17. mar, 2019
Chiedo scusa e chiarisco subito, giacché si tratta di un pilastro fondamentale della politica Cinese. Lo faccio riassumendo in maniera sintetica (senza commenti) una presentazione fatta da dirigenti del “Silk Road Fund” a cui ho partecipato poco meno di due anni fa. <fine 2013>
Si tratta di una strategia di sviluppo commerciale e politico lanciata dal governo cinese nel 2013 (e quindi all’inizio del mandato di Xi Jin Ping). Essa fa riferimento al “New Silk Road Economical Belt” che collegherà la Cina e l’Europa attraverso l’Asia Centrale ed Occidentale e la “21st century Maritime Silk Road” che collegherà via mare la Cina con il Sud Est asiatico, l’Africa e l’Europa. Si tratta in pratica di una riedizione della storica “Via della Seta” aggiungendo anche una via marittima. In fig. 1 vengono indicati i tracciati principali, anche se poi essi vengono di volta in volta aggiustati.
Entrambi i tracciati indicano le principali linee di sviluppo della Cina per integrarsi e aumentare la sua influenza nell’economia mondiale. Molti dei Paesi attraversati da queste rotte hanno già rapporti economici e politici consolidati con la Cina, che devono essere ulteriormente rafforzati, mentre negli altri è necessario un forte sforzo di penetrazione.
L’itinerario terrestre
La nuova “via della Seta” parte da Xi’An nella Cina centrale, si muove ad Ovest attraverso Lanzhou, e quindi ad Urumqi e Khorgas nello Xinjiang, al confine con il Kazakhstan. Da lì si muove a Sud Est attraverso l’Asia centrale fino all’Iran settentrionale, quindi ad Ovest attraverso Iraq, Siria, e Turchia. Da Istanbul attraversa il Bosforo e va in direzione dell’Europa attraverso la Bulgaria, la Romania, la repubblica Ceca, e la Germania, piegando anche ad Est per includere (con una certa forzatura) la Russia. Da Duisburg, in Germania, va a Rotterdam per finalmente approdare a Venezia, la meta finale, dove la via terrestre si congiungerà con quella marittima. Devo dire che degli sforzi verso tutti questi Paesi sono stato attore (eccetto l’Iran) o testimone (l’Iran). Ho quindi potuto vedere direttamente quanto seriamente sia presa questa strategia.
L’itinerario marittimo
Esso comincia formalmente a Quanzhou (nella provincia del Fujian) anche se in realtà il punto di partenza è Shanghai. Passa da Canton, Beihai e Haikoun (Hainan) di cui parleremo a proposito delle contese con il Vietnam e poi si dirigerà verso lo Stretto di Malacca (altro punto critico di cui abbiamo già parlato). Quindi Kuala Lumpur (Malesia) il Sud Est Asiatico, Calcutta, e l’oceano Indiano fino a Nairobi, in Kenia. Lungo la rotta c’è anche lo Sri Lanka di estrema importanza strategica per la Cina anche se non viene indicato in questa mappa. Da Nairobi si gira intorno al Corno d’Africa, si naviga nel Mar Rosso e si entra nel Mediterraneo. Uno stop ad Atene e traguardo finale di nuovo a Venezia. Paradossalmente l’influenza cinese lungo questa rotta è più nota a noi Occidentali di quanto non sia quella terrestre. Ad esempio tutti conoscono la presenza cinese in Africa, e l’aumento della presenza cinese nella gestione del porto del Pireo è stato di recente su tutti i giornali..
Background politico.
Cito senza commenti. “Bringing in strategy”: attirare investimenti e tecnologie estere in Cina. “Going out strategy”: incoraggiare le società cinesi ad espandersi all’estero. La combinazione delle due strategie spiega in estrema sintesi il concetto di “One belt and one road strategy”.
“Coesistenza pacifica”. L’economia mondiale non è “a somma zero” e questa strategia è tesa a realizzare la politica “win-win” che è da sempre in testa a tutte le dichiarazioni pubbliche cinesi,
“Risolvere l’eccesso di capacità produttiva cinese”. Vi risparmio i numeri ma è noto a tutti il problema dell’eccesso di capacità produttiva cinese in molti settori come ad esempio quello dell’acciaio. In molti segmenti dell’industria pesante il 30% degli impianti produce in perdita.<oggi, 2019, la produzione si è ridotta grazie alla chiusura di molte acciaierie vecchie e inquinanti>
“Espandere e diversificare le importazioni”. La Cina dipende dall’Estero per gran parte delle risorse naturali e tecnologiche.
Benefici per la Cina
La politica del “One belt, One road” supporta l’area di libero mercato a guida cinese (FTAAP), che si contrappone alla Trans-Pacific partnership (TPP) a guida americana
Benefici per il mondo
La Cina ha avuto una crescita economica imprevedibile e gigantesca negli ultimi 20 anni. E’ opportuno che i dividendi economici di questa crescita vengano condivisi a beneficio di tutti ( Cina inclusa)
Questa strategia favorirà l’aumento dei commerci internazionali sulle due rotte. La Cina supporterà, finanzierà e parteciperà a una serie di investimenti infrastrutturali nel settore di ferrovie, porti ed aeroporti. Un esempio noto a tutti è il porto del Pireo, un altro meno noto è la ferrovia Belgrado-Budapest, mentre è poco noto che un gruppo cinese si era offerto di finanziare e partecipare all’investimento di un aeroporto intercontinentale in Sicilia. Inoltre una delle più grandi linee aeree cinesi aveva pianificato un volo diretto con la Sicilia per incrementare il flusso turistico cinese. Neanche a dirlo, questa iniziativa in Italia, che io sappia, è morta sul nascere.
La Cina possiede una quantità enorme di riserve in valuta estera ed ha organizzato una struttura deputata a gestire finanziamenti e investimenti per sostenere questa strategia. I capi fila di questa organizzazione sono il “Silk road fund” autore di questa presentazione e l’ “Asia Infrastructure Investment Bank” (AIIB). Quest’ultima in particolare è una banca di sviluppo multilaterale per finanziare progetti infrastrutturali nell’Asia-Pacifico. All’inizio i Paesi partecipanti erano Cina (di gran lunga il maggior azionista e finanziatore), Pakistan, India, Singapore e Vietnam. Oggi è partecipata da una cinquantina di Paesi fra cui tutti i maggiori paesi europei (inclusa l’Italia) e si contrappone alle altre organizzazioni finanziarie internazionali quali il “Fondo Monetario Internazionale” (IMF), la Banca Mondiale, e la Banca Asiatica di Sviluppo, che in Cinesi considerano troppo lente, burocratiche e soprattutto dominate da interessi Americani, Europei e Giapponesi.
Credo a questo punto di aver dato un’idea di questo “One belt and One Road” che indica quanto ormai sia ormai globale la politica di sviluppo Cinese. Il confronto (e mi auguro non lo scontro) con la parallela politica americana è evidente ed inevitabile.
E torno alla mia domanda inziale di questa sezione: e l’Europa? Che ruolo e che futuro ha l’Europa? E soprattutto: in questo scontro gigantesco ed epocale esiste un ruolo per i Paesi Europei presi singolarmente (facendo a meno dell’Europa) o sarebbero stritolati?
Oggi questo interrogativo domina i dibattiti interni in tutti i Paesi dell’Unione Europea, ma chiediamoci: abbiamo noi e tutti i nostri uomini politici informazioni sufficienti per prendere decisioni che potrebbero determinare la nostra storia per i prossimi secoli o siamo guidati dalle nostre emozioni o, peggio, da interessi di bottega. Non dimentichiamo che dopo 4000 anni di storia in cui il mondo cinese e quello occidentale (in passato era l’Europa) hanno vissuto parallelamente solo sfiorandosi ed ignorandosi a vicenda, oggi si sono incontrati e si stanno confrontando. Il Mondo intero ne sarà influenzato; cerchiamo tutti di capirne di più e contribuire a decisioni che, quali esse siano, influenzeranno non tanto noi, ma certamente i nostri figli e le generazioni future.
Il sogno di Xi Jin Ping
Mesi addietro, in una delle mie prime note avevo citato le parole di Deng Xiao Pjng " evita la luce, coltiva l'oscurità ". In ossequio a questi dettami, la Cina, tenendosi defilata agli occhi del mondo, aveva impostato e realizzato la sua crescita tumultuosa, che l’ha portata a diventare la seconda potenza economica mondiale.
Xi Jin Ping, già all'inizio del suo mandato e per i motivi che abbiamo già analizzato, si è trovato nella necessità di assumere quel ruolo che i suoi predecessori avevano cercato di rinviare finché possibile, e lo ha fatto in grande stile fin dai primi giorni del suo mandato.
Fin dall'inizio Xi si è mosso su due direttrici: la "rinascita del popolo cinese" che a suo dire porterà la Cina a diventare il leader mondiale in un contesto multiculturale in concomitanza col centenario della fondazione della Repubblica popolare cinese (2049). Questo concetto ha una valenza culturale più che economica gigantesca e ne parlerò specificamente in una prossima nota.
Oggi analizzeremo insieme gli sviluppi del secondo aspetto di cui vi ho già parlato in passato.
Dunque, nella primavera del 2013 Xi lancia il programma " one belt, one road" (oggi ufficialmente chiamata Belt and road initiative, BRI ). Pochi mesi dopo annunzia la "one belt, one road marittima" e successivamente ne delinea le linee guida operative, lancia il fondo economico, ed infine nel gennaio 2016 istituisce la Asian Infrastructure Investment Back -AIIB- che ne fa da complemento pratico. Da un punto di vista storico culturale ristabilisce i collegamenti commerciali con l'impero romano e con la grande cultura occidentale che caratterizzarono il periodo di maggior fulgore della storia cinese.
In occidente si fatica a comprendere la svolta epocale che questa strategia vorrebbe imprimere alla struttura stessa del mondo del futuro e si tende a considerarla da un punto di vista meramente politico ed anche militare. Essa invece ha una valenza essenzialmente economica e prova a cambiare sia la Cina e la sua struttura interna, come pure l'asse del mondo.
Salto subito alle conclusioni e poi cercherò di darne una spiegazione. L'economia del mondo antico era basata per noi sul bacino del mediterraneo. Le line economiche e culturali si muovevano al suo interno. Pochi audaci si muovevano a commerciare con un mondo lontano e sconosciuto che era l’India e l'impero cinese.
La scoperta dell'America segnò nel 1492 un primo cambiamento dell'asse economico e in seguito politico occidentale. I commerci si spostarono nell'Atlantico, prima verso l’America meridionale e poi, con lo stabilirsi delle prime colonie, embrioni dei futuri Stati Uniti, in Nord America. Altre potenze emersero e poi decaddero: la Spagna, il Portogallo, fino all'affermarsi dell'Inghilterra che dominò gli oceani e fondò il suo impero globale. Le guerre mondiali, di origine europea (specialmente la prima) segnarono la decadenza delle potenze europee e l'affermarsi degli Stati Uniti che con il Piano Marshall stabilirono la loro leadership economica, politica e militare sul Mondo intero. Ritornerò su questo punto che si cita spesso in contrapposizione con la strategia di Xi Jin Ping.
Nasce l'APEC che segna l'affermarsi dei Paesi che si affacciano sul Pacifico nella politica e nell'economia mondiale.
In poche righe ho riassunto la storia del Mondo, in maniera necessariamente semplificata e tralasciando una quantità di elementi fondamentali.
Che cosa propone oggi la Cina? Niente di meno che spostare sull'Eurasia l'asse del mondo. È questo il vero sogno su cui si fondano i concetti di "one belt, one road". Se poi consideriamo che il Pacific Rim resta comunque una realtà imprescindibile e mettiamo insieme i due concetti, arriviamo a delineare (guardate un planisfero) alla fine una Cina come "ombelico del mondo": a sinistra l'Eurasia e a destra le Americhe. Questo dovrebbe essere, nei sogni di Xi Jin Ping, il nuovo ordine mondiale, destinato a cambiare per prima cosa la Cina stessa (la rinascita cinese) e poi il mondo intero, globalizzato e multiculturale.
E' un concetto realistico? un'utopia impossibile? una reazione di estrema debolezza della Cina prima del collasso finale come dicono alcuni? Il riposizionamento al centro del mondo delle grandi culture storiche (mediterranea e cinese) come dicono altri, non contestando comunque il ruolo economico ed essenzialmente militare che continueranno ad avere gli USA, in un contesto però MULTI CENTRICO che metterebbe da parte l'eredità della seconda guerra mondiale? Mah! Ogni opinione è possibile.
Gli attori in gioco, oltre la Cina, sono almeno altri due, vale a dire gli Stati Uniti e la Russia, senza contare l'Europa che comunque andranno le cose non potrà evitare di esserne coinvolta.
Gli USA hanno storicamente considerato la Cina come un gigante continentale, ripiegato su se stesso e alla fine del suo ciclo storico. Dopo la crisi delle tigri asiatiche, nel 1997, quando i Cinesi bloccano la corsa alla svalutazione competitiva e la crisi mondiale guadagnandosi l'ingresso nel WTO, gli USA si resero conto che il nano politico stava diventando un gigante economico, ma pensarono di poterlo integrare sotto il capace ombrello americano che regolava l'ordine mondiale. Obama si rese conto che non era così, ipotizzò per un attimo un G2 e subito dopo lanciò la politica del "pivot to China" e la politica di contenimento. Da quello che sembra, l'amministrazione Trump e una parte dell'opinione pubblica americana stanno ipotizzando che la Cina sia una tigre di carta, destinata a collassare da sola per l'incapacità di trasformare la sua economia, per sconvolgimenti sociali dovuti alla distribuzione ineguale della ricchezza fra la parte sud orientale e quella nord occidentale del Paese, per la sua debolezza militare inadeguata ad assumere un ruolo globale (per la soverchiante forza aeronavale americana). Anche l'enorme quantità di debito americano conservato nelle casseforti cinesi sarebbe un'arma spuntata per l'impossibilità di usarla senza portare al suicidio la loro stessa economia. Da tutto ciò deriverebbe (l condizionale è d'obbligo) la strategia americana di forzare il gioco, adoperando tutte le carte disponibili, a partire dal concetto di "only one China" che Trump mise in dubbio prima ancora di iniziare il suo mandato, fino alla possibile imposizione di barriere doganali. <nota del 2019, non sono un indovino, era prevedibile> L'obiettivo ultimo non sarebbe di provocare il collasso definitivo, ma di far capire in maniera definitiva alla Cina e al mondo che l'America è troppo forte per poterla sfidare. L'unico rischio, e alcuni ambienti americani se lo pongono concretamente, è la perdita del controllo e la possibilità che la Cina decida di “vedere le carte" con un'opzione militare su basi locali. Ciò porrebbe gli americani di fronte ad un dilemma terribile: avendo una soverchiante superiorità militare dovrebbero usarla (con un serio rischio di allargare il conflitto e conseguenze imprevedibili) oppure rendersi conto che, come i Cinesi non possono adoperare l'arma finanziaria, così gli USA non possono adoperare l'arma militare e sono quindi costretti a fare marcia indietro e trattare, questa volta su posizioni molto più deboli. Il mondo intero sarebbe a rischio. Lo stesso Trump sembra esitare, come dimostra la telefonata amichevole con Xi Jing Ping immediatamente successiva al quasi-scontro aereo di qualche tempo fa. In quell’occasione Trump è tornato indietro platealmente come enfatizzato da tutti i giornali, inclusi quelli cinesi, sul concetto di “one China only” che torna ad accettare.
E la Russia? Come la Cina guarda a Occidente, così la Russia guarda a Oriente, alla sterminata distesa dell'Asia centrale che prima faceva parte dell'Unione Sovietica, l'impero dissolto come neve al sole ma a cui Putin non ha mai rinunziato. All'inizio di questo secolo infatti Putin lanciò la Comunità Economica Euro Asiatica, embrione di quella che sarebbe diventata qualche anno fa l'unione Economica Euro asiatica (UEE). Quest'ultima, senza entrare in troppi dettagli, si può considerare ispirata all'Unione Europea, con qualche differenza che vale la pena evidenziare. I Paesi membri (Russia, Bielorussia, Kazakistan, Armenia, Kirghizistan, e, come osservatori, Tagikistan e Uzbekistan) sono integrati "a diverse velocità " come è oggi di moda dire in Europa, Per esempio esiste già un'unione doganale fra Russia, Bielorussia e Kazakistan. L'altra differenza fondamentale con l'Europa è l'assoluta sproporzione fra i partner: la Russia è il Paese dominante economicamente, militarmente e politicamente e questo è chiaramente riflesso nei trattati. La sua strategia è di proporsi come ponte fra l'Europa e il confine Orientale dell'Asia, creando una “grande Eurasia”
Non a caso, nel 2013 Xi Jin Ping lancia BRI proprio da Astana, capitale del Kazakistan, e Putin deve affrontare un grande problema: mettersi in competizione con il ricchissimo vicino cinese oppure trovare una via di cooperazione. La Russia può vantare le enormi risorse energetiche di cui la Cina ha estremo bisogno, la presenza di basi militari sparse in Asia Centrale (per esempio in Kazakistan dove, pochi lo sanno, è localizzato il cosmodromo di Baikonur, la più celebre base spaziale Russa), e la rete di oleodotti e gasdotti della Gasprom. Le basi per una cooperazione equilibrata ci sono, anche se i due Paesi hanno sempre diffidato uno dell'altro.
La Cina si muove velocemente. Diventa rapidamente il primo partner commerciale dei Paesi dell'area e mette in campo fondi più che doppi di quanto è in grado di fare la Russia. Nel 2014 poi diventa il primo partner commerciale della Russia stessa e sono stipulati accordi in campo petrolifero fra le russe Novatec e Rossneft e la cinese CNPC.
Alla fine, nel maggio 2015 Putin, anche a nome nei suoi partner della UEE decide di cooperare con la BRI per la creazione di una grande Eurasia. Qualche risultato immediato si deve vedere e infatti il fondo “one belt, one road” entra ufficialmente nel finanziamento del mega progetto del gas di Jamal (di cui ho informazioni dirette); un investimento gigantesco da un punto di vista finanziario ed estremamente innovativo da un punto di vista tecnologico in considerazione anche delle condizioni ambientali estreme. Fondi cinesi contribuiscono anche alla linea ferroviaria ad alta velocità Mosca - Kazan destinata a proseguire fino a Pechino.
Le difficoltà ovviamente sono enormi anche a causa della grande diffidenza reciproca, i soldi affluiscono in maniera molto più ridotta di quanto ipotizzato, ma per ora la saldatura esiste. Un interesse comune li unisce, legato alla strategia di creare un nuovo ordine economico mondiale non più legato alle vecchie strutture economiche e finanziarie costruite sotto l'egida americana.
E l'Europa? Cina e Russia hanno un grande interesse a coinvolgere l'Europa in questo piano gigantesco e qualcosa si vede.
Vi ho parlato dell'Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB). Essa è stata ufficialmente fondata il 16 gennaio 2016 ( www.AIIB.org) ed è una nuova istituzione multilaterale
“….fondata per affrontare insieme le grandi necessità infrastrutturali in Asia. Con i nostri investimenti cerchiamo di promuovere la connettività e lo sviluppo economico regionale attraverso lo sviluppo delle infrastrutture e di altri settori produttivi. Siamo convinti che lo sviluppo e il miglioramento delle infrastrutture produttive incoraggi la crescita economica, crei lavoro e contribuisca alla riduzione della povertà migliorando l'accesso ai servizi di base: elettricità, mezzi di trasporto, acqua potabile, servizi sanitari e telecomunicazioni.....Ci proponiamo di operare ai più alti livelli di governance, trasparenza e responsabilità ...”
I Paesi fondatori sono 57, di cui 30 propriamente asiatici (regional) e 20 appartenenti al resto del mondo (non regional). I Paesi asiatici sono quasi tutti presenti con l'eccezione del Giappone.
Fra i non regional la Russia, l'Australia, l'Egitto, il Sud Africa, la Turchia, il Brasile, e quasi tutti i Paesi europei: Austria, Danimarca,, Finlandia, Francia, Germania, Islanda, Italia (accordo firmato il 29 giugno 2015 e ratificato il 13 luglio 2016), Lussemburgo, Malta, Olanda, Norvegia, Polonia, Portogallo, Spagna, Svezia, Regno Unito. Quest'ultimo è stato l'apripista fra i Paesi occidentali a entrare nel gruppo, determinando una reazione stizzita degli Stati Uniti (" hanno deciso senza neanche consultarci") subito smentiti dagli inglesi che viceversa dichiararono di entrare per partecipare agli indirizzi fondamentali di questa nuova istituzione e diventare in prospettiva la prima camera di compensazione dello Yuan in Occidente.
La risposta americana fu chiara e diretta " la nostra posizione sulla AIIB è chiarissima. Siamo tutti d'accordo che è necessario migliorare gli investimenti infrastrutturali nel Mondo. Siamo però convinti che ogni nuova istituzione multilaterale debba basarsi sui livelli standard della Banca Mondiale e delle banche di sviluppo regionali (es, Asia Development bank, Africa Development bank etc.). Noi abbiamo seri dubbi che la AIIB raggiunga questi alti standard......"
In conclusione i Paesi europei hanno disatteso le pressioni americane, preferendo giocare su entrambi i tavoli, come del resto fa la Cina che resta il terzo contributore dell'Asia Development Bank, che, sotto l'egida americana, è il principale concorrente dell'AIIB.
Nel frattempo i primi risultati si vedono. Nel primo anno di attività l’AIIB ha lanciato progetti in India, Indonesia, Pakistan (i più importanti), Armenia, Kazakistan, Myanmar, Bangladesh, Tagikistan. Sull'altro versante, in Polonia, il piano Morawiecki afferma che “AIIB sarà un'importante fonte di investimenti per il Paese…. <Varsavia> auspica di diventare uno snodo logistico dei flussi commerciali terrestri fra Asia ed Europa nell'ambito del BRI”.
A questo proposito purtroppo bisogna dire che le ultime mappe del BRI escludono l'Italia, ove Venezia era il punto di congiunzione della via terrestre e di quella marittima. Oggi invece il braccio nord della via terrestre passa dalla linea Mosca, Varsavia, Berlino Duisburg, Rotterdam e quello sud si ferma Istanbul. La via marittima passa dal Pireo per poi attraversare il Mediterraneo a sud della Sicilia, passare da Gibilterra e perdersi nell'Atlantico. Siamo già fuori dai giochi? Forse no e molto dipenderà dalla nostra capacità di affrontare strategie di lungo periodo. Ne parleremo fra una decina di giorni quando entreremo in qualche dettaglio della via terrestre. Vi anticipo che la città di Torino e Piero Fassino sono riusciti ad avere un ruolo in questa pianificazione preliminare.
Prima di chiudere alcune riflessioni sono però opportune.
I contestatori della strategia Cinese la paragonano al piano Marshall e sostengono, in estrema sintesi, che quest'ultimo aveva, fin dalla sua nascita, una struttura rigorosa da un punto di vista giuridico, economico e organizzativo.
Al contrario il sistema BRI è semplicemente un mucchio di parole, di concetti slegati, privo di coerenza, in sostanza una favola neanche tanto bella, e priva di qualsiasi struttura.
Secondo me è un confronto mal posto Il piano Marshall infatti obbediva ad una logica geopolitica: mirava a costituire in tempi brevissimi un'aggregazione di stati culturalmente affini ma per larga parte (l’Europa) in macerie, capace di fronteggiare l'emergente potere sovietico ed evitare o affrontare al meglio una terza guerra mondiale che in molti consideravano una possibilità realistica e imminente.
In questo caso la situazione è del tutto diversa. Da un punto di vista interno, è necessario bilanciare lo sviluppo dell'immenso stato cinese creando sviluppo nella sua parte nord - occidentale, tormentata anche da movimenti islamisti. In secondo luogo esiste l'esigenza di stabilizzare tutti i Paesi dell'Asia centrale che gravitano alle frontiere occidentali. In terzo luogo bisogna sviluppare un sistema di commerci internazionali in chiave non più Americo-centrico, ma multicentrico. Idee quindi, concetti, con un piano economico di base, ma da adattare in corso d'opera alle situazioni emergenti. Questo piano, nel quale Xi Jin Ping attribuisce alla Cina il ruolo di campione di una globalizzazione pacifica (meeting di Davos di qualche mese fa) richiederà forse 50 anni e coinvolgerà Paesi poveri, politicamente instabili, in mezzo a montagne e steppe sconfinate in cui bisognerà creare tutto da zero.
Alla base di tutto esiste però fra i due piani un'enorme differenza culturale: da un lato una mentalità giuridica organizzativa di stampo occidentale e dall'altro una filosofia più olistica, legata almeno simbolicamente alla grande Cina di 2000 anni fa, e meno pratica ma più consona alla logica cinese.
L'Amministrazione Trump ha bisogno di risultati prima delle elezioni di medio termine (fra due anni), e la Cina di evitare grandi sconvolgimenti sociali, il loro vero, grande problema negli ultimi 30 anni. Ci riusciranno senza collisioni dirompenti?
Il sogno di Xi Jin Ping – Parte II
Ci eravamo lasciati con una descrizione generale della strategia cinese dei prossimi decenni. E’ il caso ora di considerarne alcuni aspetti per capirne un po’ meglio le implicazioni.
Ho parlato innanzi tutto di una necessità “nazionale” cinese di sviluppare questo piano, e ciò a prescindere dall’ovvia considerazione di ampliare il commercio e le esportazioni.
Il Nord Ovest della Cina è occupato per larga parte dalla provincia dello Xinjiang (Fig. 1). Essa copre un’estensione grandissima (il 16 % della superficie cinese, oltre cinque volte l’Italia). Allo stesso tempo ha solo 22 milioni di abitanti (meno della citta di Pechino). Sono ritornato là di recente e anche se i cambiamenti sono evidenti rispetto a trenta anni fa, a parte Urumqi, la capitale, che è una città moderna, sembra ancora di entrare in un altro mondo (Fig. 1a) dove nessuno parla inglese e, specie nella parte occidentale, alcuni stentano a parlare cinese. Esistono infatti due etnie prevalenti, gli “Han”, quelli che noi consideriamo i “Cinesi”, che sono il 41% della popolazione, e gli “Uiguri” con il 45%. Il nome stesso della provincia, risalente alla dinastia Qing, vuol dire “Nuova Frontiera”, ma gli “indipendentisti” preferiscono chiamarla Uiguristan o Turkestan Orientale, nomi considerati offensivi dal governo e dall’etnia Han. Kashgar, per esempio, (Fig. 2 e 3) poco distante dal confine è del tutto assimilabile, con le sue moschee e le donne velate, alle città e alle popolazioni degli altri Paesi “…Stan” al di là del confine. E’ una provincia fuori dai circuiti turistici ma geograficamente molto varia. Si va da vette altissime, oltre 8000 metri al confine con il Kashmir, fino ad una delle maggiori depressioni del mondo, a 155 metri sotto il livello del mare. Il lago Tianchi a 2000 metri di altezza (che potete vedere nella foto di presentazione del mio blog) è delizioso, è considerato umo dei punti più belli della Cina e dal 1990 è patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Viaggiando attraverso lo Xinjiang si ha modo di vedere uno dei piò grandi deserti di sabbia del mondo con dune di 100 metri di altezza (Fig. 4) (e arrivano, mi dicono, fino a 300 metri) continuamente in movimento e poi giù di corsa nella grande depressione dove producono una grande quantità di uva ed una meravigliosa uva passa (la Cina è il maggior produttore mondiale e qui se ne produce l’80%) di cui ho fatto incetta, essiccata nelle “Chunche”, (Fig. 5)delle speciali camere con muri forati per far passare il vento. L’irrigazione è assicurata con acque provenienti dai ghiacciai sulle montagne non lontane e trasportata attraverso canali sotterranei antichissimi, visitabili e di interesse estremo.
Ma lasciamo stare questa digressione turistica e torniamo alla politica. Nel 2009 si verificarono scontri violentissimi fra Uiguri ed Han in tutta la provincia, sedati a fatica dalla polizia e dall’esercito. Secondo fonti ufficiali ci furono 156 morti, ma le forze di opposizione continuano a parlare di 600. Il coprifuoco notturno fu imposto per un lungo periodo e talvolta ritorna in alcune aree. Qualunque sia il numero “vero” il governo si rese conto che il problema era molto serio.: era necessario migliorare le infrastrutture e creare una maggior concordia etnica e stabilità sociale. Ciò portò ad una massiccia campagna di investimenti infrastrutturali volti a sviluppare le risorse della provincia (essenzialmente minerarie ed industriali, ma come dicevo, anche agricole), ed a migliorare la connettività dello Xinjiang con il resto della Cina più sviluppata e con i Paesi confinanti..
Tutto ciò dovrebbe servire a debellare “le tre forze del male: terrorismo, separatismo etnico, ed estremismo religioso, e salvaguardare la stabilità sociale”.
In questo contesto si inseriscono la linea ferroviaria Mosca – Pechino, che ha in Urumqi uno snodo fondamentale, e il “corridoio economico Cina –Pakistan” che ha i suoi cardini in Kashgar e nel porto Pakistano di Gwadar. Questa linea, connessa con il resto della Cina sviluppata avrebbe anche il vantaggio di consentire ai prodotti cinesi di aggirare lo stretto di Malacca (come vin ho detto vi passa oltre il 40% del commercio mondiale) diminuendo i rischi di blocco militare americano.
Non posso non menzionare, in questa rapida disamina dello Xinjiang il problema del terrorismo interno e internazionale che ha in quest’area una delle sue basi. E’ un argomento di importanza estrema perché nessuna grande rete di commerci e di trasporti può essere realizzata senza una reale sicurezza. La Cina lo sta affrontando con una serie di accordi bilaterali e multilaterali in maniera molto riservata e questo spiega la sua apparente inesistenza nello scenario delle grandi guerre islamiche, dichiarate e no. Non ci addentreremo in quest’altro argomento che ci allontanerebbe troppo dal filo principale del nostro discorso.
Approfondiamo invece da un punto di vista europeo la problematica della via terrestre la “belt and road initiative, BRI”. Stabiliamo anzitutto una cosa: non si tratta più solamente di un sogno!
Collegamenti regolari, gestiti da società miste europee e cinesi, esistono già fra:
-Yiwu e Madrid,
-Wuhan e Lione,
-Chengdu e Rotterdam
-probabilmente anche altri di cui non sono a conoscenza
Ovviamente tutti questi centri hanno poi le loro diramazioni interne. Chengdu ad esempio è collegato con i porti di Shanghai, Ningbo e Shengzen ( fra i primi dieci al mondo per numero di container gestiti) e poi con il sud delle Cina, Il Vietnam e la Corea.
Altre reti sono già in via di realizzazione come quella che collega lo Xinjiang al porto di Aktau sul mar Caspio in Kazakistan e la linea Yiwu – Teheran, appena terminata. E’ interessante notare che proprio in Iran Italiani e Cinesi lavorano a stretto contatto in questo settore. Infatti Italferr (gruppo FS) ha l’incarico di PMC (project management control per conto dell’investitore) del gruppo cinese China railway Engineering corporation che ha l’appalto per la realizzazione della tratta Teheran – Isfahan.
Un embrione di rete e di traffico regolare già esiste quindi.
C’è da dire che , se il treno accorcia i tempi rispetto alla nave (15-20 giorni contro 30-35 per il trasporto delle merci), a parte i problemi di sicurezza a cui ho accennato esistono problemi tecnici complessi da risolvere, come ad esempio i binari a diverso scartamento fra Russia, Cina ed Europa. Per questo motivo un centinaio di treni ad alta velocità con cambio automatico dello scartamento sono già in costruzione.
Tutto ciò riguarda la parte cinese e dell’asia centrale, ma l’Europa? E l’Italia?
Vi accenno a un lontano passato perché è bene saperlo quando parliamo del presente. E’ assolutamente sorprendente che il Conte Menabrea il 26 giugno 1857 (Cavour Primo Ministro) durante il dibattito per il traforo del Moncenisio dichiarasse in Parlamento (Fig. 6 ) “ Io credo all’avvenire certo dell’apertura dell’istmo di Suez (avvenuta nel 1869, 12 anni dopo), perché sono convinto che l’Europa finirà per capire che è condizione della sua sopravvivenza aprirsi questa via verso le Indie ed il Mar della Cina per controbilanciare la potenza di un popolo rivale che sta crescendo con stupefacente rapidità e sta diventando gigante al di là dell’atlantico (gli USA). Io dico che l’avvenire del nostro Paese è assicurato, che esso arriverà a un grado di prosperità inimmaginabile oggi, perché sarà passaggio obbligato di una gran parte del commercio e del transito fra l’Europa e l’Oriente”
E’ incredibile la lungimiranza con cui quest’uomo prevedeva ciò che sta accadendo oggi e il livello di quegli antichi dibattiti in Parlamento, specie se li confrontiamo con i battibecchi a cui assistiamo oggi alle Camere e nei talk show quando si parla del traforo in Val di Susa.
In tempi più recenti, il libro Bianco di Jacques Delors (1993) ha creato i presupposti politici, economici, e sociali che portarono poi alla definizione delle reti di trasporto trans-europee chiamate “Ten-T” con acronimo inglese. Esse comprendono 9 corridoi prioritari da realizzare entro il 2030. Obiettivo di questa rete è lo sviluppo delle interconnessioni europee, ma essa diventa il naturale complemento e collegamento con la grande rete BRI che parte dalla Cina verso l’Europa. L’Italia è coinvolta in vari progetti, ma ne vorrei citare solamente 1, il progetto N° 6 ( Fig. 7) che dovrebbe costituire uno degli assi principali del collegamento fra la Spagna (e in futuro forse in Nord Africa con il tunnel sotto lo stretto di Gibilterra), l’Europa continentale e, come abbiamo visto, l’estremo Oriente. La tratta italiana di questo progetto è da noi tristemente nota: si chiama traforo in val di Susa! Qualcuno ci ha mai parlato della grandiosità storica di questo progetto? Assolutamente no! e parliamo di un futuro molto più vicino e comprensibile di quello che dibatteva il Parlamento nel 1857.
E il mondo certamente non aspetta noi. Come ho detto prima, il collegamento ferroviario fra la Spagna e la Cina già esiste (anche se ancora “rattoppato”) e passa per il nord Europa. Come è sempre successo negli ultimi 50 anni, l’Italia è sempre in retroguardia!
Al recente convegno del “new railway silk road forum” a Sochi, il sindaco di Madrid Manuela Carmena, nel presentare il presente ed il futuro della mobilità a Madrid, iniziò dicendo in un’intervista “ oggi la mobilità è diventata il quarto fattore per importanza nel processo di integrazione sociale, dopo la casa, la salute, e l’educazione. Deve essere assicurato a tutti il diritto di muoversi liberamente, indipendentemente dall’età, il genere, il reddito, il livello di integrazione e il luogo di residenza. L’obiettivo deve essere sforzarsi per lo sviluppo di un sistema di trasporto che sia universale, equo, accessibile, inclusivo e non discriminatorio.
Il mondo si sta facendo veramente più piccolo nella cultura di tutti e forse Xi Jin Ping ha interpretato questo movimento storico.
E noi? va proprio così male? Non proprio.
Dobbiamo però addentrarci rapidamente in una serie di idee e iniziative. Se guardiamo lo sviluppo urbano mondiale ci rendiamo conto che in Asia, Africa, America Latina e parzialmente in Nord America si è affermato il concetto delle megalopoli, agglomerati urbani di oltre 20 milioni di abitanti fino addirittura all’ipotesi del “Jing-Jin_Ji” in Cina che raggiungerebbe 130 milioni di persone. In Europa, a parte alcuni casi isolati (Londra, Parigi, Madrid in un certo senso) prevale il concetto di città “più umane”, di dimensioni medio – piccole. Cambiare questo modello vorrebbe dire distruggere un’identità, una storia e una cultura millenarie. Abbiamo già parlato del sistema “Ten-T” e dobbiamo ora conoscere il “METR”, acronimo per Middle East, Europe, Turkey, il network che dovrebbe congiungere le reti di trasporto dell’Europa “allargata” che non approfondiamo qui. Nel 2012 venne lanciata la “MIR Initiative” (Mosca, Istanbul, Roma). Da notare che MIR in Russo significa anche pace, mondo, vision, a simboleggiare il carattere non semplicemente mercantile di questa iniziativa. Il proposito della MIR Initiative è di promuovere a livello locale un grande supporto all’idea del METR e la sua congiunzione e integrazione con l’analogo progetto in Asia di cui abbiamo parlato.
Da qui è nata l’idea di un Forum delle città della nuova Via ferroviaria della seta da tenersi periodicamente nelle varie città dell’Eurasia aderenti al progetto.
La grande importanza di questa iniziativa sta nel fatto che non sono più i governi ma le strutture locali, i cittadini della grande Eurasia a farsi promotori di uno sviluppo epocale che resti basato sulla struttura delle realtà urbane locali strettamente interconnesse però in una rete globale.
150 anni fa i nostri nonni crearono la rete ferroviaria italiana per unire le città di un Paese, l’Italia, ancora in via di formazione, ora è tempo di unire allo stesso modo le città dell’Eurasia.
“LE CITTA’”, è questo il disegno ideale di Piero Fassino quando lanciò a Torino il primo “Forum delle città della via ferroviaria della seta” il 27 novembre 2015, con la partecipazione di 30 città, oggi già diventate 50.
Fassino lanciò (Fig. 8) il concetto di una “metropolitana eurasiatica” le cui stazioni sono costituite dalle città attraversate, e ciò “crea una nuova importante prospettiva che non è solamente trasportistica e commerciale, ma anche sociale, culturale e politica.”
“ in un mondo in cui prevalgono tendenze globalistiche, le città stanno cominciando ad avere come in passato un ruolo centrale a cui dovettero abdicare al momento dell’apogeo degli stati nazionali”
“Oggi torna a galla la fondamentale importanza delle città come centri simbolici di territori più vasti. Esse sono non solo portatrici di bisogni inestirpabili e valori di una dimensione locale in un mondo globalizzato, ma possono diventare protagoniste di processi su larga scala, la “glocalization” combinando i micro e i macro livelli”.
In quell’occasione è stata pubblicata una mappa interattiva di questa metropolitana eurasiatica (Fig. 9) in cui chiunque può estrarre un itinerario, come io ho fatto per il tracciato Torino – Pechino. (Fig. 10)
Il 5 maggio 2016 Torino è diventata la sede permanente europea del Forum,
E’ questo il vero fulcro culturale della Belt and Road Initiative, arricchita dall’input della nostra cultura e delle nostra storia: l’Italia e la Cina portatrici delle più antiche e ricche civiltà al mondo, il “sogno di Xi Jin Ping” del titolo che ho dato a queste note.
Sarà questo il nostro futuro?
Chi guadagnerà e chi perderà in questa nuova visione?
Come cambierà il mondo in seguito a questo interscambio culturale, sociale ed economico?
Si arriverà a una nuova centralità eurasiatica come preconizzò il Conte Menabrea nel 1857?
I più giovani fra noi saranno i protagonisti di questo mondo nuovo ma con radici antiche, se esso si realizzerà
IL MONDO E’ CAMBIATO
Ho sospeso per qualche settimana il mio appuntamento ormai abituale con voi e quante cose sono successe nel frattempo.
- Il Forum sulla “Belt and Road Initiative” a Pechino ha avuto una partecipazione straordinaria ed un successo planetario
- La Cina si è candidata (dopo averlo preannunziato a Davos) come il campione di una nuova globalizzazione su basi apparentemente diverse dalla precedente
- Gli Stati Uniti hanno continuato a chiudersi sempre di più in se stessi fino all’annunzio di ieri che si ritireranno anche dall’accordo di Parigi COP21 sul clima attirandosi il biasimo unanime di tutto il mondo
- Il meeting UE – Cina di questi giorni, anche se non si è raggiunto un accordo su alcuni punti fondamentali. mira a candidare queste due “Paesi”, se l’Europa sarà capace di parlare con una sola voce, come la nuova leadership mondiale per il futuro.
- Il ‘900 è stato il secolo americano. Il 2000 ha aperto il secolo Euro-Asiatico ?
Credo che questo sarà il punto focale del dibattito dei prossimi mesi e forse dei prossimi anni.
Oggi però voglio parlarvi dell’Italia. Il Presidente Gentiloni ha fatto benissimo a partecipare al meeting per affermare, al massimo livello, l’interesse dell’Italia per avere un ruolo attivo nell’ambito della BRI.
Ma qual è la situazione ad oggi?
Date un’occhiata, prima di proseguire nella lettura, al filmato allegato a questa nota. Si tratta di un cartone animato pubblicato, nei giorni del Forum, sul sito della Xinhua, l’agenzia di stampa Cinese. Purtroppo è in inglese ma, con l’aiuto delle immagini e dei sottotitoli penso che sarete tutti capaci di afferrarne il senso.
https://www.dropbox.com/s/ubvkuw04hrnxft7/2017-05-15%2019.30.07.mov?dl=0
Lo avete visto?
E’ sconsolante! La via ferroviaria passa a nord delle Alpi e si ferma in Spagna. “Così potremo importare facilmente dell’ottimo vino spagnolo” dicono i due piccoli protagonisti.
E quella marittima? Attraversa il Mediterraneo, lo stretto di Gibilterra e si ferma ad Anversa. Fa la circumnavigazione d’Europa senza fermarsi in Italia!
E la predizione del conte Menabrea nel 1857 di cui vi ho parlato tempo fa? E’ mai possibile che quasi due secoli orsono nel nostro Parlamento con una straordinaria lungimiranza si prediceva nei dettagli tutto ciò che sta accadendo oggi e invece, arrivato il momento di agire, ci siamo improvvisamente e inaspettatamente trovati fuori?
Improvvisamente e inaspettatamente? Ma siamo proprio sicuri?
Nelle prime carte del BRI, pubblicate in Cina quasi cinque anni fa le due vie, quella terrestre e quella marittima si congiungevano a Venezia, luogo pieno di simbolismi storici, ma ora le carte indicano itinerari diversi ed il cartone animato le consacra per l’opinione pubblica.
Chiediamoci perché. Secondo una tradizione tipicamente italiana molti diranno con una scrollata di spalle “Chi non ci vuole non ci merita!” come si fa ormai abitualmente quando vengono pubblicati i dati sul crollo del nostro turismo nelle classifiche internazionali. Ma noi non siamo gli Stati Uniti, la prima potenza economica e militare del mondo, che possono permettersi di isolarsi e di stracciare trattati già firmati senza che ci possano essere vere reazioni da parte del resto del Mondo. Se ci isoliamo, se aspettiamo che ci vengano a pregare, finiremo in un angolo.
Fin dall’inizio di queste mie note vi ho parlato della “Belt and Road Initiative” e della sua importanza. Vi chiedo però: prima del Forum di Pechino avete mai letto sulla stampa italiana di ogni colore notizie, informazioni, commenti, proposte su questa iniziativa? Quando il dibattito sul traforo in Val di Susa era su tutti i giornali avete mai sentito qualcuno collegarlo a questa prospettiva storica? Niente di niente. In questi anni siamo stati, tutti e sempre, impegnati a guardare il nostro ombelico come se fosse l’ombelico del mondo. Le nostre piccole beghe interne, incomprensibili e ininfluenti a livello internazionale ci hanno impegnato in maniera totalizzante.
E questo è il risultato! E’ però inutile continuare a guardare sconsolati il nostro ombelico imprecando al “destino cinico e baro”. Cerchiamo piuttosto, per quanto possibile, di guardare al futuro.
Come ho già detto in passato le linee ferroviarie che collegano in maniera regolare l’Europa e l’Estremo Oriente sono ormai una realtà, ma siamo ancora all’inizio: funzionano ma sono ancora “rattoppate” come ho detto in passato.
Gentiloni (probabilmente anche grazie ad un’accurata preparazione da parte della nostra ambasciata) ha avuto un buon successo personale e ne è prova la disposizione dei posti durante lo spettacolo di gala al Teatro Nazionale ( per altro bellissimo). Lui e la moglie erano seduti accanto a Xi Jin Ping e Signora e, come sapete, in Cina questi micro segnali valgono più di mille dichiarazioni, ma a parte questo?
Gentiloni ha dichiarato l’interesse italiano ed ha proposto i porti di Genova, Venezia e Trieste come terminali ideali della rotta marittima. L’impressione che ho avuto è stata quella di una merce esposta al mercato. “ Ho dei oggetti bellissimi – mi sembrava che dicesse – compratene uno a vostra scelta, oppure due, o addirittura tutti. Il prezzo è buono e posso anche farvi uno sconto”
Sono convinto che non potesse fare altro senza destare le ire degli esclusi, ed anche così sui giornali del nostro Mezzogiorno ci sono state parole di fuoco perché i porti del Sud erano stati come al solito dimenticati.
Ma a che serve una strategia di questo tipo? Non stiamo vendendo vestiti di alta moda o automobili fuori serie. Dovremmo cercare di proporre idee, infrastrutture, proposte valide di collegamenti nazionali e internazionali.
In linea teorica potrebbero esserci in corso trattative segrete; può darsi che una scelta organica e motivata sia già stata fatta e proposta ai Cinesi. Una volta raggiunto un risultato questo verrebbe portato all’attenzione dell’opinione pubblica italiana come una scelta cinese a cui non possiamo dire di no.
Ma onestamente credete che una strategia del genere, capace di superare le nostre solite battaglie di bassa lega, sia realistica? Io non ci credo e invece penso che, dietro a quello che appare, non ci sia niente altro. Stiamo solo vendendo dei bei vestiti a un potenziale compratore che ha i soldi per farlo.
Si potrebbe obbiettare “E’ facile protestare ma cosa si dovrebbe fare?”
Analizziamo la situazione. La Cina aveva bisogno di un grande porto nel Mediterraneo dove far approdare le grandi navi essenzialmente porta container e fare il trans shipment su navi più piccole, adatte a fare il cabotaggio con i porti Europei ed Africani all’interno del Mediterraneo, con possibilità anche al di là di Gibilterra. Questo porto ormai esiste: è Il Pireo. Avremmo potuto proporre Gioia Tauro (che era nato proprio con la vocazione di porto di trans shipment, oppure Napoli, ma non lo abbiamo fatto o almeno non in maniera convincente. Questo treno è ormai perso.
Cosa può servire oggi ai Paesi dell’Estremo Oriente (Cina in testa), a noi, ed in genere al commercio internazionale? Un porto di sbarco adatto per le grandi navi, attrezzato, e soprattutto ben collegato con il resto d’Europa. In questo senso la scelta più ovvia sarebbe un porto del nord Italia perché pensare a dei collegamenti ferroviari da Gioia Tauro (il famoso asse Nord Sud) sarebbe un sogno per i nostri nipoti o anche dopo.
Ma anche considerando un porto del Nord, dove sono previsti, in termini realistici, collegamenti importanti, per grandi quantità di containers, ad alta velocità, fra i nostri porti del nord ed il resto d’Europa? Il corridoio Est Ovest di cui fa parte la famigerata Torino- Lione dovrebbe essere lo sbocco possibile. Ma pensate che qualcuno al mondo che volesse investire cifre importanti in infrastrutture globali, potrebbe dar credito alla realizzazione della Torino- Lione?
E allora? Allora l’unica cosa da fare sarebbe che un governo forte e coraggioso che credesse ( come il Parlamento Italiano nel 1857) all’importanza di questa strategia, facesse un piano realistico ed organico. Questo piano dovrebbe includere:
- la scelta in prima battuta di un solo porto,
- un piano di adattamento di questo porto alla nuova tipologia e quantità di traffico,
- un piano serio di creazione di un importante ed efficiente parco di stazionamento delle merci ed un nodo ferroviario all’interno del porto
- il collegamento di questo nodo con i grandi assi ferroviari europei
Tutto ciò dovrebbe essere fatto in una maniera che sia credibile per tutte le controparti interessate all’iniziativa, ed includere un cronoprogramma altrettanto dettagliato e credibile. Si dovrebbero studiare e accludere al piano tutti gli aspetti ( e le modifiche) legislativi necessari per realizzare le opere come pure gli aspetti finanziari.
Fatto ciò, si potrebbe proporre ai Cinesi di cooptare nel piano BRI questa nostra partecipazione. Ciò non sarebbe la morte degli altri porti, però anche questi dovrebbero essere poi collegati ai grandi assi ferroviari e proporre tutto e tutto insieme equivarrebbe a non proporre niente.
VOI CREDETE CHE TUTTO CIO’ SIA POSSIBILE? IO PURTROPPO NO, ANCHE SE OVVIAMENTE SPERO DI SBAGLIARMI
Ultimi commenti
23.11 | 15:42
Grazie, leggo sempre con piacere i tuoi articoli.
19.09 | 17:02
O.K. !!!
31.05 | 14:33
Grazie a te. So bene che i miei articoli sono abbastanza "pesanti" e quindi talvolta noiosi
31.05 | 13:16
Notevole questo articolo del 30 maggio. Attendo con impazienza il seguito tra un mesetto! Grazie Nino per il tempo che dedichi a provare a colmare la nostra immensa ignoranza. A presto.