26. nov, 2020
26 novembre 2020
HONG KONG AL SUO BIVIO FINALE
Il 2 luglio scorso Simon Jenkins ha scritto sul Guardian un articolo che iniziava così “ Quando nel 1997 raccontai le cerimonie per il passaggio dei poteri a HK c’era una domanda sulle labbra di tutti: quanto durerà l’accordo per “una nazione, due sistemi”? Le ipotesi erano: cinque anni, forse dieci, ma non certo i cinquanta promessi. Certamente al primo segnale di problemi la Cina cancellerà dalle mappe questo brufolo imperialista. Nessuno pensava che potesse durare 23 anni”E poi, nel suo articolo di luglio scorso affermava che pensare di poter influenzare l’autoritarismo cinese è pura fantasia. Ciò che importa a Pechino è solamente ciò che si pensa a Pechino, non all’estero. Purtroppo l’idea prevalente negli anni ’90 era che le ex-colonie occidentali sarebbero state la punta avanzata della democrazia universale. Questa ambizione era pura fantasia. HK è parte della Cina ed il tentativo di porre un cuculo liberale nel nido cinese era assurdo. Xi ha tollerato le azioni di Joshua Wong e dei suoi colleghi per un po’, ma certamente se si fossero spinti troppo in là li avrebbe ridotti al silenzio. Come sostenevano le menti più lucide della città, i radicali avrebbero potuto godere solo le libertà che erano state loro concesse. Ora hanno perso tutto. L’unica cosa che l’Inghilterra può fare è concedere il passaporto britannico e accogliere in patria tutti i cittadini di Hong Kong che lo vorranno, come avevano promesso nel 1997.
Come al solito questo giornale si distingue per la sua lucidità di giudizio.
In un lunghissimo articolo del 20 luglio 2020 nella sezione “La Cina in pillole” vi avevo parlato della legge sulla sicurezza nazionale promulgata a Pechino e applicabile immediatamente ad Hong Kong. Essa aveva numerosi seri dubbi di incostituzionalità, ma i giuristi e la stampa locale si diedero tempo per verificare nei fatti ciò che sarebbe accaduto. Per qualche mese le cose sono andate avanti in maniera sostanzialmente regolare e lo stato di diritto e la common law sono state applicate applicate. L’undici novembre è invece accaduto ciò che si temeva. Un intervento diretto della Cina, su richiesta della Chief Executive (la governatrice) di Hong Kong ha deciso l’espulsione di quattro membri del Parlamento della Città. Nessun commentatore ha ritenuto che ci fosse una base giuridica a questa azione.
Vi riassumo un po’ i fatti per spiegare ciò che è successo, cercare di capire perché, e immaginare una prima ipotesi per il futuro.
Quattro membri del Parlamento sono stati espulsi l’undici novembre, poco dopo una risoluzione del Parlamento cinese che autorizzava Carrie Lam a espellere i parlamentari senza una sentenza giudiziaria. Su questa base potevano essere espulsi parlamentari colpevoli di supportare l’indipendenza di Hong Kong e/o collusione con Paesi stranieri o azioni che comunque potessero mettere in pericolo la sicurezza nazionale.
Sia la costituzione di Hong Kong che la legge sulla sicurezza nazionale promulgata in giugno considerano queste azioni un reato grave ed una violazione del giuramento di lavorare per il bene della Patria e nel pieno rispetto delle istituzioni. La costituzione però prevede che l’espulsione si possa fare dopo una votazione del Parlamento nella quale è necessario un quorum dei due terzi, ed una possibilità successiva di adire alla corte suprema. Tutti questi passaggi sono stati saltati. Mentre la promulgazione della legge sulla sicurezza nazionale aveva degli appigli giuridici, questa volta la violazione è assolutamente palese.
Perché? Nel parlare di geopolitica, il tentativo di rispondere a questa domanda è assolutamente obbligatorio.
Bisogna anzitutto premettere che, in preparazione delle liste per le prossime elezioni (poi rinviate per il Covid) questi quattro parlamentari, assieme ad altri candidati, non erano stati ammessi sulla base delle stesse motivazioni adottate ora. Ciò però era stato fatto applicando leggi e procedure. Inoltre già 4 o 5 anni fa un deputato era stato espulso senza creare alcuno scalpore internazionale, ma anche in quel caso si era agito secondo la legge. Anche in Italia del resto, ancorchè molto raramente, abbiamo avuto delle espulsioni come nel caso di Silvio Berlusconi, sulla cui legittimità ancora si dibatte.
La domanda di prima, perché?, diventa ancora più importante visto che bastava aspettare e questi quattro parlamentari sarebbero comunque usciti dal Parlamento.
La maggior parte dei commentatori sostiene che il governo cinese abbia voluto approfittare di un momento in cui lo sguardo internazionale era rivolto ad altro: il Covid e le problematiche interne alla politica americana. Mi sentirei di escluderlo senza alcun dubbio. Come ha detto Jenkins nell’articolo sopra citato, quando Pechino prende una decisione, guarda solo all’interno del suo enorme Paese senza curarsi dell’opinione internazionale. Ciò è ancora più vero oggi in cui considera inevitabile il “decoupling” con l’economia e la politica America. Il recentissimo accordo economico che include tutti i Paesi del Pacifico ad eccezione dell’India (il vero rammarico di Xi Jinping) ne è la prova.
Allarghiamo un po’ lo sguardo. Con l’espulsione di questi quattro deputati, l’opposizione perde la possibilità di bloccare alcuni provvedimenti che richiedono una maggioranza qualificata. E’ già una spiegazione importante, soprattutto vista insieme a un'altra novità: l’opposizione ha cominciato ad adoperare pratiche ostruzionistiche per bloccare o ritardare l’attività del Parlamento. E’ questa una pratica normale (anche troppo in Italia), usata in molti Paesi Occidentali, ma assolutamente incomprensibile nella mentalità Cinese. “Accettiamo il concetto di dominio della maggioranza – si dice – ma se la minoranza sa che perderà comunque, perché deve ritardare l’approvazione di un provvedimento, anche di quelli che potrebbero essere accettabili?”.
Un altro punto. La Cina vuole rilanciare in grande stile la propria economia. Il nuovo Piano quinquennale, delineato pochi giorni fa nell’assemblea del PCC, si pone obiettivi ambiziosissimi per lo sviluppo dei prossimi cinque anni e sul medio termine. Xi Jinping ha già messo in conto che dovrà affrontare l’opposizione degli USA e di chi si accoderà ad essi, ma non è più disponibile ad accettare la spina del fianco costituita “da un gruppo di radicali” che guardano all’America piuttosto che alla madrepatria cinese. Xi è sicuro che nessun cinese penserà mai che Hong Kong, Macao e Taiwan possano separarsi dalla madrepatria e quindi si opporrà ad azioni che possano minare l’irredentismo ed il nazionalismo assolutamente maggioritario. Hong Kong quindi potrà godere per i 50 anni promessi delle libertà concesse dal trattato ma entro limiti ben precisi e sui quali nessuna indecisione sarà tollerata. Il governo cinese ha pianificato il futuro della Great Bay area che include Shenzhen, Zhuhai, Canton ed anche Hong Kong. Se quest’ultima vorrà farne parte sarà sicuramente bene accetta, altrimenti la Cina ne farà a meno e la lascerà morire. Nel 2047 poi l’integrazione dovrà essere completata. Fra venticinque anni però cosa sarà la Cina? E cosa sarà l’occidente?
E’ molto duro da accettare, ma questa è la realtà. Se dietro i proclami di quei giovani che reclamavano l’indipendenza di Hong Kong, o come minimo l’imposizione di sanzioni alla Cina, non ci fosse stato l’appoggio esplicito dell’Occidente e qualche manina nascosta degli USA a cui HK faceva gioco nella battaglia di Trump, forse oggi sarebbe stato possibile mantenere diritti e libertà ormai perdute.
La reazione degli altri membri dell’opposizione è stata immediata: si sono dimessi. E’ senz’altro un gesto di protesta nobile e forse necessario, ma era opportuno? La parola “aventiniani” come tutti sapete, fu coniata ai tempi degli antichi romani e non sto qui a ripetervi la storia. Ma questa azione ha mai funzionato? Se guardiamo alla storia italiana del ‘900 pare proprio di no. Nessune se ne curò, anzi Mussolini ebbe mano assolutamente libera! In una situazione più vicina a quella attuale nel tempo e nello spazio, possiamo guardare a Singapore che sia l’Occidente che la Cina paradossalmente considerano un faro in Oriente. Negli anni ’60 il “Fronte Socialista”, formato dai membri della sinistra del PAP (il partito di Lee Kuan Yew) che erano stati espulsi costituivano una formidabile forza politica a Singapore. Fecero però un gigantesco errore politico decidendo di non partecipare alle elezioni del 1968. Il PAP ottenne tutti i seggi parlamentari. Il fronte Socialista perse sostegno fino al completo dissolvimento nel Partito dei Lavoratori, di opposizione moderata nel 1988. In sintesi Lee Kuan Yew restò primo ministro per 31 anni. Successivamente passò la mano, restando però “ministro mentore”, fino all’ascesa al potere del figlio, che ancora oggi governa la città Stato.
A maggior ragione a Hong Kong. Le dimissioni di tutti i membri dell’opposizione erano un regalo inaspettato,al di là di ogni più rosea previsione del governo di Pechino e di Carrie Lam, che ora potrà far passare tutti i provvedimenti che riterrà opportuni senza alcuna opposizione tranne quella di piazza che verrà facilmente bloccata. L’analogo gesto di Joshua Wong che, in segno di protesta, si è dichiarato colpevole nel processo che si sta tenendo in questi giorni per i recenti disordini, e nel quale rischia cinque anni di carcere, sarà assolutamente inutile. L’agenzia ufficiale cinese Xinhua ha scritto il 23 novembre “Joshua Wong, istigatore dei disordini a Hong Kong, ed altri due imputati, si sono dichiarati colpevoli lunedì in tribunale. L’accusa aveva mostrato parecchi video in cui Wong incitava la folla. La corte si è aggiornata al due dicembre per la sentenza.” Caso chiuso. Molto probabilmente Wong verrà incarcerato essendosi dichiarato colpevole e su di lui cadrà il silenzio.
Hanno fatto bene? Fin da quando Hong Kong passò alla Cina nel 1997, i “Pan democrats”, a parte il rifiuto iniziale di partecipare al governo provvisorio, aumentarono i propri e voti e la loro presenza sia numerica che effettiva nella classe politica della città, anche perché i rappresentanti del potere cinese si rendevano conto che essi rappresentavano una parte significativa della popolazione ed avevano con essi un dialogo utile, pur sapendo che essi non approvavano la linea politica. Fin dall’inizio però l’opposizione aveva due anime. Una favorevole ad esprimersi all’interno del sistema e l’altra più portata a portare in piazza le proprie opinioni. Nel 2014 le proteste di “Occupy Central” trasformarono sostanzialmente il clima politico di Hong Kong in favore di atteggiamenti estremisti e di separatismo. L’idea dell’indipendenza si mostrò apertamente con i disordini dell’anno scorso. Allo stesso tempo i democratici moderati tradizionali furono messi da parte e lo saranno a lungo. Infatti Pechino non li considera più una controparte significativa e i radicali li considerano troppo compromessi con il potere.
Cosa decideranno i Pan democrats? L’anno prossimo ci saranno nuove elezioni e probabilmente i vecchi parlamentari non saranno candidabili. Il partito si presenterà unito? In ogni caso saranno necessari canditati nuovi e soprattutto una nuova strategia che ispiri speranza al governo centrale ed alla popolazione.
L’anno scorso i vari leaders operarono su tre fronti: nelle piazze, nelle istituzioni, e nei contatti con i governi esteri. La nuova legge sulla sicurezza stroncherà sul nascere nuove manifestazioni. Il supporto straniero si concretizzerà solo in affermazioni retoriche e azioni inefficaci che irriteranno ancora di più il governo della madrepatria. Se i pan-democrats rinunzieranno anche ad un’opposizioni nei termini consentiti dal governo centrale, ciò sarebbe una gravissima perdita per il futuro della città che verrà sempre di più marginalizzata.
Hong Kong ha bisogno assoluto di un’opposizione reale e moderata che agisca nei limiti di “un Paese e due sistemi” tenendo ben presente che si tratta di un Paese e non una confederazione di due Paesi diversi. La Cina, lentamente, con i tempi di tutto il mondo asiatico, si evolverà come ha fatto fino ad ora. Non dimentichiamo che Deng Xiaoping già vent’anni fa guardava a Singapore come suo obiettivo finale e forse si arriverà a qualcosa di simile. La Cina però non sarà mai una democrazia di stile occidentale, come per altro non è alcun Paese asiatico.
E noi, in Occidente, vorremo essere gli autori della distruzione di Hong Kong in virtù di ideologie che abbiamo cercato di applicare con le armi in Libia, Iraq, Vietnam o con colpi di stato come il Cile di Allende etc. creando solo disastri?
Infine, permettetemi di insistere, cosa avremmo fatto in Italia se l’Alto Adige si fosse opposto in maniera violenta, e con più diritti di Hong Kong, all’annessione all’Italia?
PS: oggi un interessante editoriale del South China Morning post fa notare che circa metà dei cinquant’anni menzionati dal trattato sono passati. Certamente la transizione da “due sistemi” a “un sistema” non si potrà fare in un giorno girando un interruttore; Pechino ha quindi approfittato della situazione attuale per iniziare, molto lentamente, questo passaggio. In questo momento si limiterà a chiedere ai funzionari pubblici ed ai giudici di “essere Patrioti”, vale a dire porre di più l’accento su “un Paese” che su “due sistemi”. Cercherà inoltre di limitare l’atteggiamento “indipendentista” dei giudici e il reclutamento a tempo determinato di giudici di alto grado inglesi, ora in pensione. E’ senz’altro un’ipotesi interessante. Staremo a vedere. Un’opposizione moderata e matura dovrà prendere atto che Hong Kong è parte integrante della Cina, acquisirne i vantaggi e cercare di limitare gli svantaggi. Del resto la Cina si sta, molto lentamente, incamminando verso la “rule of law” piuttosto che sulla “rule by law”. I cittadini di Hong Kong potranno assumere un ruolo guida dall’interno in questa lunga transizione, ma dovranno accettare l’idea che il concetto di democrazia come lo intendiamo in Occidente non si realizzerà mai in Asia.
Ultimi commenti
23.11 | 15:42
Grazie, leggo sempre con piacere i tuoi articoli.
19.09 | 17:02
O.K. !!!
31.05 | 14:33
Grazie a te. So bene che i miei articoli sono abbastanza "pesanti" e quindi talvolta noiosi
31.05 | 13:16
Notevole questo articolo del 30 maggio. Attendo con impazienza il seguito tra un mesetto! Grazie Nino per il tempo che dedichi a provare a colmare la nostra immensa ignoranza. A presto.