica climatica basata su solida scienza, realismo economico e reale attenzione a coloro che sono colpiti da costose e inutili politiche di mitigazione” E poi invitano Gutierrez a organizzare assieme a loro, l’anno prossimo, un incontro costruttivo di alto livello fra scienziati “di fama mondiale” di entrambe le parti del dibattito sul clima.. Questo convegno “renderà effettiva l’applicazione del giusto e vecchio principio di buona scienza e giustizia naturale secondo il quale le due parti devono poter essere ascoltate in modo completo ed equo. Audiatur et altera pars”. Non so voi, ma io sono rimasto sconcertato da questa lettera. Ma dov’erano negli ultimi dieci anni questi scienziati? Ci sono stati decine, probabilmente centinaia di convegni sull’argomento; sono stati esclusi dal partecipare? Non credo proprio. E allora perché lanciano questo messaggio devastante quando almeno si è raggiunto un consensus internazionale sui fatti e il problema è oggi: chi paga? E se sono veramente tanti, e così autorevoli, come mai non hanno innescato il problema direttamente parlando all’assemblea generale dell’ONU? Greta si è esposta in prima persona a denigrazioni anche molto pesanti sulla stampa di tutto il mondo, e loro? Propongono un convegno nel 2020, che poi ritarderà, si costituirà una commissione di studio che deciderà di approfondire con nuove indagini…., e nel frattempo che succede? Se hanno torto e si perdono ancora degli anni per tentare di raggiungere un obiettivo già oggi difficilissimo ne risponderebbero in qualche modo? Esiste un momento in cui si deve arrivare a una decisione e questo momento è ora.
2 Su che basi si può decidere chi se ne deve far carico?
E’ questo il problema chiave, e secondo me c’è un errore culturale di fondo. Tutte le classifiche di emissioni di CO2, ma più in generale di inquinanti, diffuse dalla stampa sono basate su suddivisioni esclusivamente di blocchi politici: gli USA, la Cina, il Giappone, e nel nostro caso? Dobbiamo considerare Roma, il Lazio, l’Italia, l’Europa o cosa? Perché devo porre a confronto con l’Italia gli Stati Uniti e non, che so io, la Virginia o la California, e perché la Cina e non lo Shandong, o il Guandong? Come vi farò vedere, i risultati sono molto diversi. Secondo me invece anche se la quantità totale di gas serra serve ad individuare dove si deve intervenire almeno in prima approssimazione, il parametro di confronto più equo per stabilire chi deve farsene carico prevalentemente è quello di valutare le emissioni di un Italiano, un Americano (USA), un Canadese, un Giapponese, un Cinese etc. Perché penso questo? Per il semplice motivo che ogni individuo su questa terra avrebbe diritto ad aspirare ad avere le stesse possibilità di sviluppo economico, le stesse infrastrutture, la stessa elettricità, le stesse possibilità di riscaldarsi d’inverno e proteggersi dal caldo eccessivo in estate, le stesse possibilità di conservare il cibo in modo tale che non deperisca eccessivamente etc. Credo che nessuno di voi che mi leggete possa pensare che esistano persone di serie A e persone di serie B solo perché hanno avuto la ventura di nascere in USA piuttosto che in Polonia o in Uganda.
E allora vediamo alcuni dati che ho ricavato dall’IEA, International Energy Agency, riconosciuta come una delle più autorevoli realtà al mondo sull’argomento.
Eccovi i dati di emissioni di CO2 da combustione, con l’esclusione quindi di quelli di origine biologica come ad esempio quella prodotta nei grandi allevamenti di bestiame (in milioni di ton di CO2 nel 2016) del Mondo e di alcuni Paesi : Mondo 32314, Cina 9059, USA 4833, India 2079, Fed. Russa 1439, Giappone 1147, Germania 732, S. Korea 589, Canada 541, Brasile 417, S. Africa 414, Australia 392, UK 371, Turchia 339, Italia 326, Francia 293 etc.
Come vedete, l’Italia da un contributo pari all’1% delle emissioni globali; perché mai quindi dovrebbe far qualcosa? Già è diverso se consideriamo la EU. Essa con 3192 MT contribuisce per il 9.87% delle emissioni ed è il terzo più grande emettitore di CO2 al mondo. In quest’ottica dovrebbe fare veramente molto. Se poi consideriamo i Paesi del G20 (26100 MT) essi danno un contributo pari all’81.2% del totale. Secondo questo tipo di statistica avremmo già deciso che le 20 economie maggiori del mondo dovrebbero farsi carico di risolvere il problema.
Ma andiamo avanti e consideriamo i dati pro-capite che in un certo senso danno la misura del benessere delle singole persone nel Mondo (sempre nel 2016). Le sorprese sono notevoli.
Il valore pro-capite del mondo in Kg CO2 è pari a 4350, che quindi si può considerare il valor medio di riferimento,
Kuwait (e quasi tutti i Paesi arabi) 22253, Australia 16003, USA 14945, Canada 14912, Korea 11497, Taiwan 10982, Olanda 9226, Fed. Russa 9067, Giappone 9035, rep. Ceca 9598, Germania 8884, Finlandia 8284,Belgio 8106, Irlanda 7873, Polonia 7628, S. Africa 7412, Austria 7195, Cina 6569, UK 5653, Italia 5372, Francia 4381, Marocco 1568,Ghana 453, Kenya 324,Tanzania 191.
Da questo punto di vista la lista dei cattivi è abbastanza diversa. Se facessimo la classifica relativamente alle emissioni di tipo “residenziale” i risultati sarebbero ancora diversi. Infatti, a fronte di un valor medio pari a 254 i Paesi più spreconi sono Belgio, 1387, Irlanda 1249, Germania 1062, Canada 1006, UK 1002, USA 871.
Come potete ben vedere le azioni da fare dovrebbero essere un mix di miglioramento tecnologico dei sistemi industriali, specie di quelli che inevitabilmente verranno realizzati in futuro, assieme però a dispositivi legislativi per evitare che in certi Paesi le emissioni “domestiche” siano 20 volte maggiori della media dei Paesi Africani, includendo anche Paesi relativamente in condizioni migliori come il Sud Africa e l’Egitto. Sradicare le “cattive abitudini” è però molto difficile e nessun partito vuole perdere voti. Ritorniamo quindi di nuovo all’analisi di Fubini. E i Paesi poveri?
3 Possiamo togliere il diritto allo sviluppo dei Paesi più poveri?
Parto dall’editoriale di Sallusti che è un ottimo spunto. “ Un milione e ottocentomila bambini muoiono ogni anno nei Paesi in via di sviluppo a causa di …condizioni igieniche inadeguate… Non è una strage del progresso…parliamo di persone ancora non toccate dal progresso…in sintesi da tutto ciò che Greta vorrebbe mettere all’indice con la sua retorica da professorina… Ciò nonostante, le generazioni che Greta non perdona qualcosa hanno fatto… La mortalità infantile in quegli stessi Paesi nel 1980 era del 20%, oggi è pressoché dimezzata…prova che è il progresso…che può togliere l’uomo dal degrado ed evitare le catastrofi… Il progresso inquina? Certo, ma le nostre generazioni sono state capaci di passare dal fuoco al carbone ai pannelli solari in cent’anni… La mia generazione …sono stati sognatori che hanno combattuto e in buona parte sconfitto la malvagità degli uomini e migliorato il mondo…” E’ a mio parere un’analisi condivisibile ma le conclusioni sono errate. Sarebbe impossibile, oltre che disumano, un taglio proporzionale delle emissioni, o, peggio, ridurre parzialmente le emissioni dei Paesi sviluppati e bloccare la crescita di quelli in via di sviluppo. Del resto già l’accordo di Parigi, prevede (almeno in teoria) un supporto tecnologico ed economico ai Paesi poveri . E’ indiscutibile che la crescita di un Paese sia strettamente legata al consumo di energia per la sua industrializzazione, i trasporti, e una salubre vita domestica. Quasi dieci anni fa presentai una relazione a un convegno dei Paesi dell’Africa sub-sahariana proprio su questo argomento. Presentai dei dati sulla mortalità legata alla mancanza di energia elettrica specie nelle zone rurali, e alla necessità di cuocere i cibi usando biomassa in fuochi accesi all’interno delle capanne con i fumi di combustione che fuoriuscivano dal classico buco in alto. Dimostrai che la quantità di gas inutilizzato e bruciato in torcia negli impianti industriali della Nigeria sarebbe stata sufficiente a risolvere sostanzialmente il problema (a parte la difficoltà e il costo per distribuirlo). Analogamente feci vedere come ci fosse una sola ferrovia ad un solo binario che collegava l’Africa centrale all’Angola con danni notevoli ad entrambe le economie. Con questo voglio dire che non si può bloccare lo sviluppo dei Paesi che avranno in futuro sempre più bisogno di energia (anche per la grande natalità) ma questo non è in contrasto con il movimento di Greta. Lei, con grande coraggio, ha rilanciato un problema gigantesco. Spetta ad altri, uomini di governo, economisti, scienziati, trovare la soluzione.
4 E allora cosa fare?
La IEA, di cui vi ho parlato, pubblica ogni hanno il World Energy outlook. Ovviamente costa, e non poco, ma è possibile scaricare dal sito web alcuni rapporti particolari o quelli non recentissimi. In particolare il World Energy outlook del 2015 è scaricabile gratuitamente dal sito web ed è una miniera di informazioni. Si tratta di un libro di 700 pagine (ovviamente in inglese) che in maniera chiara e molto esaustiva fornisce il quadro della situazione e le prospettive di sviluppo anche alla luce di quelle che ci si aspettava sarebbero state le conclusioni dell’accordo di Parigi di pochi mesi dopo, di cui si conoscevano già i trend generali e le posizioni dei vari Paesi.
Esso andrebbe letto assieme a una special issue del 2016 (anch’essa gratuita) che tiene conto proprio degli accordi di Parigi.
Non è compito di questa nota affrontare in dettaglio le possibili soluzioni, ma solamente di indicare alcuni capisaldi. Teniamo innanzitutto presente che il problema dei gas serra non può essere disgiunto dall’altrettanto grave problema degli inquinanti in senso stretto che causano 6.5 milioni di morti premature ogni anno perché si rischierebbe di mettere in piedi misure per ridurre l’inquinamento che potrebbero far aumentare i gas serra e viceversa
Molto, a costo zero, e riassumibile in una sola parola: documentarsi. Io vi ho indicato due libri ma ne esistono un’infinità. Fatevi una vostra opinione libera da preconcetti e soprattutto da egoismi generazionali. Quasi tutti voi che mi leggete ed io stesso per primo, per questioni di età non siamo personalmente toccati da ciò che succederà. Anzi, qualunque azione che verrà intrapresa (se verrà intrapresa) avrà per noi un costo sia in termini economici che per la necessaria rinunzia ad abitudini e comodità che fanno parte della nostra vita. Abbiamo dovuto abituarci (non tutti per la verità) alla raccolta differenziata dei rifiuti domestici, dovremo migliorare la coibentazione delle nostre case, dovremo abituarci ad avere case meno surriscaldate d’inverno e meno gelide d’estate, dovremo cambiare le nostre abitudini in termini di mobilità (siamo arrivati a quasi un’autovettura a persona etc. Ne vale la pena? Da un punto di vista individuale, certamente no. Siamo nati nel dopoguerra e ce lo ricordiamo; perché dovremmo rinunciare alle “comodità acquisite”?. Semplice, perché lo dobbiamo ai nostri figli. Non siamo i padroni del pianeta ma semplicemente degli ospiti che lo abitano per un ridottissimo periodo. Lasciamo le stanze che occupiamo nel mondo almeno nelle stesse condizioni in cui le abbiamo trovate alla nascita. E faccio un auspicio per primo a me stesso: siamo onesti con noi stessi nel valutare la situazione e le sue prospettive. Sulla stampa e sui social possiamo trovare opinioni opposte, evitiamo di scegliere semplicemente quella che ci torna più comoda. Se poi siamo convinti e abbiamo buona volontà, cerchiamo di spiegare le nostre convinzioni ai nostri conoscenti senza nessun imbarazzo.
TRUMP CONTRO TUTTI
Il 28 marzp u.s. il Presidente Trump, nel firmare un atto della massima importanza per gli Stati Uniti e per il Mondo disse ”Amici, l’azione che sto per fare oggi eliminerà ogni interferenza federale, ridarà libertà economica e permetterà alle nostre imprese e ai nostri lavoratori di competere ed avere successo per la prima volta dopo tanti anni. E durerà a lungo, non sto parlando solo degli otto anni <del mio mandato> ma per molto di più………Io voglio esprimere la mia riconoscenza alle persone veramente incredibili sul palco dietro di me, i nostri incredibili minatori di carbone……… Noi abbiamo già eliminato una devastante regolamentazione anti-carbone, ma questo è solo l’inizio………Con l’atto esecutivo di oggi, io sto facendo un passo storico per eliminare le restrizioni alla produzione di energia in America, per invertire le interferenze governative e per cancellare i regolamenti che tolgono posti di lavoro ….Tutti noi insieme daremo inizio ad una nuova rivoluzione energetica che stabilirà la produzione energetica americana sul suolo americano……..Noi vogliamo produrre i nostri beni qui, invece di importarli….Noi sbloccheremo la produzione di gas, petrolio ed energia da scisti bituminosi che generano posti di lavoro. Noi produrremo carbone americano per alimentare l’industria americana. Noi trasporteremo l’energia americana con oleodotti e gasdotti americani, fatti con acciaio americano. …….
E’ un discorso che ribalta completamente la strategia fin qui seguita dal Presidente Obama ed è in completa violazione dei obblighi liberamente presi (ma non in maniera vincolante) dagli USA nell’aderire al trattato del COP 21.
L’ordine esecutivo, emesso come una misura per promuovere l’indipendenza energetica e creare nuovi posti di lavoro prende a bersaglio una serie di provvedimenti ambientali indirizzati a combattere le variazioni climatiche, e specialmente il “Clean power plan”, punto centrale della strategia del Presidente Obama per combattere il riscaldamento globale (fig 1). Alcune direttive hanno effetto immediato, come la fine della moratoria sulle nuove concessioni per miniere di carbone su terreno federale, mentre altre, come la revisione del “Clean power plan”, richiedono una serie di azioni che potrebbero durare anni .
Più in dettaglio, l’ordine presidenziale dice in sintesi:
In virtù dell’autorità a me conferita dalla Costituzione e dalle leggi degli Sati Uniti d’America, si ordina quanto segue:
“E’ interesse nazionale promuovere uno sviluppo pulito e sicuro delle vaste risorse energetiche nazionali, evitando oneri regolamentari che bloccano la produzione di energia, pongono vincoli allo sviluppo economico, e impediscono la creazione di posti di lavoro. Inoltre uno sviluppo prudente di queste risorse naturali è essenziale per assicurare la sicurezza geopolitica della nostra Nazione”
“E’ inoltre nell’interesse nazionale assicurare che l’energia elettrica nazionale sia economicamente conveniente, affidabile, sicura e pulita, e che essa possa essere prodotta da carbone, gas naturale, materiale fissile, ed acqua, oltre a sorgenti rinnovabili.”
“E’ inoltre decisione politica degli Stati Uniti che tutti i dipartimenti esecutivi e le agenzie immediatamente revisionino i regolamenti esistenti che creano oneri allo sviluppo o all’uso delle risorse energetiche nazionali, e che sospendano, revisionino o abroghino in maniera appropriata, tutto ciò che indebitamente contrasta lo sviluppo delle risorse energetiche nazionali al di là di quanto necessario a proteggere l’interesse pubblico o sono in esecuzione di una legge specifica.”
……..
“Entro 45 giorni dalla data di questo ordine, i Capi di ogni agenzia devono preparare e sottoporre all’ autorità competente ( OMB Director) un piano per eseguire quanto richiesto ….. ed entro 120 giorni una bozza di rapporto finale…. Il rapporto dovrà includere specifiche raccomandazioni che, in accordo alle prescrizioni di legge possano ridurre o eliminare gli aspetti di competenza che creino oneri alla produzione di energia nazionale”
………..
“ I seguenti atti presidenziali sono abrogati” e segue una lista di ordini presidenziali emessi da Obama in materia di contrasto alle variazioni climatiche e alle emissioni di gas serra.
….
Il Consiglio della Qualità dell’ambiente cancellerà il suo indirizzo intitolato “ indirizzo finale a tutti i dipartimenti e le agenzie federali per quanto riguarda le emissioni di gas serra, e gli effetti delle variazioni climatiche nel National Environment Policy act”
Segue l’ordine più importante
“ L’Amministratore dell’Environmental protection Agency (EPA) farà immediatamente tutte le mosse necessarie per allineare il “Clean Power Plan” alle direttive inserite in questo ordine presidenziale ed ogni regolamento emesso in forza dell’ordine stesso”
….
“Il gruppo di lavoro interdipartimentale sui costi sociali dei gas serra viene sciolto e tutti i documenti da esso emessi vengono immediatamente ritirati”
….
“Il segretario agli Interni farà tutte le azioni necessarie ed appropriate per modificare o ritirare gli ordini attualmente in vigore e per eliminare tutte le moratorie sulla concessione di terreni federali relative alla produzione di carbone”
“ Dovrà essere revisionato il regolamento intitolato “ Settore Petrolio e Gas naturale. Standard delle emissioni per le sorgenti nuove, modificate, o ricostruite”
………….
Firmato
Donal Trump
Come si vede, il Nuovo Presidente da una sterzata totale alla politica di Obama, il quale, consapevole degli enormi rischi legati alle variazioni climatiche ormai innegabili, aveva posto gli Stati Uniti assieme alla Cina, alla guida di un processo mondiale volto ad un serio tentativo di modificare la tendenza generale che porterebbe rapidamente ad una catastrofe mondiale.
Anche se Laurence Tubiana, il capo delegazione francese per l’accordo di Parigi del 2015 si è dichiarato ottimista che gli altri Paesi confermeranno, anzi rafforzeranno la loro determinazione, è innegabile che il cuore dell’accordo di Parigi sia stato l’accordo preso nel 2014 fra Obama E Xi Jinping di tagliare drasticamente le loro emissioni e che la nuova posizione degli Stati Uniti darà forza a tutti quelli che nel mondo si oppongono per i motivi più vari al COP 21.
L’API (American Petroleum Institute), si pone invece sulla sponda opposta con una dichiarazione del suo Presidente ”La direttiva firmata oggi dal Presidente Trump è un passo importante per aumentare la competitività americana e darà un grande contributo al raggiungimento degli obiettivi dell’economia e della sicurezza nazionale”, Bisogna anche dire che un gruppo di Stati (come ad esempio New York e la California) hanno dichiarato di fare ogni sforzo in loro potere per bloccare queste decisioni.
E’ opinione abbastanza diffusa che ci vorranno anni prima che l’EPA possa modificare sostanzialmente il Clean Power plan anche se Scott Pruitt, nuovo amministratore dell’EPA, prima della sua nomina, nella sua qualità di Attorney General dell’Oklahoma si era costantemente opposto alle decisioni dell’organizzazione che adesso presiede. Pruitt, il mese scorso ha dichiarato alla CNBC che non è vero che l’anidride carbonica sia il principale fattore delle modificazioni climatiche, con ciò contraddicendo la maggioranza delle ricerche climatiche. L’EPA comunque ha già cancellato una norma per cui tutte le aziende impegnate in perforazioni petrolifere devono denunziare ogni dispersione di metano, un gas serra molto più potente dell’anidride carbonica.
Chiudo con due segnali di speranza che questa direttiva si riveli una mossa propagandistica più che pratica.
Primo. Donald Trump durante la campagna elettorale aveva promesso ripetutamente che avrebbe rivitalizzato l’industria del carbone, e negli Stati tradizionalmente minerari come West Virginia, Kentucky e Pennsylvania superò sonoramente la Clinton, ma esperti di entrambi gli schieramenti politici sostengono di non vedere alcuna possibilità per Trump di creare posti di lavoro nell’industria del carbone, il cui declino attribuiscono essenzialmente alle forze del mercato. Dieci anni fa metà dell’energia elettrica americana era prodotta da centrali a carbone ma da allora il gas è diventato estremamente più competitivo da un punto di vista economico, ed inoltre il carbone risulta perdente rispetto alle energie rinnovabili in buona parte degli Stati Uniti. Anche Stati conservatori come il Texas stanno adottando sempre di più energie rinnovabili e non inquinanti.
Secondo. A differenza degli altri ordini presidenziali sostanzialmente abrogati da Trump, il Clean power plan (l’atto più importante) non può essere cancellato con un tratto di penna. Infatti, la Corte Suprema Americana ha dichiarato in passato che l’EPA deve regolamentare i gas che contribuiscono alle variazioni climatiche o fornire una motivazione scientifica per non farlo. Ora, l’EPA si è mossa esattamente in senso contrario nel 2009 quando emise un documento che adoperava argomentazioni scientifiche per spiegare i pericoli causati dalle emissioni di anidride carbonica. Una modifica di tale posizione dovrà quindi essere basata su solidissime basi scientifiche che presumibilmente scateneranno per lungo tempo grosse battaglie.
E del resto Trump, nonostante le sue affermazioni in campagna elettorale non ha ancora dichiarato di uscire dall’accordo di Parigi.
INTRODUZIONE
Non si può oggi osservare il Mondo senza rendersi conto che stiamo assistendo a (e determinando) una trasformazione che potrebbe avere un impatto enorme e drammatico per le generazioni future.
Sto parlando delle modificazioni del clima.
Guardando indietro alla storia del nostro pianeta ci accorgiamo che periodicamente, nelle varie ere geologiche, periodi “bollenti” si sono alternati a gigantesche glaciazioni, interi continenti sono emersi dal mare o si sono spostati. Tutto ciò si è verificato in maniera naturale direi, perché il nostro pianeta è una cosa assolutamente viva e mutevole che ha una sua esistenza indipendente da noi. Talvolta i cambiamenti sono stati determinati da catastrofi planetarie, come il gigantesco meteorite o asteroide che colpì il Messico. In ogni caso questi fenomeni hanno determinato violenti e rapidi mutamenti delle specie viventi. Basti pensare alla sparizione dei dinosauri!
Oggi vediamo un aumento graduale e continuo della temperatura media del pianeta, lo scatenarsi di fenomeni metereologici violentissimi in aree geografiche che ne erano immuni come lo stesso bacino del Mediterraneo. In parallelo si registra un aumento dei cosiddetti “gas serra” nell’atmosfera, delle poveri sottili (PM10, PM5 etc.) e di altri agenti inquinanti che, secondo l’opinione prevalente degli scienziati, sono all’origine di questi cambiamenti. Essi porteranno, sempre secondo l’opinione più accreditata, a significative variazioni climatiche, al progressivo scioglimento dei ghiacciai, specie quelli polari, all’innalzamento del livello dei mari con conseguente sommersione di una buona parte delle zone costiere e delle piccole isole etc.
Niente di sconvolgente da un punto di vista geologico; è già avvenuto in passato. C’è una differenza però. Per la prima volta questo sconvolgimento è determinato da noi, dalla razza umana, non dalla natura. Scompariranno intere specie della flora e della fauna come le conosciamo. Anche questo niente di nuovo, ma anche noi, la razza umana, facciamo parte della fauna come tutti gli animali viventi. Probabilmente non verremo estinti come i dinosauri, si raggiungerà un nuovo equilibrio, ma quale? Nessuno può prevederlo.
E allora? Le varie conferenze sul clima diedero scarsi risultati fino al COP 21 l’anno scorso a Parigi dove per la prima volta si raggiunse un accordo. Il risultato positivo fu dovuto essenzialmente al fatto che per la prima volta i due Paesi che maggiormente contribuiscono all’emissione di gas serra e delle polveri sottili, gli Stati Uniti e la Cina, decisero che era giunto il momento di affrontare seriamente il problema. Questo accordo quindi, almeno speriamo, potrà essere il punto di partenza di un cammino “virtuoso” per evitare ciò che, secondo alcuni scienziati, è una “catastrofe annunziata”.
Ma in che consiste questo accordo e quali sono i suoi elementi essenziali?
Sono andato a cercarlo, lo ho trovato sul sito delle Nazioni Unite e l’ho letto con attenzione. Come tutti gli accordi o i contratti internazionali è un documento estremamente noioso e pieno di tecnicismi che cercherò di riassumervi.
Sono presenti, come in tutti gli accordi, una serie interminabile di premesse; ve ne esplicito alcune.
Si riconosce che le variazioni climatiche sono un motivo di preoccupazione per tutto il genere umano. Le Parti (tutti i firmatari dell’accordo) nell’attivare ogni azione volta a mitigare i problemi climatici, dovranno tener presenti i diritti umani, i diritti alla salute, i diritti delle comunità indigene, dei migranti, dei bambini ed i diritti allo sviluppo dei popoli.
Si riconosce il bisogno di una risposta efficace alla sfida urgente che viene posta dal cambiamento climatico sulla base delle più avanzate conoscenze scientifiche;
Si riconoscono le necessità specifiche e le circostanze particolari dei Paesi in via di sviluppo, specialmente quelli più vulnerabili ai problemi posti dal cambiamento climatico;
Si riconosce che non solo i cambiamenti climatici ma anche le risposte che la comunità internazionale potrà dare potranno creare a loro volta problemi a singoli Paesi.
L’accordo si basa sul riconoscimento e sul rispetto dei bisogni specifici e delle situazioni particolari dei Paesi meno sviluppati con particolare riguardo agli strumenti finanziari ed al trasferimento delle tecnologie necessarie. Si riconosce in particolare l’assoluta priorità di salvaguardare la lotta alla denutrizione ed alla fame del mondo;
Si prende atto in maniera particolare dell’importanza di assicurare l’integrità degli ecosistemi (inclusi gli oceani), della protezione della biodiversità, considerata in alcune culture come “Madre Terra”, e del concetto di “giustizia climatica”;
Si ritiene essenziale la partecipazione a tutti i livelli dei governi e degli attori coinvolti nei vari Paesi, nel pieno rispetto delle legislazioni nazionali
Tutto ciò ( e molto altro) premesso, le Parti concordano quanto segue, e si entra nel corpo di 29 articoli ed un’infinità di commi, di cui vi riassumo solo alcuni concetti essenziali.
L’obiettivo principale è quello di aumentare la risposta mondiale ai cambiamenti climatici. Ciò si realizza “nel mantenere l’aumento della temperatura media mondiale significativamente al di sotto di 2 °C di aumento rispetto al livello preindustriale, facendo uno sforzo per mantenere tale aumento al di sotto di 1.5°C rispetto al livello preindustriale. Si riconosce che tale obbiettivo potrebbe ridurre significativamente il rischio e l’impatto del cambiamento climatico.
E’ questa una clausola di estrema importanza perché anzitutto mette la parola fine ad ogni “negazionismo” circa l’esistenza e gli effetti negativi del cambiamento climatico. Fissa inoltre un obbiettivo minimo (2°C) ma in maniera realistica suggerisce un altro valore (1.5°C) che secondo gli scienziati sarebbe quello giusto. Nel far ciò non pone alcuna pressione sulle Parti, e questo si evince dalle parole specifiche dell’accordo “pursuing efforts” e non “utmost efforts” o “best efforts” che avrebbero un ben altro peso nella contrattualistica internazionale, specie anglosassone.
Per realizzare l’obiettivo è anche necessario creare un flusso finanziario volto alla riduzione dell’emissione di gas serra.
Le Parti si danno l’obiettivo di raggiungere il picco di emissioni di gas serra (ed iniziare la riduzione di essi) quanto prima. Si riconosce che i Paesi in via di sviluppo avranno bisogno di un tempo maggiore.
Ogni Parte dovrà definire e comunicare i valori specifici di target che intende raggiungere e la maniera in cui pensa di farlo. Deve altresì dare comunicazioni periodiche dei livelli raggiunti. Tali programmi ed i loro sviluppi saranno raccolti in un apposito registro a cura del segretariato
E’ anche questo un concetto fondamentale perché crea i presupposti per non limitarsi ad una semplice dichiarazione di intenti ma ad un vero piano d’azione che ogni Paese si deve dare liberamente (senza possibilità di costrizioni esterne) ma poi è obbligato a mantenere nell’ambito di una necessaria flessibilità.
Le Parti si impegnano a collaborare attraverso lo scambio di informazioni, la ricerca scientifica ed il supporto tecnico e finanziario da parte dei Paesi sviluppati a quelli in via di sviluppo, con particolare riguardo ai più poveri ed alle piccole isole che dovranno affrontare più degli altri Paesi gli effetti negativi del cambiamento climatico. Si dovrà avere una cura particolare nell’accesso all’informazione da parte di tutti (Paesi e singoli individui) in maniera da creare uno sforzo globale a livello planetario.
Esiste poi, come ovvio, tutta una serie di clausole procedurali.
In chiusura si stabilisce che questo accordo è stato fatto a Parigi il dodici dicembre 2015: esso è aperto per la firma dei Paesi aderenti presso la sede delle Nazioni Unite a New York dal 22 aprile 2016 al 21 aprile 2017. Esso entrerà in vigore tredici giorni dopo la data in cui sarà ratificato almeno da 55 Paesi che rappresentino almeno il 55% stimato delle emissioni globali di gas serra.
Ogni Parte potrà ritirarsi e recedere da questo accordo in ogni momento dopo almeno tre anni dalla sua entrata in vigore, con apposita notifica formale. Tale recesso avrà effetto dopo un anno dalla data della notifica.
Un’ultima considerazione sul complesso dell’accordo.
E’ sicuramente il massimo che si potesse fare. E’ estremamente positivo che si riconosca che il mondo è in pericolo e che bisogna fare qualcosa in maniera coordinata perché gli sforzi di singoli Paesi sarebbero assolutamente inutili. E’ altrettanto positivo che si sia stabilito il fatto che i Paesi avanzati si impegnino a supportare da un punto di vista tecnologico/tecnico, economico e finanziario quelli in via di sviluppo. E’ infine positivo e realistico il fatto che ogni Paese debba liberamente stabilire il suo programma di messa in atto dei principi stabiliti e la maniera di farlo, ma che si impegni a mantenere il suo programma e a darne evidenza. Tutto l’accordo è infine pervaso dal concetto che i Paesi sviluppati si impegnano a supportare in ogni maniera quelli in via di sviluppo specie quelli più a rischio e con gravi problematiche di fame, emigrazione, fenomeni metereologici estremi etc.
L’aspetto negativo, per altro a mio avviso inevitabile, è che non esiste alcuna sanzione esplicita, e credo neanche implicita, per chi non rispetti i propri impegni liberamente assunti.
Che è successo poi?
Il 5 ottobre 2016, 94 Paesi hanno ratificato l’accordo raggiungendo il limite minimo necessario per l’entrata in vigore di esso. La data ufficiale di entrata in vigore è quindi il quattro novembre 2016.
Questo è l’accordo e penso che sia essenziale saperne qualcosa per potersi poi orientare e capire cosa succederà negli anni futuri.
Ma non è solo questo il tema di oggi. Diamo invece una rapidissima occhiata a questi benedetti gas serra (greenhouse gases o GHG): che cosa sono, come sono prodotti?
Come vediamo in fig. 1 si tratta per il 90% di anidride carbonica, mentre il 9% è metano ed infine l’1% è protossido di azoto. La gran massa dei dati disponibili si riferisce all’anidride carbonica (CO2) quindi normalmente ci si riferisce ad essa. Vediamo inoltre che i GHC sono creati per il 75% dalla produzione di energia (in senso molto lato) e da altre attività industriali; l’11% viene generato in agricoltura, mentre il restante 14% nasce da altre attività non-industriali legate al territorio.
Chi sono i “grandi inquinatori”? La fig. 2 si riferisce solo alla CO2 ed alla produzione di energia. I valori assoluti non identificano quindi il totale di GHG emesso ogni anno all’atmosfera ma esemplifica molto bene le tendenze ed i rapporti. Possiamo immediatamente vedere che i maggiori produttori sono la Cina, gli USA, l’Unione Europea, la Russia, l’India ed il Giappone. Come vedremo dopo, da essi, ma essenzialmente dai primi tre ed in futuro anche dall’India, dipendono i destini del mondo, almeno dal punto di vista climatico.
Due domande sorgono spontanee.
La prima, molto egoistica: perché dobbiamo considerare l’Unione Europea come un singolo blocco? Visto che in Europa siamo Stati indipendenti e sovrani, parliamo di Italia, Francia, Germania etc. Come si può vedere in Fig. 3 l’Italia ha una produzione assolutamente marginale di CO2 (0.94%). Perché allora dobbiamo fare sforzi e complicarci la vita? Non saremo certo noi a cambiare il mondo! La risposta, almeno per chi “guarda il mondo dalla luna” è ovvia: perché allora dobbiamo considerare gli USA come un singolo Paese e non piuttosto la California, l’Illinois, il North Dakota, la Virginia etc. Se disaggregassimo i dati in questo modo, ci accorgeremmo immediatamente che l’Italia non è più marginale ma da un contributo pari a molti Paesi (in questa nuova accezione) e certamente superiore a quello che possono dare Hunnan, Liaoning, Sichuan o le altre Province della Cina.
Possiamo quindi considerare l’Italia da sola o come parte dell’Unione Europea ma dobbiamo essere coerenti. Se confrontiamo l’Italia con la Virginia diventiamo grandi inquinatori. Ovviamente, da un punto di vista giuridico siamo uno Stato sovrano quindi le misure, i piani di intervento etc. di cui si parla nell’accordo di Parigi, devono essere quelli italiani.
Seconda domanda: nello stabilire i sacrifici da fare, ha senso, pur con i chiarimenti di cui sopra, parlare di Paesi e non piuttosto di “individui”? E’ questo un grande problema, direi “il problema”. Per spiegare la mia opinione devo partire dalla dichiarazione dei diritti dell’uomo approvata nel 1948 dai Paesi aderenti all’ONU.
Art.1 “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti.”
Art. 25 “Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute ed il benessere proprio e della sua famiglia….”
La convivenza civile è fondata su questi criteri. E qui nasce “il problema”. Guardiamo la Fig. 3 nella sua parte destra. Scopriamo che in India, ogni “persona” produce 1.8 T di CO2. La stessa “persona” in USA produce 16.5 T di CO2. Come mai? Chiunque abbia viaggiato un po’ o abbia visto documentari geografici, conosce come si vive a Calcutta o. peggio ancora, nelle campagne di alcuni stati dell’Unione Indiana. Sappiamo tutti anche che in molte case americane si vive a 16°C in estate e 24°C in inverno (il sovvertimento delle stagioni). Conclusione: il miglioramento giusto, e comunque inevitabile, delle condizioni di vita in India porterà sicuramente ad un aumento della loro produzione pro capite di GHG, anche considerando i miglioramenti della tecnologia; e sono un miliardo di persone! Analogamente sarà difficile convincere gli americani che si può vivere (ed anche benissimo) tutto l’anno a 23°C
In un prossimo futuro entrerò nel merito di quello che si pensa di fare, o almeno che si potrebbe fare, per raggiungere l’obbiettivo che ci si è proposti e che tutti noi dovremmo considerare un nostro dovere individuale. Mi baserò essenzialmente (come ho fatto oggi) sui dati della IEA, della CIA, dell’ONU e dell’Unione Europea.
Ultimi commenti
23.11 | 15:42
Grazie, leggo sempre con piacere i tuoi articoli.
19.09 | 17:02
O.K. !!!
31.05 | 14:33
Grazie a te. So bene che i miei articoli sono abbastanza "pesanti" e quindi talvolta noiosi
31.05 | 13:16
Notevole questo articolo del 30 maggio. Attendo con impazienza il seguito tra un mesetto! Grazie Nino per il tempo che dedichi a provare a colmare la nostra immensa ignoranza. A presto.