6. feb, 2020
5 febbraio 2020
LA GRANDE PAURA PER IL CORONA VIRUS
Ci risiamo, è scoppiata un’altra epidemia in Cina con alcuni casi in Europa e USA. Ogni Paese sta reagendo a modo proprio e sabato scorso il Corriere della Sera ha fatto un titolo a tutta pagina “Virus, è stato di emergenza”: ha detto la verità perché ciò è stato dichiarato in una conferenza stampa improvvisa a tarda serata dal Presidente del Consiglio. Era giustificata? Non ho la competenza per dirlo, forse era sua intenzione diffondere calma invece ha ottenuto, credo, l’effetto contrario. La notizia si è ovviamente diffusa in tutto il mondo e sono stato sommerso da messaggi dei miei amici cinesi pieni di consigli (essenzialmente non uscire da casa) pensando che la nostra situazione fosse paragonabile a quella cinese. Cerchiamo dunque di analizzare gli eventi a mente fredda.
La storia del mondo è costellata di epidemie; ne ricordo solo alcune. La grande peste di Atene a causa della quale morì Pericle assieme alla sua famiglia nel 429 a.C. e che determinò l’inizio del declino della potenza di Atene. Nel 541 d.C. la peste di Giustiniano provocò la morte di quasi metà della popolazione di Costantinopoli e continuò con fasi alterne a colpire per qualche secolo tutta l’area mediterranea causando fra 50 e 100 milioni di morti. La piò nota epidemia dell’antichità è però la peste nera. Essa iniziò all’inizio del quattordicesimo secolo. Sembra accertato che il suo batterio si trasmise dai ratti all’uomo per il tramite delle pulci. Essa, secondo gli studi più accreditati iniziò proprio nell’area di Wuhan che, a causa della sua posizione favorevole sullo Yang Tse era già allora un centro di scambi. Da lì si propagò nell’area caucasica. Si dice che la diffusione successiva fu uno dei primi esempi di guerra batteriologica. Infatti, i Tartari buttarono di proposito i cadaveri degli appestati negli accampamenti genovesi e da lì, attraverso la flotta della repubblica marinara l’epidemia si diffuse in Grecia, Egitto e finalmente arrivò nel 1347 in Sicilia e poi a Genova. Dall’Italia si propagò in Svizzera, Francia, Spagna Inghilterra, Scozia e Irlanda; provocò circa 20 milioni di vittime e finalmente si arrestò proprio per il grande spopolamento causato. Nei tempi moderni non possiamo dimenticare l’epidemia di influenza Spagnola fra il 1917 e il 1919. Essa si diffuse in tutti i continenti colpendo un terzo della popolazione mondiale e causando fra 50 e 100 milioni di morti. Nella mia generazione la prima epidemia che si ricordi fu l’influenza asiatica che negli anni 1977-1960 fese circa due milioni di vittime ed il cui virus era stato isolato per la prima volta in Cina nel 1954. Anch’io ne fui vittima in maniera abbastanza seria. In seguito vi furono altre epidemie piuttosto forti: cito la suina, l’aviaria, l’ebola, e la Sars. Penso che il modo migliore nella nostra analisi sia di partire dall’epidemia di SARS, scoppiata nel Guandong (Cina meridionale) alla fine del 2002 e diffusasi nel mondo durante il 2003. I motivi di ciò sono essenzialmente due.
- La SARS, Severe Acute respiratory Syndrome è stata causata proprio da un corona virus, chiamato così per la sua forma a corona. Il nuovo corona virus e la SARS hanno in comune circa l’80% del quadro genetico e tra gli aspetti condivisi ci sono le modalità di aggressione del sistema respiratorio. Sembra, ma non è ancora provato, che il nuovo virus sia meno pericoloso della SARS, ma nettamente più contagioso.
- Come reagì il mondo nell’epidemia di SARS? Un allevatore del Guandong, accusati i sintomi, fu ricoverato in ospedale e lì morì. La causa fu considerata una semplice polmonite, probabilmente virale e non fu fatta alcuna indagine ulteriore o un’autopsia.
- All’inizio del 2003 ero in Vietnam, dove trascorrevo oltre la metà del mio tempo perché stavamo realizzando un impianto molto importante per l’economia del Paese e ne stavamo negoziando un altro. Un mio collega ebbe una violenta influenza con febbre altissima. Rifiutò di andare all’ospedale (anche all’ospedale francese) e cercò di curarla con i normali febbrifughi e un antibiotico ad ampio spettro. In quelle condizioni nessuna line aerea lo avrebbe accettato e quindi restò in albergo senza ufficializzare le sue condizioni. Ricordo che in un’occasione passai un’intera notte nella sua stanza perché era molto preoccupato, ma contro la sua ostinazione potevo fare ben poco. Quando finalmente la febbre cominciò a scomparire tornò in Italia e lì si recò all’ospedale. Gli furono diagnosticati i residui di una polmonite virale particolarmente ostica che a poco a poco passò. Solamente in seguito, dopo l’identificazione della malattia da parte di Carlo Urbani (che ne morì) si scoprì che il mio collega molto probabilmente aveva avuto (e superato) la famigerata SARS.
- A questo punto devo per forza parlare di Carlo Urbani, un eroe misconosciuto dei nostri giorni) su cui ho già scritto una nota qualche anno fa. Lo faccio con le parole della moglie, intervistata qualche giorno fa: “Ascoltare la notizia in televisione è stato come tornare a 16 anni fa quando Carlo ricevette quella telefonata. Gli chiesero di andare in ospedale dove un uomo d’affari non riusciva a guarire da una strana infezione. Come sempre non si tirò indietro. Oggi rivivo tutti quei momenti. E ricordo quello che mi raccontava la sera a casa, dopo essere stato via tutta la giornata. “Giuliana è un disastro”. Carlo (ci eravamo conosciuti in residenza dell’ambasciatore ad Hanoi, eravamo diventati amici ed avevamo un grande progetto in comune, svanito dopo la sua morte) morì il 29 marzo 2003 a Bangkok, dopo aver contratto il virus e salvato il mondo da una gravissima epidemia che causò comunque circa 8000 contagi e 775 morti. Carlo era dirigente della WHO ad Hanoi, un lavoro che non richiedeva di stare in prima linea, ma lui era, e si sentiva, anzitutto un medico infettivologo e non un burocrate. In quei giorni diceva alla moglie “Ho paura che l’infezione non si fermerà e che sarà una strage come la Spagnola del 1918 che uccise centinaia di migliaia di persone”. Oggi, dice la moglie, grazie ai protocolli di sicurezza che lui ha contribuito a mettere in campo, la situazione si sta affrontando in un modo diverso. Chi volesse saperne di più potrebbe cercare su internet l’associazione italiana Carlo Urbani.
- Ricordo l’epidemia di SARS anche per un altro motivo personale. Come ho detto, noi avevamo un team impegnato a tempo pieno su due iniziative importantissime per il Vietnam e, ovviamente, per la nostra azienda. I viaggi non erano stati bloccati, non c’era alcun divieto (se non i consueti consigli di evitare viaggi non strettamente necessari) da parte delle autorità nazionali e quindi non era invocabile la “forza maggiore”. Sospendere il progetto avrebbe comportato seri danni. Di conseguenza, prendendo il massimo di precauzioni possibili, il nostro team era costretto ad andare e venire. Nessuno si tirò indietro sebbene fosse libero di farlo. Bene, fui assalito da una collega perché entravo in ufficio mettendo a repentaglio la salute di tutti. Fu uno dei pochi casi in cui mi infuriai veramente. “ Come ti permetti – le dissi – se esiste un rischio così grave chiedete all’azienda di bloccare il progetto, altrimenti non ti permettere di parlare in questo modo; io sto rischiando la vita, poco o molto che sia, anche per il tuo stipendio. Devi solo ringraziarmi. Con questo voglio solo far notare come il panico incontrollato possa non solo guastare i rapporti interpersonali ma, peggio, determinare fenomeni di intolleranza come quelli che si stanno verificando in questi giorni. Ogni informazione, specie con i mezzi di oggi, può determinare reazioni non prevedibili e, oltre un certo punto, incontrollabili. Oggi in Cina, le varie aziende del mondo stanno rimpatriando i connazionali dalla provincia di Hubei, dove esiste il vero focolaio ed è stato di fatto dichiarato il coprifuoco. Nel resto dell’immenso Paese gli stranieri continuano a restare, prendendo ovviamente tutte le precauzioni del caso. Non si può, a mio avviso, sigillare il mondo intero se non ci sia una vera emergenza a livello mondiale. Che ne sappiamo noi di quanti casi possano esserci già in India dove una gran parte della popolazione potrebbe morire senza neanche passare da un ospedale? O dall’Africa dove potrebbe già essere presente?
Ho ritenuto necessario parlare di questo precedente perché ritengo che possa essere istruttivo per analizzare la nuova epidemia, ma prima vorrei parlarvi di come, sin dal suo inizio i media se ne siano impadroniti. Certamente tutti voi conoscete l’audio “ O’ cinese c’a tosse” che ha spopolato e dimostrato una volta in più l’ironia con la quale i napoletani sono capaci di affrontare anche gli avvenimenti più seri. Pochi invece conoscono un breve racconto di fanta-politica, scritto sotto forma di diario, che raccoglie notizie sia su carta stampata che per televisione. L’ho trovato per caso su Internet e secondo me è una testimonianza ben fatta di come un avvenimento del genere potrebbe essere vissuto in Italia. Ve ne do un sommario, prima di dedicarci a cose ben più serie sull’analisi di questa vera emergenza.
Nei prossimi giorni parleremo in maniera seria della vera emergenza in Cina.
Mi è sembrato utile però invitarvi a riflettere su questo scenario che, speriamo, non accadrà mai. Come reagirebbe l’Italia di fronte a un’epidemia improvvisa, o di fronte ad una catastrofe altrettanto imprevedibile come una nuova eruzione esplosiva del Vesuvio. Esistono piani di emergenza? Soprattutto la nostra politica, i nostri mezzi di comunicazione, la nostra popolazione sarebbero pronti a fare un fronte comune. Oppure si spezzetterebbero in parecchi gruppi opposti uno all’altro e capaci di bloccare tutto, come succede ogni volta che si debba realizzare una qualsiasi opera pubblica? La domanda non è p
Ultimi commenti
23.11 | 15:42
Grazie, leggo sempre con piacere i tuoi articoli.
19.09 | 17:02
O.K. !!!
31.05 | 14:33
Grazie a te. So bene che i miei articoli sono abbastanza "pesanti" e quindi talvolta noiosi
31.05 | 13:16
Notevole questo articolo del 30 maggio. Attendo con impazienza il seguito tra un mesetto! Grazie Nino per il tempo che dedichi a provare a colmare la nostra immensa ignoranza. A presto.